Il ministro dell'Istruzione Giuseppe Valditara (Ansa)

La proposta di Valditara

Il falso egualitarismo nel dibattito sui salari dei prof aggiornati su base territoriale

Guglielmo Barone

Una maestosa contraddizione campeggia fra i critici del ministro dell'Istruzione: sono prontissimi a chiedere adeguamenti salariali quando i prezzi cambiano nel tempo, ma si oppongono fermamente se i prezzi cambiano nello spazio

Per inquadrare correttamente la proposta del ministro Valditara di differenziare geograficamente i salari degli insegnanti in funzione del costo della vita occorre partire da alcuni fatti, solo apparentemente lontani. Siamo tutti d’accordo che, a parità di altre condizioni, avere a disposizione un certo reddito annuale – diciamo 30 mila euro – in Germania è peggio che avere lo stesso reddito in Portogallo, dove il costo della vita è più contenuto. Per questo motivo, per confrontare il grado di sviluppo economico tra diversi paesi, si usa una misura di reddito (il pil pro capite) misurata però in modo che tenga conto del diverso costo della vita (“a parità di potere d’acquisto”). In modo più scanzonato, già dal 1986 l’Economist confronta il costo della vita nei diversi paesi del mondo con il “Big Mac Index”, utilizzando il prezzo del celebre panino. Questi due esempi sono accomunati dalla razionalità economica e, più semplicemente, dal puro buonsenso: non conta il valore nominale del denaro, ma la quantità di beni che quel denaro permette di acquistare che, a sua volta, dipende dal livello dei prezzi. Non è un caso che oggi, in tempi di inflazione elevata, siamo tutti preoccupati per la perdita di potere d’acquisto dei salari, in genere fissati nominalmente. Temiamo giustamente, per dirla con gli economisti, che scenda il nostro reddito in termini reali. 

 

Queste considerazioni ci portano alla querelle aperta dalle parole di Valditara. Stime della Banca d’Italia relative a qualche anno fa indicano che il livello dei prezzi nel Mezzogiorno è inferiore del 16-17 per cento rispetto al centronord. I dati più recenti dell’Istat sulle soglie di povertà sono compatibili con questo ordine di grandezza. Un’altra dimensione di forte eterogeneità, anche all’interno della stessa area geografica, è tra zone urbanizzate e aree rurali. A fronte di tali differenze, la proposta di Valditara risponde semplicemente a un criterio di equità. E invece, puntualissime, sono arrivate le critiche dell’opposizione e di parte del sindacato. Si tratta di argomenti deboli che fanno appello più al cuore che alla testa, col trucco retorico (o con l’errore concettuale?) di confondere salario nominale e salario reale. Campeggia in primo piano, maestosa, una contraddizione: i critici sono prontissimi a chiedere adeguamenti salariali quando i prezzi cambiano nel tempo, ma si oppongono fermamente se i prezzi cambiano nello spazio. Una misteriosa torsione spazio-temporale che stritola proprio quel concetto di equità che a parole si vuole difendere. 

 

Ma c’è di più. La differenziazione geografica, tra nord e sud e tra zone urbane e rurali, non risponde soltanto a un lampante principio di equità. Aumenterebbe anche l’efficienza, ripristinando il valore segnaletico di salari e prezzi. Oggi, la distorsione introdotta dall’uniformità dei salari sul territorio implica che dove il costo della vita è più elevato l’insegnamento è uno sbocco professionale meno appetibile. Ne consegue una cattiva allocazione del lavoro, con forti pressioni per le cattedre al sud. Naturalmente, quanto detto per gli insegnanti vale anche per gli altri dipendenti pubblici e vale anche per il reddito di cittadinanza, anch’esso iniquo nel fissare il sussidio in termini nominali. Il passo successivo è quello di legare i salari al merito. 

 

Da ultimo, non certo in ordine di importanza, resta il tema della differenziazione geografica dei salari nel settore privato attraverso la contrattazione decentrata. Permetterebbe di allineare i salari alla produttività, con conseguenze positive per occupazione ed emersione del sommerso nel Mezzogiorno. Ma restiamo con i piedi per terra. È una strada lunga e, almeno nel breve periodo, priva purtroppo sia della spinta politica sia del consenso pubblico necessari. Ma ci sono due cose che si possono iniziare a fare da subito. L’Istat dovrebbe pubblicare al più presto le statistiche ufficiali sul costo della vita nelle diverse aree del paese, includendo anche le aree rurali (cosa purtroppo al momento non prevista, in base alle informazioni pubbliche disponibili). E i cittadini dovrebbero imparare a diffidare del finto egalitarismo basato sul valore nominale dei salari.

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