le decisioni di francoforte

Contro l'inflazione la Bce naviga a vista. Stop agli stimoli pandemici, tassi inalterati

“Stiamo ai dati giorno per giorno, impariamo dalla realtà, adeguandoci”, ha detto Christine Lagarde a proposito del rialzo dei prezzi. Ma di fronte a una pandemia globale, le politiche monetarie guardano ai propri confini: il Giappone conferma gli stimoli, la Bank of England alza i tassi e la Fed spinge sul tapering 

La Banca centrale europea ha deciso di lasciare immutati i tassi d’interesse tra zero e meno 0,5, mentre concluderà il 31 marzo 2022 il programma Pepp (Pandemic emergency purchase program), gli acquisti per l’emergenza Covid varati nel marzo 2020. Il board direttivo ha preso atto della ripresa economica – per la verità non omogenea nell’area euro e “nonostante un rallentamento nel breve periodo”, come ha detto la presidente Christine Lagarde – e manterrà gli altri piani di politica monetaria accomodante, a cominciare dagli acquisti in ambito App (Expanded asset purchase program) mirato ai titoli pubblici. Questi verranno incrementati da 20 a 40 miliardi di euro al mese nel secondo trimestre 2022 e a 30 nel terzo, torneranno a 20 ad ottobre e dureranno “per tutto il tempo necessario per rafforzare l'impatto accomodante dei tassi”. Egualmente la Bce si riserva la massima flessibilità, compresa la riattivazione del Pepp; le cui cedole continueranno ad essere reinvestite e girate all’economia fino a tutto il 2024.

 

In definitiva, niente aumenti dei tassi, neppure previsti; fine degli stimoli pandemici che, dopo un aumento in questo trimestre, si ridurranno settimanalmente e cesseranno. Mentre, dice ancora Lagarde, “rimane necessario un importante sostegno monetario all'economia per mantenere condizioni di finanziamento favorevoli”. Flessibilità e prudenza sono le parole più usate dalla presidente francese, sulla quale incombevano le tradizionali divisioni tra rigoristi ed espansivi del board, seppure meno evidenti. Egualmente molto prudente Lagarde è stata nel giudicare l’inflazione: strutturale, come la considera il presidente della Federal reserve Jerome Powell, o temporanea causa rimbalzo economico? Molto la seconda ipotesi, causa rincaro dell’energia e “collo di bottiglia” delle materie prime, anche se Lagarde ha detto poi che con la variante Omicron che prende piede, e possibili altre varianti, seguire una dottrina unica è impossibile. “Stiamo ai dati giorno per giorno, impariamo dalla realtà, adeguandoci”.

 

Più netta è apparsa riguardo al rischio di un’impennata dei salari, che negli Usa in alcuni settori ha raggiunto il 15 per cento, con le aziende che scaricano il costo sui consumatori generando una spirale inflazionistica sulla quale la Fed è intervenuta riducendo gli acquisti e soprattutto annunciando tre rialzi dei tassi nel 2022 e altri tre nel 2023. “In Europa” ha detto Lagarde “non vediamo questo fenomeno”. Eppure, a poca distanza, la Bank of England, dopo avere a lungo tergiversato, ha alzato il tasso principale dallo 0,1 allo 0,25 per cento. Mentre dall’altra parte del mondo la Bank of Japan ha confermato tutti gli stimoli all’economia, annunciando anzi di volerli rafforzare. Però il Giappone ha un Pil in peggioramento del 3,6 per cento su base annua, dello 0,9 su base trimestrale, e un’inflazione sottozero.

 

A fronte di una pandemia globale non altrettanto globali sono insomma le conseguenze economiche, e ancora meno le ricette delle autorità monetarie. Il famoso “concerto” tra banchieri in uso fino a qualche anno fa, per evitare tra l’altro i rischi di guerre valutarie (tanto più alzi gli interessi tanto più la tua moneta si rafforza, indebolendo l’export e beneficiando quello altrui), appare un remoto ricordo, nonostante il gran parlare di ritorno al multilateralismo. E’ ovvio chiedersi perché. E subito dopo domandarsi se la vigilanza sull’inflazione resti attuale come primo obiettivo dei banchieri centrali. A rompere il soffitto di vetro aveva provato Janet Yellen, nel breve periodo alla Fed nominata da Barack Obama, oggi segretaria al Tesoro di Joe Biden: Yellen chiedeva che le banche centrali si focalizzassero sulla disoccupazione e sul mercato del lavoro. Ora però l’inflazione è veramente minacciosa negli Usa, e benché la Casa Bianca non gradisca l’aumento dei tassi, con ripercussioni su mutui e prestiti, ancora più teme la ribellione dei consumatori-elettori di fronte ai rincari di ogni tipo, nonché il malumore delle aziende costrette ad aumentare le paghe.

 

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