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l'intervista

Realacci: “L'inceneritore a Roma non è tabù, il M5s sbaglia. Gas e carbone servono in emergenza"

Maria Carla Sicilia

Rifiuti, energia e nimby. Chiacchierata con il presidente onorario di Legambiente e ambientalista di vecchia data. "Gualtieri sbaglia a partire dal termovalorizzatore, ma la città può averne bisogno"

Il termovalorizzatore di Roma? “Non è un tabù. Il M5s sbaglia”. Il gas italiano? “Sono briciole ma in questo momento servono, come le centrali a carbone”. I rigassificatori? “Si devono fare”. Se ci fermassimo qui, le parole di Ermete Realacci non sembrerebbero quelle del presidente onorario di Legambiente  e fondatore del centro studi Symbola. C’è molto di più nella lunga chiacchierata con il Foglio. Ma il cuore del ragionamento non cambia: la transizione energetica non si fa con la retorica. “Si fa con una politica di visione e concretezza. E quella del M5s sembra più una politica di slogan”. Giuseppe Conte ha sbagliato a chiedere ai suoi ministri di non partecipare al voto? “Sì. E’ un tema sul quale hanno delle responsabilità: Roma viene da cinque anni in cui non è stato fatto nulla. Non prendi le distanze da un provvedimento come quello approvato lunedì dal governo per un inceneritore. I problemi oggi in Italia mi sembra che siano un po’ più seri del termovalorizzatore di Roma”. 


Riavvolgiamo il nastro e torniamo ai rifiuti. Ha fatto bene il sindaco Roberto Gualtieri ad annunciare questo nuovo impianto? “Fa male a partire dall’inceneritore”. Così è una questione di forma. “No, anche di sostanza: bisogna partire dalle cose che si possono fare subito, come gli impianti sulla frazione umida. Penso che Gualtieri sia un ottimo sindaco e l’ho votato. Ma la partita dei rifiuti è complicata. Sicuramente Roma può avere bisogno di un inceneritore, ma a patto che sia alla fine di una politica integrata sui rifiuti. Quell’annuncio invece manda un messaggio discutibile alla città: bisogna far capire che si ha in mente non un oggetto, un totem, ma una politica a cui i cittadini sono chiamati a collaborare, partire da una buona differenziata fino ad accettare gli impianti quando servono. Questo francamente mi pare che sia mancato. E questo andrebbe recuperato”. Così si può superare il nimby verso gli impianti? “L’opposizione ci sarà sempre. C’è anche verso quelli rinnovabili e spesso con argomentazioni identiche rispetto a una centrale nucleare”.

 

A proposito di opposizioni, gli ambientalisti non sono immuni. E’ bastato che il ministro Roberto Cingolani prospettasse l’ipotesi di posizionare in Puglia uno dei due rigassificatori galleggianti con cui il governo vorrebbe sostituire parte del gas russo perché si sollevassero le prime barricate preventive. Anche da parte della Legambiente locale. “Quegli impianti servono. In emergenza va fatto quello che serve. Vogliamo estrarre più gas? Si può fare. Ma dobbiamo sapere che sono briciole: avere tre miliardi in più di produzione nazionale significa garantire meno del 5 per cento del consumo”. Sono briciole che servono... “Sì e vanno estratte. Così come vanno tenute aperte le centrali a carbone per due o tre anni. Va cercato il metano negli altri paesi. Ma dobbiamo sapere che tutto questo dura per poco tempo. Il problema lo risolvi se lavori sull’efficienza energetica, facendo un ecobonus che funzioni davvero. È fondamentale per affrontare la crisi energetica perché un terzo del metano lo consumiamo negli edifici. E poi spingere moltissimo sulle rinnovabili. L’Italia è inchiodata da anni”. E per quali motivi? “La burocrazia e una gestione inefficiente degli incentivi, a parità di spesa abbiamo ottenuto meno della Germania che procede a passo spedito nella sua road map. E poi una scarsa visione politica”.

 

La politica energetica miope ci ha portato anche a dipendere per il 40 per cento dal gas russo. “Guardi, era il 1996 e a Monfalcone si votava per decidere se fare o meno un rigassificatore. A quel referendum prendemmo una posizione favorevole anche contro altri ambientalisti. Avevo ben chiaro che il metano era utile per la transizione. Serviva garantire all’Italia approvvigionamenti diversi e costi più bassi, non essere dipendenti dai tubi. Quel referendum perse con un risultato dignitoso. Per me era un principio, per dire che quella strada andava presa, che qualche rigassificatore all’Italia serviva, e non per aumentare il consumo di gas ma per mettere in sicurezza il paese”. C’è anche un altro tubo che ora è diventato essenziale per garantirci diversificazione e prezzi meno alti. “Quando ci fu il dibattito sulla Tap dissi subito che non era un problema ambientale rilevante. Fu demenziale fare un gran casino per poche decine di migliaia di ulivi che venivano ripiantati invece di fare la guerra alle misure contro la Xylella che hanno ammazzato milioni di ulivi. Un errore drammatico di un pezzo di ambientalismo”. L’ultimo tabù resta il nucleare. Non esiste il nucleare di ultima generazione. Esiste la prospettiva della fusione, che se va bene produrrà qualche kilowattora dopo la metà di questo secolo”. E’ meglio abbandonare la prospettiva di avere energia pulita e senza emissioni, anche se fosse nucleare? “Ma assolutamente no. La ricerca apre porte che non si possono immaginare. Così è stato per il solare fotovoltaico. Ma non nascondiamoci dietro l’alibi della fusione per non fare rinnovabili che si possono fare prima e con costi minori”.
 

  • Maria Carla Sicilia
  • Nata a Cosenza nel 1988, vive a Roma da più di dieci anni. Ogni anno pensa che andrà via dalla città delle buche e del Colosseo, ma finora ha sempre trovato buoni motivi per restare. Uno di questi è il Foglio, dove ha iniziato a lavorare nel 2017. Oggi si occupa del coordinamento del Foglio.it.