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La resa del rublo

Putin fa dietrofront: i “paesi ostili” pagheranno il gas ancora in euro

Stefano Cingolani

Spinto dagli oligarchi il presidente russo è costretto a ritirare la decisione presa alcuni giorni fa per rispondere alle sanzioni dell'occidente

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Contrordine compagni, pagare il gas in rubli non è più imminente. “Ci vorrà tempo” perché “ci sono questioni tecniche da sistemare” spiega Dmitri Peskov, il portavoce del Cremlino, affinché nessuno pensi che si tratta di una ritirata tattica o strategica che dir si voglia, in ogni caso da domani tutto resta come prima. Anche questa battaglia per il momento è perduta. L’Eni, la Total e tutte le altre imprese dei “paesi ostili”, a cominciare da Germania e Italia, quelli che secondo Vladimir Putin hanno tradito, continueranno a pagare in euro, come è scritto nei contratti fin dal momento in cui sono stati stipulati i contratti. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz dal canto suo sostiene che si aprirà una trattativa parallela, rublo e gas verranno messi in due panieri diversi e affrontati nel loro specifico. Un’operazione complicata, vedremo cosa ne uscirà fuori, certo una soluzione tortuosa rispetto a quella attuale. Comunque vada, è chiaro che zar Vlad ha compiuto un gesto disperato quanto sconsiderato e adesso cerca di uscire dalla trappola che si è costruito da solo. E’ probabile che a convincerlo siano stati gli stessi oligarchi che guidano i grandi gruppi energetici, a cominciare da Aleksej Miller di Gazprom, perché proprio il monopolista del gas rischia di essere la vittima principale dell’ukaz putiniano. 

Le imprese esportatrici prendono gli euro (o i dollari) e li depositano nelle banche internazionali con le quali lavorano. Parte della valuta resta all’estero per coprire le operazioni internazionali e pagare i debiti, per esempio le obbligazioni emesse sui mercati (Gazprom è fortemente esposta e deve far fronte a una serie di scadenze cogenti), un’altra quota finisce a Cipro e nei paradisi fiscali, ma la legge stabilisce che il grosso (circa l’80 per cento) torni a casa attraverso le banche russe le quali versano la valuta alla Banca centrale. Finché la moneta nazionale resta convertibile il flusso è un lungo fiume tranquillo, le sanzioni però creano un cortocircuito. Il rublo è uscito dalle trattazioni internazionali (salvo mercati marginali), è diventato autarchico e le quotazioni che si leggono sui giornali ormai non hanno alcun significato fuori dalla Russia. Per aprire un varco il Cremlino ha imposto alle aziende di rimpatriare il 100 per cento, ma così facendo mette in difficoltà le imprese che ancora stanno sui mercati. 
Putin è convinto che se il rublo si rivaluta in modo permanente ne ottiene un risultato politico. Quota cento con il dollaro è il livello da superare. Con un paragone magari un po’ ardito, assomiglia alla quota 90 della lira con la sterlina, la disastrosa battaglia monetaria di Benito Mussolini. In ogni caso, rimettere rubli nelle banche occidentali e farli circolare violando le sanzioni sarebbe già un obiettivo minimo. Con l’editto del 23 marzo, chi vuole importare gas dovrebbe rivolgersi direttamente alle banche russe, prendere da loro rubli in cambio di euro o dollari che andrebbero poi nelle riserve della Banca centrale. Ma nel frattempo la valuta russa uscirebbe dai confini, aggirando la cortina occidentale.

Putin, però, ancora una volta ha sottovalutato la reazione compatta delle stesse imprese occidentali. In primo luogo quella russa sarebbe una violazione dei contratti che andrebbero rifatti da capo a piedi. Inoltre le regole del mercato (sia pure monopolistico), sarebbero sostituite da una tagliola politica con costi finanziari (il cambio del rublo diventa pressoché arbitrario) e strategici. La moneta putiniana dopo le sanzioni resta un numerario e un mezzo di scambio sia pur limitato ai confini nazionali, ma non più una riserva di valore dal momento che viene stabilita dal potere autocratico di Mosca. Come spiega Martin Wolf sul Financial Times, “le monete che servono davvero sono quelle di economie aperte con mercati finanziari liquidi, stabilità valutaria e primato delle regole e della legge, la rule of law”. 

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Il dietrofront, in attesa di capire se sarà una vera svolta, mostra il fianco scoperto delle armate economiche russe: chiudere il rubinetto del gas sarebbe un vero tracollo, facendo perdere incassi che vanno tra i 300 e i 400 miliardi di euro e portando Gazprom al serio rischio di un default con un effetto domino incontrollabile. La bilancia a questo punto si sposta dal venditore al compratore, dal produttore ai consumatori, dei quali la Russia non può fare a meno. Si era detto che zar Vlad persegue obiettivi folli in modo razionale, insomma c’era della logica in quella pazzia. La mossa del rublo e del gas mette in seria crisi anche questa convinzione.

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