La crisi alimentare

L'Asia centrale non si fida più dell'economia russa

Davide Cancarini

Le sanzioni comminate alla Russia rischiano di far scoppiare una crisi alimentare. Mosca ha infatti deciso di sospendere le esportazioni di grano verso i pesi memebri dell'Unione economica eurasiatica

La crisi economica che si è abbattuta sull’Asia centrale a seguito dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia potrebbe presto trasformarsi anche in una crisi alimentare. Per salvaguardare il fabbisogno interno, Mosca ha infatti deciso, dopo l’imposizione delle sanzioni internazionali nei suoi confronti, di sospendere temporaneamente le esportazioni di grano verso i paesi membri dell’Unione economica eurasiatica: Kazakistan, Kirghizistan, Bielorussia e Armenia. Una decisione che a cascata ha portato a sua volta il Kazakistan a introdurre forti limitazioni alle vendite all’estero di grano e farina a partire dal 15 aprile e per tre mesi. La mossa kazaka – legata all’impossibilità di acquistare dalla Russia a buon mercato e rivendere a terzi a un prezzo più alto – ha destato più di una preoccupazione tra i vicini regionali del gigante centro asiatico.

 
Come riportato anche da Radio Free Europe/Radio Liberty, alcune delle repubbliche dell’area ottengono circa il 90 per cento delle proprie importazioni di frumento dal Kazakistan. Il Tagikistan, per esempio: Dushanbe acquista da Nur-Sultan sostanzialmente la totalità del grano che importa, una quota che si avvicina a quasi 1 milione di tonnellate. Il governo tagico ha inizialmente provato ad affrontare la questione chiedendo alla popolazione di aumentare la produzione interna di cereali. Facendosi sempre più concreto il rischio di una crisi alimentare, le autorità avrebbero però deciso, secondo indiscrezioni diplomatiche, di inviare a Washington una delegazione di alto profilo per incontrare rappresentanti del Fondo monetario internazionale, della Banca mondiale e del governo statunitense per chiedere assistenza economica. Un chiaro segnale che la situazione domestica rischia di assumere contorni sempre più drammatici.

 
Anche l’Uzbekistan è fortemente esposto agli acquisti di grano dal mercato kazako e la decisione del governo di Nur-Sultan di limitare le esportazioni non poteva avvenire in un momento peggiore. Le autorità uzbeke avevano infatti appena deciso di aumentare le importazioni di frumento per una quota pari a seicentomila tonnellate, per garantire il soddisfacimento della domanda interna. Un piano che ora dovrà essere  rivisto al ribasso, nonostante la sua rilevanza per un paese che con quasi 35 milioni di abitanti è di gran lunga il più popoloso dell’Asia centrale.  

 
Bisogna dire che la possibile crisi alimentare sarebbe solo l’ultima conseguenza economica sulla regione delle sanzioni nei confronti della Russia. Tra crollo delle rimesse, svalutazione delle monete locali, rincari generalizzati dovuti anche all’arrivo nell’area di decine di migliaia di professionisti russi in fuga dal regime putiniano, le repubbliche dell’area sembrano destinate a dover affrontare mesi, se non anni, particolarmente complessi. A livello geopolitico questo potrebbe tradursi nella necessità per i governi locali di reinventarsi dal punto di vista economico e commerciale, non potendo più fare affidamento, perlomeno non tanto quanto fatto finora, su Mosca.


La Cina è ovviamente pronta ad approfittarne per accrescere ulteriormente il proprio peso nella regione, magari strappando ulteriori concessioni militari e territoriali dalle repubbliche in crisi. Ma non solo a Pechino si guarda con interesse a questi sviluppi. In una sorta di ritorno di fiamma dopo il tentativo di diventare un partner privilegiato in Asia centrale azzardato subito dopo il dissolvimento sovietico, anche la Turchia appare desiderosa di approfittare della situazione. Se sul fronte militare Ankara è già un ottimo partner per alcuni dei paesi dell’area, sul fronte economico i margini di crescita sono notevoli. Gli scambi turco-kazaki sono per  esempio stati pari a circa 4,1 miliardi di dollari nel 2021, ma l’obiettivo comune è portarli a 10 miliardi nei prossimi anni. Come a dire che la Russia è destinata a rimanere un interlocutore fondamentale per i paesi della regione, ma forse meno che in passato

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