(foto Ansa)

Scannapieco al Mef? Per l'Economia il centrodestra pensa all'ad di Cdp

Stefano Cingolani

La nomina del vertice di Cassa Depositi e Prestiti a via XX settembre sarebbe il ritorno di un “Draghi boy”. Anche i leghisti lo vorrebbero in quel ruolo

C’è chi dice che sia lui la carta tenuta coperta, forse non proprio l’asso nella manica, ma certo una importante carta vestita. Il nome circola finora sotto voce un po’ per non bruciarlo un po’ perché colmare tutte le caselle vuote s’è rivelato più complicato del previsto. Il “candidato segreto”, secondo quel che il Foglio ha raccolto tra le voci del Palazzo, è Dario Scannapieco e la casella sarebbe il ministero dell’Economia. Con lui si potrebbe trovare la quadra, come amano dire i leghisti, che, secondo le indiscrezioni, sarebbero d’accordo. Lo apprezza Mario Draghi il quale, quando era direttore generale del Tesoro negli anni ’90, lo ha chiamato a far parte di quel gruppo di economisti e consiglieri conosciuto come “Draghi boys”.

Poi, con Giulio Tremonti e Domenico Siniscalco ha guidato la direzione per la finanza e le privatizzazioni. Ha una lunga esperienza europea come vicepresidente della Bei, la Banca europea per gli investimenti, il braccio finanziario della Ue che mette a disposizione i fondi per interventi di medio-lungo periodo. Lì, a Lussemburgo dov’è il quartier generale, è rimasto per ben 14 anni, dal 2007. Il suo nome era già stato proposto durante le lunghe trattative del governo giallo-verde, quando il Quirinale aveva bloccato Paolo Savona e prima che decollasse Giovanni Tria, il quale a sua volta propose Scannapieco alla Cassa depositi e prestiti come amministratore delegato. Allora s’impuntò Luigi Di Maio che volle Fabrizio Palermo. Alla Cdp è arrivato quindici mesi fa nominato da Draghi e da allora si è dedicato a ridefinire strategie e organigramma della Cassa. Un lavoro tutt’altro che compiuto e proprio questo è l’argomento che può indebolire l’ipotesi Scannapieco.

 

Nato a Roma nel 1967 da famiglia originaria della costiera amalfitana, laureato in Economia alla Luiss, master in Business administration alla Harvard Business School, Scannapieco ha sempre avuto in mente di diventare un civil servant. Lo racconta così: “Subito dopo la laurea, entrai nella direzione programmazione di quella che allora si chiamava Sip. Dopo neanche due anni quasi per caso riempii l’application per entrare a Harvard, e non senza fatica alla fine ce l’ho fatta. Mentre studiavo nel Massachusetts mi convincevo sempre di più che dopo sarei entrato in qualche branca dell’amministrazione pubblica. Perché ero convinto già allora che il settore pubblico, se efficiente e forte, rappresenta l’anima di un paese e lo qualifica nel mondo. Acquistai per cinque dollari il diritto a poter usare il logo di Harvard sulla busta e cominciai a scrivere lettere: era una pratica corrente per gli studenti e serviva ovviamente a far sì che le lettere non venissero cestinate senza neanche aprirle. Scrissi al ministro del Tesoro di allora che era Carlo Azeglio Ciampi, al direttore generale Mario Draghi, alla Banca d’Italia, al premier Romano Prodi, al sottosegretario Enrico Micheli e via dicendo. Finché, nei giorni del Natale 1996 ero a casa dei miei genitori a Roma quando mi convocò Draghi e mi disse che in effetti una professionalità giovane e internazionale come la mia poteva essergli utile per rafforzare il consiglio degli esperti. Erano i tempi delle privatizzazioni ma non solo, con Draghi e Ciampi stava entrando nell’amministrazione finanziaria uno spirito di modernità, innovazione e trasparenza che doveva essere decisivo. Tornai ad Harvard, finii il mio master e nell’estate 1997, pochi giorni prima del mio trentesimo compleanno, entrai come consulente al Tesoro”. 
Sono stati anni intensi ed entusiasmanti, con “privatizzazioni a catena”. Di una in particolare va orgoglioso, quella dell’Ente tabacchi, e poi la ristrutturazione del Poligrafico, la riforma delle procedure di riscossione dell’Inps. Le cartolarizzazioni oggi demonizzate, Scannapieco le ritiene un successo: gli immobili pubblici avevano un rendimento negativo, invece messe sul mercato con il meccanismo delle Abs (Asset backed securities) ottennero un ottimo risultato economico a vantaggio del pubblico, è uno strumento per ridurre il debito che oggi andrebbe riconsiderato.   

 

Intraprendente e determinato, come mostra la sua ricerca di lavoro, tutto casa e ufficio, ha sempre amato muoversi tra cento impegni e migliaia di pratiche come un sottomarino. Ha un carattere cordiale, un approccio morbido con chi lavora insieme a lui, e vuole applicare le sue direttive con cautela cercando il più possibile il consenso. In questo anno ha gettato le basi per un cambio di strategia: puntare sugli investimenti e il sostegno alle imprese, ridurre le partecipazioni dirette che rappresentano un portafoglio di 31 e rotti miliardi di euro. La Cassa non è l’Iri e tanto meno l’ospedale delle aziende morenti, è una leva fondamentale non per la conservazione, ma per lo sviluppo. Una svolta complicata che richiede tempo. Le prime dismissioni totali o parziali sono cominciate, ma i problemi principali riguardano società strategiche come la Saipem in seria crisi. Resta appeso il destino della rete unica, quindi di Open fiber, mentre non sappiamo che cosa succederà nella Tim, azienda privata le cui sorti, dalla privatizzazione in poi, sono sempre cambiate a ogni cambio di governo. Con tutti questi dossier aperti, è proprio il caso di prendere il capo di un’azienda tanto strategica per fare il ministro? Una domanda sensata per chi fa impresa, ma la politica ha delle ragioni che la ragione spesso non conosce.