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Ita déjàvu. Meloni e il rischio dell’eterno ritorno all’Alitalia di stato

Andrea Giuricin

Al di là delle critiche di Fratelli d'Italia, non vendere adesso sarebbe l'ennesimo errore per la "compagnia di bandiera", incapace di stare da sola sul mercato

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La saga di Alitalia/Ita non si arresta. Il processo di privatizzazione quasi concluso dal governo Draghi si è fermato per via della crisi politica. La vendita della compagnia rinata dalle ceneri di Alitalia era  alle fasi finali e molto probabilmente il vettore sarebbe andato alla cordata di Msc, il colosso dello shipping, e Lufthansa, il primo vettore europeo, se il governo non fosse caduto nelle settimane scorse. La necessità di cessione della compagnia deriva da alcuni fatti incontrovertibili, primo fra tutti quello che Ita Airways non è in grado di rimanere da sola sul mercato, tanto più in periodo post-pandemico. Se prima della pandemia Alitalia perdeva oltre 600 milioni di euro quando tutti gli altri vettori avevano marginalità positive, nei primi due mesi e mezzo di operatività, quando la variante Omicron si è diffusa in Europa, Ita ha perso circa 200 milioni di euro, oltre 125 euro a passeggero.

La debolezza  della compagnia è riscontrabile da altri numeri. Mettendo insieme la quota di mercato di Alitalia con quella di Ita nel 2021, nel complesso i due vettori hanno trasportato solo il 3,8 per cento dei passeggeri da e per l’Italia. Nonostante in campagna elettorale sia molto efficace la retorica patriottica della necessità della “compagnia di bandiera”, la realtà mostra che i turisti stranieri che vengono in Italia e gli italiani che si recano all’estero per oltre il 96 per cento dei casi lo fanno attraverso altre compagnie aeree.   

Il paradosso è che la campagna elettorale rischia di bloccare il processo di vendita, riportandoci con una specie di macchina del tempo in una situazione simile a quella del 2008, quando in piena campagna elettorale il centrodestra di fatto bloccò la vendita di Alitalia ad Air France, in favore di quella che fu poi la cordata dei “capitani coraggiosi”. Un’avventura quella che è costata cara ai contribuenti, in quanto venne creata una bad company che è stata pagata alcuni miliardi dallo stato e che non ha salvato Alitalia dal suo destino. D’altronde tra il 2000 e il 2021, la compagnia aerea ha sempre perso soldi, se non nel 2002, quando Klm preferì pagare una penale pur di non fare la fusione con Alitalia.

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La bad company c’è anche nel processo di creazione di Ita Airways, dato che la vecchia Alitalia ha lasciato molti debiti a tutto il settore aereo, ma per lo meno il governo Draghi era deciso nella vendita del vettore. Il problema politico è tuttavia è il ritorno allo schema 2008, dato che alcuni esponenti di Fratelli d’Italia, tra cui la stessa leader Giorgia Meloni, hanno affermato che la vendita non può essere conclusa dal governo Draghi perché sarebbe al di fuori del perimetro degli affari correnti. Eppure,  per quanto la destra sin dai tempi di Alleanza nazionale abbia sempre difeso il personale di Alitalia, la vendita di Ita, che era praticamente conclusa, toglierebbe le castagne dal fuoco al prossimo governo che altrimenti si troverebbe ancora una volta con la partita Alitalia da risolvere. 

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Il vettore ha già ricevuto una dote iniziale di oltre 700 milioni di euro e a breve dovrebbe arrivare un’altra tranche da 400 milioni. Ita non può più resistere sul mercato da sola e anche per questo è urgente riuscire a concludere il processo di vendita, altrimenti i soldi dei contribuenti continueranno a fluire. Se dovesse continuare a stare da sola sul mercato, senza un vero partner industriale, le perdite saranno nell’ordine delle centinaia di milioni di euro l’anno proprio perché la struttura del mercato aereo stesso non lascia molto spazio per piccoli vettori indipendenti. C’è da sottolineare inoltre che il bacino elettorale di Ita si sta sempre più restringendo, dato che ormai la compagnia ha meno di 3 mila dipendenti rispetto alla vecchia Alitalia che nel 2008 ne aveva 20 mila. 

Sia economicamente sia politicamente, quindi, sarebbe preferibile riuscire a vendere Ita, dato che sono pervenute due offerte (l’altra offerta è del fondo statunitense Cetares insiema ad Air France-Klm), piuttosto che continuare con la strategia del calcio alla lattina. Anche perché non c’è molto tempo da perdere: “Abbiamo scritto una lettera a Draghi – ha dichiarato ieri il ceo di Lufthansa Carsten Spohr – sul fatto che bisogna essere veloci e che la nostra pazienza non è infinita”.

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