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Ecco perché benzina e diesel sono aumentati (spoiler: non è colpa dei benzinai)

Luca Michele Piscitelli

In Italia i prezzi alla pompa al netto delle tasse sono cresciuti di meno che nel resto d'Europa. Alla base dei rialzi c'è il costo della materia prima, mentre per i distributori diminuiscono i margini. L'unica componente rimasta invariata (per il momento) è quella fiscale. Indagine sulla "colossale truffa" denunciata dal ministro Cingolani

La settimana scorsa il ministro Roberto Cingolani ha definito una “colossale truffa” il rialzo dei prezzi dei carburanti osservata dopo l’invasione russa ai danni dell’Ucraina. Sebbene lo staff del ministro si sia affrettato a precisare che le accuse erano rivolte alle speculazioni su greggio e gas sui mercati internazionali, il clamore dell’uscita di Cingolani ha alimentato dubbi sulla “buona fede” del prezzo di benzina e diesel alla pompa, nonostante l’industria petrolifera italiana sia tra quelle che in Europa ha meglio reagito alla crisi ucraina.

 

Da quanto emerge dallo “stacco Europa” – lo strumento della Commissione europea che raccoglie ogni settimana la media dei prezzi dei carburanti nei paesi dell’area euro – tra il 27 febbraio e il 6 marzo in Italia il prezzo rilevato alla pompa al netto delle tasse è stato più basso di 9,7 cent/litro sulla benzina e di 14,2 cent/litro sul gasolio rispetto ai prezzi medi applicati negli altri paesi europei. Si tratta di un differenziale “mai rilevato prima di oggi”, ha sottolineato in una nota Unem, l’associazione che rappresenta le aziende che operano nell’ambito della lavorazione, della logistica e della distribuzione dei prodotti petroliferi.

 

“A dire il vero il prezzo industriale italiano dei carburanti è già da alcuni anni più basso della media dell’area euro di 4-5 centesimi al litro, nonostante una rete sicuramente meno efficiente, e questa è la prova di un alto livello di concorrenza nel nostro mercato", spiega il presidente di Unem, Claudio Spinaci. "La scorsa settimana si è raggiunto un picco di 10-14 centesimi che deriva dalla tempistica con cui nei diversi paesi vengono trasferite le variazioni delle quotazioni internazionali. Ciò vuol dire che in Italia i forti incrementi dell’ultima settimana sono stati recepiti solo in parte dai prezzi industriali”. Ma nella nuova rilevazione attesa per domani non dovrebbero esserci grosse sorprese: il segno resterà comunque negativo rispetto alla media europea. 

 

Non regge nemmeno l’ipotesi secondo la quale sia la categoria dei distributori di carburante, cioè i benzinai, a determinare il netto balzo in avanti dei prezzi alla pompa. L’idea di un incremento illecito dei prezzi alla pompa di benzina e gasolio appare irrealistica anche solo guardando alla struttura della rete carburanti. In Italia risultano operanti più di 22 mila impianti di distribuzione, proliferati dopo la liberalizzazione del mercato e non più gestiti unicamente dai grandi gruppi petroliferi integrati verticalmente. Ci sono infatti una miriade di piccoli gestori che mal si prestano all’ipotesi di un “cartello” che fissi arbitrariamente il prezzo a danno degli automobilisti. Paradossalmente il settore ha sempre subito la pressione del problema inverso, cioè quello di prezzi non concorrenziali al ribasso. Prima dell’attuale crisi energetica, infatti, l’accusa di frodi nel settore della distribuzione carburanti era rivolta a quei distributori che praticavano prezzi così bassi da essere praticamente fuori mercato grazie all’evasione fiscale e/o all’acquisto di carburanti attraverso canali illeciti.

 

Quello che invece può avere inciso sull'aumento dei prezzi, oltre alle quotazioni internazionali del greggio, è un'altra dinamica riscontrata nelle scorse settimane, cioè la corsa di alcuni intermediari di prodotti petroliferi ad assicurarsi maggiori scorte dalle raffinerie con ordini di molto superiori a quelli ordinari. Per questo in alcuni casi, soprattutto nel sud Italia, si è verificata una scarsità di prodotto sul mercato con razionamenti di gasolio, come ha denunciato Assoenergia-Assopetroli, l’associazione che raccoglie le principali aziende di carburanti all’ingrosso. Più che frodi, una irruenta speculazione sui portafogli di imprese e famiglie: acquistare più carburante oggi a prezzi più competitivi, per tutelarsi da rincari futuri, così da rivenderli domani a prezzi (e margini) maggiori.

 

Per capire quindi da dove derivino i forti rincari delle ultime settimane si deve tornare a come si ottiene il prezzo dei carburanti. Questo è sostanzialmente formato da due componenti: una fiscale – Iva e accise: che pesano circa il 55 per cento – e una industriale, che comprende il costo della materia prima e il margine lordo. Questa seconda componente in Italia ha subito un rialzo minore che nel resto d'Europa, ma mentre il costo della materia prima è passata dal 33 al 38 per cento nei primi 15 giorni marzo, il margine lordo su cui possono agire gli operatori per modificare il prezzo alla pompa si è addirittura ridotto dal 9 all'8 per cento. “Oggi la preoccupazione principale è la tenuta finanziaria dell’intero comparto per gli alti costi di approvvigionamento e dell’energia che stanno saturando le linee di credito. Contrariamente a quanto si è portati a credere, la raffinazione e la distribuzione/logistica, ossia il settore che Unem rappresenta, non trae alcun vantaggio da prezzi così alti, ma anzi vede ridursi i propri margini proprio per questi maggiori costi di approvvigionamento e dell’energia”, sottolinea Spinaci.

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