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L'intervento

La direttiva green dell'Ue può essere una grande opportunità per le Pmi

Elena Calabria e Otello Gregorini

È impensabile non avere programmi mirati in materia di transizione energetica sugli immobili. Sarebbe auspicabile che l’Italia si dotasse di una politica a lungo termine per raggiungere gli obiettivi europei

L’avvio dei lavori dell’Europarlamento sulla direttiva per l’efficientamento energetico degli immobili ha generato in Italia una serie di polemiche e prese di posizione che rientrano in una consumata liturgia ma hanno poco a che fare con il merito di una questione di assoluta rilevanza politica, economica e culturale. La premessa da ricordare è che la nuova direttiva europea sulla prestazione energetica degli edifici rappresenta uno dei pilastri del pacchetto Fit for 55 per cento entro il 2030 a livello comunitario rispetto ai valori del 1990, nell’alveo di una più ampia volontà di rafforzare e accelerare il percorso europeo verso la decarbonizzazione e la transizione ecologica. Non sorprende che il vivace dibattito che si è acceso nel nostro paese riguardi un punto di cui non c’è traccia nello schema di direttiva approvato dal Consiglio dei ministri UE e approdato all’Europarlamento. La direttiva non prevede sanzioni o restrizioni per gli edifici che non saranno in regola con gli standard minimi di efficienza energetica (divieto di vendita o di affitto). Saranno i singoli stati a dover definire gli strumenti e le misure per raggiungere gli obiettivi intermedi.

 

Ma è impensabile non programmare politiche mirate in materia di transizione green sugli immobili, dal momento che assorbono il 40 per cento dei consumi energetici e sono responsabili per il 36 per cento delle emissioni climalteranti. Sul piano delle certezze, non è in discussione che il patrimonio immobiliare italiano necessiti di un profondo intervento di riqualificazione, sia per ridurre le emissioni e far costare meno le bollette e sia per la messa in sicurezza rispetto alle calamità naturali come i terremoti e le alluvioni che solo negli ultimi 13 anni hanno provocato costi superiori a 50 miliardi di euro oltre a quelli incalcolabili per le perdite di vite umane. Edifici più sicuri e meno inquinanti rispondono inoltre all’obiettivo più complessivo di riqualificazione urbana e valorizzazione delle nostre città. È indubbio, inoltre, che il quadro strategico e legislativo europeo sull’efficienza energetica degli edifici sia uno dei primi impegni “green” dell’Europa e molti risultati sono stati nel frattempo raggiunti, ma ci sono ancora ostacoli da superare; uno di questi è, appunto, la necessità di favorire una più netta valorizzazione economica, sul mercato, degli immobili più efficienti.

 

In vista del traguardo della direttiva, sarebbe quindi auspicabile che l’Italia si doti di una politica a lungo termine per rispondere alle sfide della transizione e raggiungere gli obiettivi ambiziosi che l’Ue si è data in termini di leadership globale dello sviluppo sostenibile. Per il nostro paese si tratta di mettere ordine a un sistema di incentivi eterogeneo che soffre di instabilità temporale e bulimia normativa. Come Cna, da anni sosteniamo che gli ecobonus, nonché gli incentivi per dare impulso alle rinnovabili, producono molteplici effetti molto positivi: generano la crescita e l’occupazione in settori fondamentali, stimolano l’innovazione, il contrasto ai lavori “in nero” e favoriscono il processo di efficientamento energetico e di riqualificazione urbana. In particolare, il percorso di riqualificazione del parco immobiliare europeo tracciato dalla direttiva trova nelle PMI che operano nel cosiddetto “comparto casa” uno dei principali attori economici per conseguire gli obiettivi previsti.

 

La direttiva per gli standard minimi di efficienza energetica rappresenta quindi l’opportunità per siglare un grande patto tra lo stato, i cittadini e la platea delle imprese con un orizzonte di lungo termine per consentire al paese di realizzare un profondo processo di modernizzazione che sia sostenibile per le finanze pubbliche, le famiglie e il tessuto produttivo. È evidente che un tale percorso deve essere accompagnato da un piano pluriennale di incentivazione pubblica, da misure stabili e certe, dalla programmazione delle risorse abbandonando la pratica di interventi spot che rendono impossibile misurare i costi ed i benefici effettivi. Con un arco temporale a 20 anni e calibrando in modo efficiente gli obiettivi intermedi, l’impegno finanziario sarebbe assolutamente sostenibile per le casse pubbliche e per i privati. E un piano certo e stabile negli anni eliminerebbe le tensioni su prezzi e approvvigionamenti dei materiali consentendo al mercato di funzionare in modo ordinato.

 

La sostenibilità sta diventando sempre più il riferimento dell’economia a livello mondiale nella allocazione delle risorse e il termometro per misurare le performance. Gli investimenti finanziari che rispettano i criteri Esg hanno superato i 34mila miliardi di dollari, rappresentando il 36 per cento del totale, e sono destinati a raddoppiare entro il 2026. Non è una moda temporanea ma una rotta dalla quale non si può deviare per effetto di un semplice calcolo economico.

 

Elena Calabria è vice presidente nazionale Cna, Otello Gregorini è segretario generale Cna.

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