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editoriali

Occhio al rating di Meloni

Redazione

Pnrr significa fiducia. Perché pure Fitch intravede nuvole sull’orizzonte del governo

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Dopo Moody’s, arriva un nuovo avvertimento all’Italia dalle agenzie di rating. Secondo Fitch, gli spazi che il nuovo governo avrà per rinegoziare il Pnrr si presentano limitati mentre un uso efficace delle risorse di Next Generation Eu è cruciale per una riduzione duratura del debito. L’approccio a qualsiasi potenziale rinegoziazione del Piano, aggiunge Fitch, sarà importante sia per la crescita sia per il sentiment di mercato.

 

Le principali istituzioni finanziarie internazionali stanno, dunque, seguendo con la massima attenzione l’evoluzione della situazione italiana nel momento in cui il Pnrr è finito al centro di una diatriba tra la futura premier di centrodestra Giorgia Meloni e il governo uscente di Mario Draghi. Diverbio che ha rimesso sotto pressione la Borsa e il mercato dei titoli di stato, ma senza (ancora?) provocare bruschi scossoni. Potrebbe, tuttavia, mancare poco a uno scenario simile a quello del 2018 a giudicare dal fatto che, ora come allora, agenzie di rating e investitori mettono in discussione non l’identità del governo italiano ma la sua capacità di rendere il debito pubblico del paese sostenibile.

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Il concetto è ben sintetizzato in una nota di Goldman Sachs, secondo cui “la combinazione di un panorama economico in deterioramento e sovranità in aumento” fa in modo che i rendimenti dei titoli di stato abbiano ridotto lo spazio fiscale a disposizione per evitare un aumento del rapporto tra debito e pil. “Considerando la nostra previsione di crescita reale dell’Italia per il 2023 (-0,5 per cento), probabilmente il nuovo governo dovrà mantenere almeno un saldo primario pari a zero per evitare che il rapporto tra debito e pil ricominci ad aumentare”, osserva la banca d’affari aggiungendo che in questo contesto è fondamentale il sostegno fiscale che può offrire il Recovery fund alla crescita (in media un punto percentuale di pil per ciascun semestre fino al 2026). Sostegno che, già ritardato dalle elezioni, non può subire un ulteriore rallentamento da una rinegoziazione la cui utilità quasi certamente non sarebbe compresa dai mercati. 

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