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La doppia sfida per l’Italia dopo la svolta della Bce. Parla Codogno 

Mariarosaria Marchesano

La banca centrale europea ha chiuso ieri il programma di acquisti pandemico. "Non vedo la possibilità che si inneschi una crisi prima del 2023. Draghi sta guidando abilmente il suo governo con due obiettivi in mente: realizzare il Pnrr e affrontare la crisi ucraina", dice il visiting professor alla London School of Economics

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Il Pepp è finito ieri e non è un pesce d’aprile. Come previsto, la Bce ha chiuso il programma di acquisti pandemico, il paracadute che negli ultimi due anni ha consentito agli stati europei di indebitarsi senza limiti per contrastare l’impatto della crisi sanitaria sull’economia. Che cosa succederà adesso? Lorenzo Codogno, visiting professor alla London School of Economics e fondatore della società di consulenza e ricerca LC Macro advisors, spiega al Foglio: “È molto probabile che la Banca centrale europea abbia già messo in cantiere un nuovo programma straordinario di acquisto titoli nel caso in cui si paventasse un rischio di frammentazione economica e finanziaria della zona euro, il che per l’Italia vorrebbe dire rendimenti dei titoli di stato più elevati e, dunque, maggiore costo del debito”. Un rischio concreto se si considera lo scenario di grande incertezza alimentata dalla guerra russo-ucraina e dalla crescita dell’inflazione che a marzo ha raggiunto il 7,5 per cento (in Italia è al 7 per cento).

 

La presa del Covid sull’economia si è allentata, ma il conflitto ha creato uno choc energetico che impatta sulla crescita e crea esigenza di sostegno fiscale in una fase in cui gli stati europei non hanno ancora deciso se emettere nuovo debito comune. “I governi saranno portati ad aumentare il sostegno fiscale all’economia, ma per farlo dovranno rivolgersi sempre di più ai mercati finanziari per collocare il debito, il che pone di nuovo sotto i riflettori degli investitori internazionali le prospettive di stabilità politica dell’Italia”, prosegue Codogno. L’Italia è stato il terzo paese benefattore del Pepp che in due anni ha acquistato complessivamente circa 1700 miliardi di titoli governativi: 400 miliardi dalla Germania, 290 miliardi dalla Francia, 270 dall’Italia. Un’analisi della banca d’affari americana Bofa dice ironicamente che nelle attuali circostanze la fine del Pepp potrebbe apparire come uno scherzo (un pesce d’aprile, appunto) e cita le recenti affermazioni del capo economista della Bce, Philip Lane, il quale ha ricordato come il programma abbia svolto il ruolo di “stabilizzatore di mercato”. Lane ha anche detto che “l’esperienza della pandemia è servita a dimostrare che in risposta a un grave choc, le politiche di governi e banche centrali possono efficacemente integrarsi a vicenda. E ha aggiunto che “condizioni di finanziamento favorevoli hanno consentito prestiti fiscali su larga scala che a loro volta hanno permesso ai governi di fornire una serie di sussidi e garanzie di credito alle imprese”.

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Ma per queste ragioni, Bofa si domanda se ci fosse la necessità di accelerare la fine degli acquisti di asset a marzo nel bel mezzo della guerra in Europa e conclude che la Bce sta affrontando alcune incongruenze al suo interno. Codogno ritiene che Francoforte si stia preparando a un piano B con un nuovo programma straordinario di acquisto titoli, di cui, però, si sa molto poco per ora. “Gli spread dei paesi periferici potrebbero tornare sotto pressione – dice l’economista – con un rischio di aumento dei rendimenti dei titoli di stato italiani e quindi un maggior costo del debito”. Insomma, ce la farà l’Italia senza Pepp? “Nonostante le attuali tensioni nella maggioranza di governo generate dalle diverse visioni sulla spesa militare, non vedo al momento la possibilità che si inneschi una crisi prima delle elezioni del 2023 – prosegue Codogno -. Dopo l’estate la campagna elettorale sarà in pieno svolgimento, portando alcuni rischi. Draghi sta tuttavia guidando abilmente il suo governo con due obiettivi in mente: realizzare il Pnrr e affrontare la crisi ucraina e le sue conseguenze economiche”. In conclusione, il periodo del Pepp che Codogno chiama “The big anesthetic” è terminato, ma gli effetti si cominceranno a sentire solo tra qualche mese quando i partiti politici si posizioneranno per le elezioni e sui mercati si ricomincerà a misurare il rischio Italia. 

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