il governo alla prova del mes

Così Meloni rischia di insabbiarsi nel sovranismo da cui tentava di liberarsi

Luciano Capone

Dopo lo scontro con la Banca d'Italia si riaprirà la lacerante discussione sul Mes. Il pericolo per il governo è di sprofondare nelle sabbie mobili della destra sovranista e antieuropeista da cui Meloni tenta con fatica di uscire

Sembra un gioco delle parti. Il suo braccio destro Giovanbattista Fazzolari attacca la Banca d’Italia insinuando che critichi la manovra perché fa gli interessi delle “banche private”, ma Palazzo Chigi corregge il tiro dicendo che non è in discussione l’autonomia di Via Nazionale. Poi Giorgia Meloni appiana lo scontro istituzionale dicendo che “sulle grandi voci della manovra non ci sono critiche sostanziali da parte di Bankitalia”. Però, contemporaneamente, un fedelissimo come il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida manda un mezzo avvertimento, dicendo che i vertici di Bankitalia dovrebbero “estraniarsi dall’appartenenza politica e avere con terzietà una dialettica con il governo”.

 

Lollobrigida aggiunge anche che la Banca d’Italia dovrebbe “rappresentare a pieno l’interesse nazionale nel quadro europeo”. Come se Palazzo Koch non agisse seguendo questa bussola ma, anzi, avesse piegato il bene del paese alla presunta appartenenza politica dei suoi vertici. Oppure come se nell’interpretazione sovranista del governo l’interesse nazionale coincidesse con le scelte politiche dell’esecutivo e, pertanto, per “terzietà” si intendesse in realtà allineamento alla direzione indicata da Palazzo Chigi. L’indipendenza della Banca centrale, in questo quadro, sarebbe semplicemente il suo contrario: l’autonomia di dire sì, altrimenti giustificherebbe l'accusa di “antipatriottismo”.

 

Questo gioco delle parti, con la premier nel ruolo di poliziotto buono e i suoi stretti collaboratori in quelli di poliziotti cattivi, viene praticato su un terreno molto scivoloso. Che non riguarda tanto l’autonomia e l’indipendenza della Banca d’Italia, che al di là delle accuse sono garantite sia dagli anticorpi dell’istituzione sia dal quadro regolatorio europeo, ma la reputazione del governo. Lo scontro istituzionale non è stato di certo cercato dalla Banca d’Italia che non ha dato giudizi estremamente ostili sulla legge di Bilancio. Anzi, come correttamente segnalato da Meloni, ha apprezzato l’impianto della manovra. Ci sono state critiche a provvedimenti specifici che favoriscono l’evasione come l’aumento del tetto al contante e il disincentivo all’uso del Pos, ma contestazioni analoghe, pressoché identiche, sono state mosse prima dalla Corte dei conti e poi dall’Ufficio parlamentare di Bilancio (che, seguendo il Fazzolari pensiero, non hanno alcun rapporto con le “banche private”).

 

Lo scontro con la Banca d’Italia è invece tutta farina del sacco del governo che, da un lato continua a covare dei sospetti contro l’establishment e dall’altro è incapace di reggere la pressione delle critiche. Ma queste polemiche fanno riemergere temi e parole d’ordine della destra (la proprietà della Banca d’Italia, la titolarità delle riserve auree) che la stessa Meloni ha cercato, prima in campagna elettorale e poi una volta insediato il governo, di lasciarsi alle spalle.

 

Un nuovo capitolo che rischia di riaprirsi a breve riguarda il Mes. Giorgia Meloni per anni è stata sulle barricate contro il nuovo trattato, definito come un accordo contrario agli interessi della nazione. E come lei la pensa la Lega di Matteo Salvini. L’Italia è, insieme alla Germania, l’unico paese a non aver ratificato la riforma del trattato. In realtà, il Bundestag ha già approvato la ratifica ma Berlino aspetta l’esito di un ricorso alla Corte costituzionale di Karlsruhe. Nel governo c’è chi, come il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e probabilmente la stessa Meloni (che ha sempre evitato di parlare del tema), sa che l’Italia non può essere l’unico paese dell’Eurozona che blocca un’importante riforma. Ma per tenere unita la coalizione, il centrodestra ha trovato un uovo di Colombo: aspettiamo la decisione della Corte di Karlsruhe. È questa la posizione di Giorgetti, che vuole la ratifica, e anche della mozione della maggioranza, che in larga parte non vuole la ratifica.

 

Tutti pensavano, in questo modo di poter calciare la lattina in avanti di qualche mese. Ma se, come ha rivelato ieri il Foglio, la sentenza della Corte di Karlsruhe arriverà prima di Natale, il governo si ritroverà la lattina tra i piedi prima del previsto, subito dopo l’approvazione della legge di Bilancio. Il problema, per il governo, sarà dover aprire una lacerante discussione sul Mes, incomprensibile nel resto d’Europa che da tempo ha ratificato la riforma senza alcun problema. E dopo l’attacco alla Banca d’Italia controllata dalle “banche private”, sarebbe come se il governo iniziasse lentamente a sprofondare in quelle sabbie mobili della destra sovranista e antieuropeista da cui Meloni sta tentando con fatica di uscire dall’inizio del suo mandato.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali