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il cortocircuito

Sui Diritti speciali di prelievo del Fmi Meloni segue la linea Soros

Luciano Capone

La leader di FdI proponeva di usare i Diritti speciali di prelievo (Dsp) del Fmi al posto di Mes e Recovery fund. Ora che è al governo fa il contrario: presta i fondi dell'Italia al Fmi per aiutare i paesi poveri, come suggeriva il finanziere globalista

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“La vita è strana. Quando era all’opposizione Fratelli d’Italia chiedeva che l’Italia accedesse ai prestiti del Fondo Monetario Internazionale (invece del Mes). Una volta al governo, fanno loro un prestito al Fmi”, ha twittato nei giorni scorsi Luigi Marattin. Il messaggio sibillino del deputato del Terzo polo si riferisce a un emendamento del governo sulla “Partecipazione dell’Italia ai programmi del Fmi”, che autorizza la Banca d’Italia a concedere all’istituto di Washington un prestito da 1,89 miliardi di Diritti speciali di prelievo (Dsp) per il contributo dell’Italia al Resilience and Sustainability Trust, che è stato costituito dal Fmi per aiutare i paesi poveri e in via di sviluppo a contrastare gli choc (dalla pandemia al climate change). Si tratta di un impegno preso dal governo Draghi nell’ambito della presidenza italiana del G20.

 

Per capire la contraddizione del governo Meloni bisogna, però, fare un passo indietro. Di oltre due anni. Il 27 maggio 2020, in una lettera al Corriere della sera, Giorgia Meloni diffidava dalle soluzioni europee per superare la crisi Covid – dal nascente Recovery fund al Mes sanitario – a causa di possibili condizioni troppo stringenti e onerose e pertanto invocava l’aiuto del Fmi per non essere “alla mercé dell’asse franco-tedesco”. La proposta di Meloni era di far emettere al Fmi nuovi Diritti speciali di prelievo (Dsp) per 1.250 miliardi di dollari, da distribuire ai paesi membri secondo le quote di partecipazione al Fondo: “L’Italia ne beneficerebbe per circa 40 miliardi, in virtù del suo 3 per cento”. In pratica, un uovo di Colombo: “Non sono un prestito del Fmi, di quelli che attiva la Troika. L’emissione di Dsp non costa nulla e non è soggetta ad alcuna condizionalità”. Niente condizioni e zero costi: tutto gratuitamente, come direbbe Giuseppe Conte.

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All’epoca, sul Foglio notammo che la proposta di Meloni era abbastanza singolare. Non solo perché la leader sovranista rilanciava uno storico cavallo di battaglia di George Soros, ma soprattutto perché il finanziere globalista proponeva l’uso dei Dsp per aiutare i paesi più poveri, quelli con banche centrali poco credibili, storie di instabilità finanziaria, difficoltà a onorare i debiti in valuta estera e incapacità di pagare le importazioni perché carenti di riserve in valuta. Invocare quella soluzione sarebbe stato per l’Italia un po’ come mettersi tra i paesi sottosviluppati e incapaci di finanziarsi, attirando un “effetto stigma” sul suo debito. Inoltre c’era un veto del suo alleato Donald Trump. Meloni replicò al Foglio che la sua proposta non aveva nulla a che vedere con quella di Soros, che l’uso di Dsp non avrebbe creato alcun problema di credibilità all’Italia e che Trump avrebbe potuto avere interesse ad approvare l’emissione di Dsp.

 

Un anno dopo, nel 2021, con la vittoria di Joe Biden in Usa, effettivamente il Fmi ha deciso una maxi emissione da 650 miliardi di Dsp. L’obiettivo del Fmi restava sempre quello di aiutare le economie più fragili e con riserve deboli, finite in una crisi drammatica dopo la pandemia, a poter accedere a linee di indebitamento meno onerose. Ma siccome l’allocazione dei Dsp avviene in proporzione alle quote di partecipazione al capitale del Fmi, dei nuovi 650 miliardi emessi la fetta più grande è andata ai paesi più ricchi (il 17 per cento agli Stati Uniti, il 5,5 per cento alla Germania, il 3 per cento all’Italia, etc.) e solo una minima parte ai paesi poveri. Per questo motivo, l’accordo politico implicito alla base della emissione di Dsp era che i paesi più ricchi avrebbero poi messo a disposizione in maniera volontaria una parta dei loro nuovi Dsp per aiutare le economie in via di sviluppo a uscire dalla crisi.

 

In quei giorni dell’agosto 2021 Meloni, sempre in una lettera al Corriere, esultava per la “bella soddisfazione” di aver lanciato un anno prima “questa ipotesi”, rammaricandosi “per una occasione persa dalla nostra Nazione”. E infine concludeva: “Mi auguro che questa volta Governo e presunti esperti mettano da parte la loro immotivata spocchia e prendano seriamente in considerazione la proposta”. Simultaneamente il fido Giovanbattista Fazzolari, attuale sottosegretario a Palazzo Chigi, invitava i critici a scusarsi visto che alla fine la direttrice del Fmi Kristalina Georgieva aveva fatto “proprio come suggerito da Giorgia”.

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Entrambi, evidentemente, non si rendevano conto del contesto. Infatti pochi mesi dopo, a ottobre 2021, i paesi del G20 avrebbero concordato di contribuire con il 20 per cento della propria allocazione di Dsp (4 miliardi per l’Italia) per finanziare i programmi del Fmi a sostegno dei paesi più vulnerabili. Ora che è al governo, giustamente, Meloni non fa ciò che proponeva, ovvero spendere i nuovi 20 miliardi di Dsp che “non sono vincolati ad alcuna condizionalità”, ma li presta ai paesi poveri. In pratica alla fine, parafrasando il sottosegretario Fazzolari, non è stata Georgieva a fare “come suggerito da Giorgia”, ma Giorgia a fare come suggerito da George (Soros).

 

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