editoriali

Sì a gas e nucleare nella tassonomia degli investimenti sostenibili

Redazione

Il voto dell’Europarlamento mostra che forzature e radicalismo non pagano. Ma il dibattito non è chiuso. Da qui al 2050 dovremo imporre una trasformazione profonda al modo in cui produciamo e consumiamo energia. Esporla ai cicli elettorali è rischioso

Il Parlamento europeo ha respinto il tentativo di affossare la tassonomia degli investimenti sostenibili. Tutto era partito con un colpo di mano della Commissione Ambiente, ma si è risolto in una disfatta: 278 i favorevoli, 328 i contrari e 33 gli astenuti. E’ una buona notizia, cum juicio. La proposta della Commissione riconosce il contributo che l’atomo e, sotto condizioni  restrittive, il gas possono offrire alla decarbonizzazione. L’uno è in grado di produrre energia a zero emissioni; l’altro è utile sia a sostituire il più inquinante carbone, sia a supplire l’intermittenza delle fonti rinnovabili. Ora sarà più facile finanziare investimenti in queste tecnologie, facilitando il raggiungimento della neutralità carbonica e, nel breve termine, a disincagliarci dal gas russo.

  

 

Sarebbe però sbagliato pensare che questo chiuda il dibattito. Intanto, specie per quanto riguarda il gas, la tassonomia pone limiti emissivi che difficilmente possono essere raggiunti con le tecnologie attuali: la battaglia, quindi, si sposta sulla realizzazione di adeguate infrastrutture per la cattura e lo stoccaggio della CO2 e sui gas decarbonizzati (come biometano e idrogeno). Ma, più importante, il voto di lunedì si porta appresso una forte divisione politica: mai come in questo caso il Parlamento si è spaccato sull’asse destra-sinistra.

 

La neutralità carbonica è un obiettivo di lungo termine: da qui al 2050 dovremo imporre una trasformazione profonda del modo in cui produciamo e consumiamo energia. Esporre questa trasformazione ai cicli elettorali rischia di essere disastroso. I partiti, sia a livello nazionale sia europeo, dovrebbero sforzarsi di riaprire un dialogo, fuggendo dalla tentazione della “identity politics” su un tema che invece necessita di condivisione. E l’onere di ricucire spetta soprattutto a chi è maggiormente convinti della necessità di contrastare il cambiamento climatico: il fallimento della forzatura sulla tassonomia dimostra che il radicalismo non paga.

Di più su questi argomenti: