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Nessun ritardo nella tabella di marcia del Pnrr

Lorenzo Borga

Il confronto Draghi-Meloni. Qualche preoccupazione c’è, perché  sono in aumento i target concreti da raggiungere

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Si riapre la partita del Pnrr. Con Giorgia Meloni “pronta” a entrare a Palazzo Chigi – come hanno sottolineato per settimane i poster elettorali in tutte le città italiane – torneremo a occuparci di Piano nazionale di ripresa e resilienza, per mesi oscurato dalla crisi energetica. Dai suoi progressi si comprenderà se l’esecutivo che nascerà dalla nuova maggioranza parlamentare sarà all’altezza della sfida. E’ già iniziata la tattica: Meloni ha affermato che “ereditiamo una situazione difficile: i ritardi del Pnrr sono evidenti e difficili da recuperare e siamo consapevoli che sarà una mancanza che non dipende da noi ma che a noi verrà attribuita anche da chi l’ha determinata”. Un tentativo nemmeno troppo velato di guadagnare tempo e smarcarsi da eventuali probabili critiche in arrivo nei prossimi mesi per le lungaggini che inevitabilmente si verificheranno con il passaggio di consegne e la messa in moto del prossimo governo.

 
Ma andiamo alla sostanza: qual è lo stato dell’arte del Pnrr a quasi un anno e mezzo dall’accordo tra governo italiano e Commissione europea? Una risposta ce la dà la stessa Unione europea, che ha accordato tutte e due le tranche richieste finora dall’Italia, per un totale di 42 miliardi di euro al netto del pre-finanziamento. Ha dunque valutato raggiunti i 96 obiettivi richiesti fino ad ora. In più, secondo l’ultima relazione del governo Draghi sul Pnrr, nel secondo semestre 2022 sono già stati raggiunti 21 dei 55 obiettivi richiesti. E per Draghi stesso si potrebbe arrivare a 29 entro la formazione del prossimo governo. E’ pur vero che per ora gli obiettivi sono stati principalmente di carattere formale: leggi, decreti attuativi, regolamenti, linee guida, gare d’appalto, piani d’azione. Ma questo era stato concordato nel piano. A livello formale dunque non si può dire che l’Italia sia in ritardo sull’attuazione del Pnrr.

  
Ma certo la spesa di 191 miliardi di euro in sei anni è un’opera complessa, in particolare per un paese come l’Italia che negli ultimi tempi non è mai riuscita a spendere i fondi europei nei tempi stabiliti. E infatti Giorgia Meloni ha successivamente circostanziato meglio le sue critiche: “Il governo scrive nella Nadef che entro la fine dell’anno noi spenderemo 21 miliardi dei 29,4 che avevamo”. In effetti la Nota di aggiornamento al Def ha rivisto al ribasso la spesa legata al Pnrr per il 2022: da 29,4 miliardi a 15 (che salgono rispettivamente a 33,7 e 21, citati da Meloni, se si tiene in considerazione anche il 2020-2021). Mentre per i prossimi anni, soprattutto 2025 e 2026, la Nadef prevede un aumento delle risorse spese, da 67,2 a 83,6 miliardi. Lo slittamento sta concentrando dunque sempre più soldi negli ultimi anni del Pnrr, quelli più rischiosi per l’impossibilità di ritardare ulteriormente gli investimenti.
Il governo nella relazione sul Pnrr ha spiegato dal canto suo che le spese fino ad ora effettuate sono “principalmente riferibili ai cosiddetti progetti in essere”, cioè agli investimenti già programmati prima del piano per cui è stato semplicemente cambiato il finanziatore (non più lo stato, ma l’Ue). Si tratterebbe in particolare di “infrastrutture” ferroviarie, “investimenti legati all’ecobonus e al sisma-bonus e quelli finalizzati a sostenere la trasformazione tecnologica delle imprese” come Transizione 4.0. Solo a partire dall’anno prossimo ci dobbiamo attendere miliardi di spesa aggiuntiva, cioè resa possibile dal Pnrr. Per quanto la spiegazione del governo circostanzi il forte calo della spesa pubblica prevista fin qui, resta la preoccupazione. Perché i progetti in essere inseriti nel Pnrr devono rispettare i tempi esattamente come i nuovi investimenti: in caso contrario si perderebbero i soldi, che in questo caso significherebbe perdere il beneficio di un tasso di interesse bassissimo rispetto ai Btp. Inoltre i progetti in questione beneficiano delle medesime agevolazioni e semplificazioni burocratiche dell’intero Pnrr: se queste non sono state sufficienti per rispettare i tempi, potrebbero non esserlo nemmeno per i progetti ex-novo. Va notato inoltre che la spesa pubblica è stata ridotta nonostante l’esplosione delle richieste di interventi edilizi legati al superbonus 110 per cento e il rialzo dei prezzi dei cantieri delle opere infrastrutturali, che hanno costretto il governo a destinare nuovi miliardi aggiuntivi per non bloccare i lavori.

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In questi mesi il Pnrr sta entrando nel vivo: già nel semestre in corso i traguardi procedurali diminuiranno e i target concreti (assunzioni, chilometri di ferrovia costruiti, numero di colonnine elettriche installate, eccetera) saliranno a 16, mentre finora erano stati solo tre. Una sfida complicata, per di più per il governo Meloni che ha scritto nel proprio programma elettorale di voler modificare il piano. Secondo l’articolo 21 del regolamento europeo dovrebbe cioè dimostrare che gli obiettivi non possono più essere realizzati a causa di circostanze oggettive. Dovrebbe cioè ammettere di non essere in grado di portare avanti il lavoro del governo Draghi, che per quanto lacunoso su alcuni punti, ha portato a termine tutti gli obiettivi richiesti fino ad ora dall’Unione europea.
 

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