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Omeopatia sovranista

Le piroette economiche di Meloni per schivare l’effetto Liz Truss

Luciano Capone

La nave della legge di Bilancio dovrà attraversare lo stretto tra Scilla (caro energia) e Cariddi (debito pubblico). Il presidente del Consiglio fa capire che le promesse su flat tax e pensioni saranno solo in versione omeopatica. Ma il condono c'è

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Le questioni dell’economia hanno occupato buona parte degli oltre settanta minuti nei quali il presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha presentato alla Camera il programma del suo governo. Il discorso però può essere diviso in due parti, una in cui vengono indicati gli obiettivi della prossima legge di Bilancio, condizionata dalla crisi energetica, e l’altra in cui viene presentato il programma di legislatura della destra. Le due parti sono tra loro separate ma anche collegate, nel senso che la prima spiega perché molte promesse saranno rinviate alla seconda.

 

D’altronde Meloni sottolinea che “siamo nel pieno di una tempesta, con un’imbarcazione che ha subìto diversi danni”. Evidenzia come l’economia sia in una fase di forte rallentamento che fa intravedere una recessione all’orizzonte. Ricorda che la Bce sta procedendo a un consistente rialzo dei tassi per contrastare l’inflazione: “Una decisione da molti reputata azzardata e che rischia di ripercuotersi sul credito a famiglie e imprese”. In questo contesto drammatico, caratterizzato dalla guerra in Ucraina, Meloni dice al paese che la priorità del governo è mitigare gli aumenti del costo dell’energia: “Sarà necessario mantenere e rafforzare le misure nazionali a supporto di famiglie e imprese – dice – sia sul versante delle bollette sia su quello del carburante. Un impegno finanziario imponente che drenerà gran parte delle risorse reperibili e ci costringerà a rinviare altri provvedimenti che avremmo voluto avviare già nella prossima legge di Bilancio”.

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Proprio perché l’impegno finanziario è “imponente”, come dice la stessa Meloni, sarà quasi impossibile “rafforzare” gli aiuti in essere anche perché è già proibitivo l’obiettivo minimo di “mantenerli”. Nel 2022, infatti, il pacchetto di misure contro il caro energia del governo Draghi è costato 57 miliardi di euro (circa 3 punti di pil) e il totale supererà i 60 miliardi con la proroga di alcuni sussidi in scadenza a novembre. Ciò vuol dire che, anche a causa del rallentamento dell’economia e quindi del calo delle entrate, il governo dovrebbe invece passare da sussidi generalizzati (sconto delle accise, taglio dell’Iva sul gas, riduzione degli oneri di sistema, etc.) a misure più selettive e legate al reddito o all’Isee (come i bonus sociali). A maggior ragione se, come Meloni ha detto alla Camera, il governo intende intervenire con ulteriori sconti fiscali oltre il settore energetico per contrastare l’inflazione. E soprattutto se Meloni, che ha “il compito di condurre la nave in porto in questa difficilissima traversata”, vuole evitare naufragi come quello della nave britannica guidata da Liz Truss.

 

In un passaggio, il premier ha parlato della necessità di “tranquillizzare gli investitori a fronte di un debito del 145 per cento”, dicendo che la strada per ridurre il debito “non è la cieca austerità imposta negli anni passati e non sono neppure gli avventurismi finanziari”, ma “la strada maestra è la crescita economica, duratura e strutturale”. Come questa fiscal stance verrà tradotta in cifre è da vedere, ma quantomeno pare esserci la consapevolezza di margini ridotti: la nave italiana dovrà attraversare lo stretto tra Scilla, il caro energia, e Cariddi, il debito pubblico. Questo, come accenna Meloni, comporta il necessario rinvio di promesse fortemente simboliche e altrettanto costose, che verranno introdotte in versione omeopatica nella legge di Bilancio per concedere qualcosa alla propaganda.

 

La flat tax, cioè l’imposta sui redditi (Irpef) con una sola aliquota, una bandiera della campagna elettorale dei partiti di destra, ad esempio, non vedrà la luce proprio perché troppo onerosa. Al suo posto, al limite, ci sarà un allargamento per gli autonomi del regime forfettario al 15 per cento dagli attuali 65 mila euro a 100 mila euro di fatturato. E per le persone fisiche ci sarà l’introduzione di un’ulteriore aliquota del 15 per cento sull’incremento di reddito rispetto al triennio precedente. Entrambe queste misure vengono chiamate da Meloni “flat tax”, anche se non lo sono affatto. Ma si tratta appunto di un uso distorto delle parole a fini propagandistici.

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Una misura che invece la destra ha inserito nel suo programma e che realizzerà è la “tregua fiscale”: anche in questo caso si usa un termine del tutto improprio al posto del più corretto “condono”, per consentire “a cittadini e imprese in difficoltà di regolarizzare la propria posizione con il fisco”. Con il condono, il governo Meloni non solo potrà dire ai suoi elettori di aver mantenuto una promessa, ma potrà usare le entrate di una misura una tantum per coprire la spesa, anch’essa una tantum, per le misure contro il caro energia. Due piccioni con una fava. Naturalmente il costo del condono sta nella riduzione della fedeltà fiscale futura e nell’ingiustizia nei confronti dei contribuenti che invece hanno pagato senza sconti. Meloni ha parlato di “una serrata lotta all’evasione fiscale”, ma averlo fatto subito dopo aver promesso un condono non rende certo l’impegno né serio né credibile.

 

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Un tema cruciale per la destra sono le pensioni. Meloni ha affrontato il tema dicendo di voler “facilitare la flessibilità in uscita... partendo, nel poco tempo a disposizione per la prossima legge di Bilancio, dal rinnovo delle misure in scadenza a fine anno”. Quindi niente abolizione della legge Fornero, come promesso, ma proroga delle misure del governo Draghi: Quota 102, Opzione donna e Ape sociale (nella scorsa legge di Bilancio il costo complessivo era di 3 miliardi, ma a consuntivo dovrebbe rivelarsi inferiore).

 

L’altro dossier è il Reddito di cittadinanza. Meloni lo ha affrontato citando Papa Francesco: “La povertà non si combatte con l’assistenzialismo, la porta della dignità di un uomo è il lavoro”. E ha aggiunto, con una nota biografica, che l’affermazione del Papa “è una verità profonda, che soltanto chi la povertà l’ha conosciuta da vicino può apprezzare appieno”. Nel concreto ha confermato “il doveroso aiuto dello stato” alle famiglie in difficoltà, ma ha criticato l’assenza di formazione e accompagnamento al lavoro “per chi è in grado di lavorare”. Questa indicazione non dovrebbe produrre grandi tagli di spesa, ma una più profonda distinzione tra misure di contrasto alla povertà e politiche attive del lavoro, un po’ come funzionava con il Reddito di inclusione (Rei). Ma come questa visione verrà declinata in concreto non è ancora chiaro.

 

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