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Agenda Panetta. Storia economica di un predestinato per il dopo Visco

Stefano Cingolani

Le dimissioni del governatore di Banca d’Italia a ottobre, un anno prima della scadenza naturale, “non sono all’ordine del giorno” sostengono fonti di via Nazionale. In realtà è una scelta che non si può “né annunciare né confermare". Intanto il candidato in pole position c’è e sembra quasi predestinato

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Le dimissioni di Ignazio Visco il prossimo ottobre, un anno prima della scadenza naturale “non sono all’ordine del giorno” sostengono fonti della Banca d’Italia. “Non ne so nulla – ha dichiarato Mario Draghi –  sarà il governatore che deciderà quando vuole, è sempre stato così”. Dai palazzi del governo filtra la preoccupazione che in questo momento il cambio a palazzo Koch possa essere una mossa incauta. In realtà, come ha scritto l’Adnkronos, è una scelta che non si può “né annunciare né confermare prima che una eventuale decisione in questo senso non sia stata non solo maturata, ma anche condivisa nella tempistica e nelle modalità con le più alte cariche dello Stato”. In ogni caso, “dietro la notizia non c’è, con ogni probabilità, né una forzatura giornalistica né tantomeno il tentativo di destabilizzare Bankitalia. Può esserci, al contrario, il segnale di una preoccupazione che il complicarsi del contesto evidentemente sta alimentando”.

  

Preoccupazione che accomuna i due presidenti, Sergio Mattarella e Mario Draghi. Come ha scritto il Foglio, “lo schema prevede la necessità di utilizzare i prossimi mesi che si separano dalla fine della legislatura, per irrobustire la spina dorsale del paese, per metterlo in sicurezza”, anche con un ricambio nelle posizioni chiave al vertice della Repubblica.

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Ma se Visco lascia, chi prenderà il suo posto? Il candidato in pole position c’è e sembra quasi predestinato: il suo nome è Fabio Panetta, già direttore generale della Banca d’Italia dove è entrato nel 1985 dopo la laurea e dove ha percorso tutto il cursus honorum con una particolare competenza sui dossier internazionali seguendo come sherpa Draghi con il quale ha stabilito un rapporto molto stretto. Un tecnico preparato con un retroterra famigliare di “pane e politica”.

 

Oggi è membro del comitato direttivo della Bce e si è messo in luce con un crescendo di credibilità che non è sfuggito agli osservatori attenti, sia a Roma sia a Francoforte. Linea morbida sui tassi d’interesse, scudo anti spread, un fondo comune europeo per gli investimenti, fermezza nel “sostenere l’Ucraina e impegnarsi perché la guerra finisca in fretta” (dichiarazioni non usuali per un esponente della Bce), un euro digitale per rafforzare la moneta unica e contrastare gli attacchi cibernetici, da aprile in qua si moltiplicano gli interventi di Panetta sulle questioni chiave che riguardano la politica della Bce nel momento in cui emergono divergenze antiche sotto vesti nuove e Christine Lagarde si mostra incerta nei messaggi che manda ai mercati sempre pronti a prenderla in contropiede. Non si tratta di fare la colomba contro i falchi, né di addolcire la pillola, ma di scegliere le medicine giuste.

 

Nel ricevere all’università di Cassino la laurea ad honorem, il 6 aprile, Panetta ha rilanciato “un recovery fund perpetuo”. Lo richiedono “la guerra in Ucraina, la transizione ecologica – che ora si è aggravata per la necessità di diversificare le fonti energetiche per affrancarsi dalla Russia – ma anche l’aumento delle spese per la difesa. L’idea che l’Ue possa funzionare senza una capacità fiscale centralizzata è semplicemente un’illusione”.

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Quanto all’inflazione occorre riconoscere che non è un fenomeno europeo, ma globale, circa un terzo dell’aumento è dovuto alla crisi energetica provocata dalla guerra, ha detto Panetta in una intervista alla Stampa il 5 maggio. Attenti a dosare nel modo giusto la politica monetaria perché la recessione è in agguato: “Il pil decelera in Spagna, è fermo in Francia e in calo in Italia. In Germania la dinamica è contenuta e mostra un indebolimento da fine febbraio, l’attimo in cui tutto è cambiato. I margini di manovra della politica monetaria per influire su questa inflazione importata sono limitati, dobbiamo ammetterlo”. Non è necessario sostenere il cambio della valuta. Anzi “un euro forte peserebbe sulla domanda estera, danneggiando ulteriormente la crescita”.

   

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La battaglia più importante riguarda non il valore di mercato, ma gli strumenti per evitare frantumazioni della moneta unica. Si tratta dello scudo anti spread che, ha sottolineato Panetta il 15 giugno, “non impedisce la nostra politica monetaria, ma è condizione necessaria per portare l'inflazione di nuovo al 2 per cento”. Non tutti la pensano così nella Bce: il direttivo ha dato mandato per “accelerare il completamento della progettazione di un nuovo strumento anti-frammentazione”, senza ulteriori dettagli. Se ne parlerà nelle prossime riunioni. Panetta non molla, sono in ballo gli interessi del paese, questa non è solo la sua battaglia. Chissà se la condurrà ancora a lungo da Sonnemannstrasse 20 o da via Nazionale 91?

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