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Il possibile stop della destra alla rete unica e la variabile Bolloré

Ugo Bertone

Se il nuovo esecutivo sarà in mano alla triade FdI, Lega e Fi c'è il pericolo che tutti gli sforzi di Mario Draghi e del ministro Vittorio Colao sulla digitalizzazione del paese potrebbero essere vani

Avanti tutta. La rete unica s’ha da fare perché, parola dell’ad di Tim Pietro Labriola, “è lo scenario migliore per tutte le parti”. “E così – ha proseguito davanti agli analisti in occasione della presentazione dei conti del primo semestre – si farà un’offerta, prima non vincolante, poi le società faranno le valutazioni sulla base dell’offerta”. E la politica? “Non sta bloccando l’attività” assicura il manager. E la pensa alla stessa maniera di Pierpaolo Di Stefano, ad di Cdp Equity, padrona del 60 per cento di Open Fiber: “La strategicità per il paese, e l’opportunità sia sotto il profilo industriale che finanziario dell’operazione sono talmente evidenti – ha dischiarato in una recente intervista – che unire le forze in un’unica rete in fibra è imprescindibile per tutti”. 

 

Proprio per tutti no, a partire da Alessio Butti, il deputato di Fratelli d’Italia, responsabile delle tlc del partito di Giorgia Meloni, che da tempo si oppone al fatto che la Cassa depositi e prestiti – azionista sia di Open Fiber (60 per cento) sia di Tim (9,9) – investa nuove risorse pubbliche per fare “un regalo” agli investitori. “Il progetto di rete unica, così come è stato pensato in queste settimane, non ci convince – dice – Cdp deve prendere atto che con la crisi del governo Draghi non è più possibile presentare una offerta per la rete di Tim. Sarebbe una beffa per i cittadini italiani, perché rischia di essere un modo per assumere decisioni poco trasparenti che avvantaggiano solo i privati, e per giunta stranieri, con soldi pubblici. Non è più epoca di regali del genere”.

 

Nel caso di affermazione del centrodestra, insomma, il progetto di rete unica, così come la spinta alla digitalizzazione imposta dal Pnrr di Mario Draghi e dal ministro dell’Innovazione Vittorio Colao, rischia una battuta d’arresto. Anche perché, a ben vedere, non è solo l’ostilità dell’onorevole Butti (“perché pagare 20 miliardi una rete in rame che fra quattro anni non varrà niente?”, si chiede in un’interrogazione parlamentare) a mettere i bastoni tra le ruote del piano. L’ostacolo più ostico, del resto, non sta a Roma bensì a Bruxelles cui spetta il via libera a un’operazione, quella del gestore unico, che per ora non ha precedenti in ambito comunitario.

 

“Finora abbiamo avuto una discussione di carattere generale con le autorità dell’Antitrust Ue – si è limitato a dire Labriola – perché in questa fase non possiamo entrare nei dettagli, in quanto non abbiamo tutti i dettagli per parlarne”. Ma si sa, La commissaria alla Concorrenza Margrethe Vestager è un osso duro. E l’uscita di scena di  Draghi, con il suo indiscutibile prestigio ai piani alti dell’Ue, non facilita di sicuro il compito di Labriola e della Cdp. Non è affatto escluso, ad esempio, che l’Antitrust imponga vincoli tariffari troppo onerosi in cambio del via libera all’operazione. Ma Labriola confida, non si sa con quale fondamento, in un nuovo atteggiamento delle auotirà sui processi di aggregazione. “Gli Stati Uniti hanno tre player, il Brasile ha tre player e l’Europa che è simile come dimensioni a Usa e Brasile ne ha tantissimi. Penso che si debba discutere a livello Antitrust a proposito di rivedere la politica industriale europea”. 

 

L’occasione potrebbe essere offerta salla recente fusione in Spagna tra Mas Movil e Orange Spain. Ma, ammesso e non concesso che si superi il vaglio dell’Antitrust Ue, sarà comunque difficile trovare un prezzo e un punto di equilibrio che accontenti tutti, a partire da Vivendi che finora ha avanzato richieste di prezzo (31 miliardi) assai superiori a quelle correnti. Ma da questo punto di vista un cambio della guardia a Palazzo Chigi potrebbe dar luogo a sorprese. Certo, Fratelli d’Italia così come la Lega non è certo tenera con la calata dei francesi in Italia, ma Vincent Bolloré non è certo un sodale di Emmanuel Macron, semmai un editore schierato in patria a destra. E per niente amico di Mario Draghi che, in occasione dell’annuncio dell’Opa (mai lanciata) da Kkr su Telecom, si limitò a dichiararsi neutrale. Chissà, una volta fatta la pace con Berlusconi, Bolloré potrebbe ribaltare i giochi in Tim. 

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