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l'altra crisi

Non solo la bolletta, l’Italia scopre l’inflazione da carboidrati

Mariarosaria Marchesano

Cala la produzione mondiale di grano duro: così gli italiani potrebbero presto fare i conti con prezzi più alti di penne e spaghetti. Quando si invertirà il trend? Non prima del 2022

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Non sarà la dieta di carboidrati di Matteo Salvini a far ridurre il consumo nazionale di pasta, che si attesta su 23-24 chili annui a persona, secondo gli ultimi dati di Unionfood (al secondo posto nel mondo, a netta distanza, c’è la Tunisia con 17 chili pro capite). Ma gli italiani potrebbero presto fare i conti con prezzi decisamente più alti di penne e spaghetti in un contesto di calo mondiale della produzione di grano duro.  La stangata arriverà già a Natale, come ha anticipato uno dei più grandi produttori italiani, La Molisana, al Sole 24 Ore. Così, non ci saranno solo i rincari dell’energia a spingere verso l’alto il livello dei prezzi al consumo: l’Italia rischia l’inflazione da carboidrati. E come spesso succede quando si tratta di materie prime, serpeggia il timore di speculazioni e di aumenti pilotati dei prezzi da parte dei produttori, che, però, in questo caso non sembrano giustificati dai fatti. 

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Non sarà la dieta di carboidrati di Matteo Salvini a far ridurre il consumo nazionale di pasta, che si attesta su 23-24 chili annui a persona, secondo gli ultimi dati di Unionfood (al secondo posto nel mondo, a netta distanza, c’è la Tunisia con 17 chili pro capite). Ma gli italiani potrebbero presto fare i conti con prezzi decisamente più alti di penne e spaghetti in un contesto di calo mondiale della produzione di grano duro.  La stangata arriverà già a Natale, come ha anticipato uno dei più grandi produttori italiani, La Molisana, al Sole 24 Ore. Così, non ci saranno solo i rincari dell’energia a spingere verso l’alto il livello dei prezzi al consumo: l’Italia rischia l’inflazione da carboidrati. E come spesso succede quando si tratta di materie prime, serpeggia il timore di speculazioni e di aumenti pilotati dei prezzi da parte dei produttori, che, però, in questo caso non sembrano giustificati dai fatti. 

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Ecco perché sale il prezzo della pasta

 

Secondo l’associazione dei molitori (Italmopa-Confindustria), le quotazioni del frumento duro nazionale hanno superato, su alcuni mercati, 500 euro per tonnellata rispetto a una media di 250 euro per tonnellata nel corso degli ultimi cinque anni, mentre quelle del grano di importazione sfiorano ormai 550 euro per tonnellata. Rappresentando il grano duro mediamente l’80 per cento dei costi totali di un’azienda molitoria, non ci sarebbe da sorprendersi se variazioni di mercato di questa portata finissero per ripercuotersi su tutta la filiera produttiva fino ad arrivare al consumatore finale. “Noi stiamo già pagando il grano duro il 65 per cento in più rispetto anche solo a qualche mese fa – dice al Foglio Enzo Martinelli, presidente della sezione Molini e grano duro della Italmopa – E c’è di più. Il rischio è che tra qualche mese restiamo senza materia prima perché la produzione italiana, che è la meno cara sul mercato mondiale nonostante i recenti aumenti di prezzo, rischia di prendere la via dei paesi del Maghreb. In un mercato globale ma di nicchia e non quotato, come quello del grano duro, questo può accadere anche se mi auguro che si trovi una soluzione per evitarlo”. 

 

La fine dell'inflazione non prima del 2022

 

Secondo Alberto Ritieni, ordinario di chimica degli alimenti all’Università Federico II e voce esperta delle dinamiche che guidano i mercati mondiali del grano e dei suoi derivati, quella che si sta verificando è una “tempesta perfetta” dovuta al fatto che non solo il Canada, il principale paese esportatore al mondo, ha avuto quest’anno un raccolto molto inferiore alle attese (2,5 milioni di tonnellate in meno) a causa della siccità, ma che si è ridotta anche la produzione degli Stati Uniti e della Francia. “Per contro in Italia la raccolta di grano duro è aumentata quest’anno dell’1,5 per cento grazie a condizioni climatiche più favorevoli – dice Ritieni – ma questa crescita non riesce a soddisfare il fabbisogno per tutta la pasta secca che produciamo”. I dati sembrano non lasciare via di scampo e Martinelli li sintetizza così: “L’Italia importa ogni anno due milioni di tonnellate, pari all’incirca al 40 per cento del suo fabbisogno. Se questa produzione viene a mancare per difficoltà di approvvigionamento l’intero sistema va in crisi”. In queste condizioni sarà inevitabile un rincaro nei supermercati di pasta e di prodotti di panificazione realizzati con il grano duro che potrebbero colpire le famiglie e le fasce della popolazione con redditi più bassi. Ma quanto durerà la fiammata? “Condizioni climatiche permettendo, speriamo che i raccolti del 2022 torneranno ai livelli di qualche anno fa. Solo allora vedremo un raffreddamento dei prezzi”, aggiunge Martinelli. Ma è possibile che in Italia ci siano scorte così esigue da non riuscire ad arrivare tranquillamente al 2022? “Qualche importatore che ha fatto rifornimenti in tempi non sospetti  – prosegue Ritieni – potrebbe attendere che la bolla del grano scoppi prima di riversare sul mercato la materia prima che ha in casa. Ma sarebbe poca roba rispetto al gigantesco calo dei volumi di produzione che c’è stato. Questa non è una falsa crisi e l’Italia dovrà farci i conti”.

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