Ursula von der Leyen e Mario Draghi (LaPresse)

domande e prospettive

Pnrr tra euforia e realtà

Stefano Cingolani

Chi drammatizza il rischio dell’Italia esagera, ma gli interrogativi su cosa accadrà dopo la pioggia di denaro restano in sospeso 
 

L’Italia corre (tanto che vince persino i 100 metri alle Olimpiadi). L’Italia salta gli ostacoli (e prende la medaglia d’oro nell’alto). L’Italia compete (nel calcio è prima in Europa dopo aver ricacciato gli inglesi oltre Manica). L’Italia cresce (oltre il 5 per cento quest’anno, più della Francia e della Germania). L’Italia ha un super capo del governo (e chi più di Supermario?). Ok, ma l’Italia ha un debito pubblico da capogiro (2.700 miliardi di euro secondo in valore nominale dopo quello francese, ma pari al 160 per cento del pil rispetto al 116 della Francia), viene da anni di stagnazione economica, i suoi buoni del Tesoro sono valutati con tre B, di poco sopra i titoli spazzatura, il differenziale tra i Btp decennali e i Bund tedeschi, anche se è molto inferiore rispetto al passato, resta elevato: ieri 2 agosto veniva dato in discesa a quota 104,6 punti base (cioè 1,046 per cento), tuttavia la Francia è 30, l’Irlanda a 45. Ciò vuol dire che chi compra un Btp pretende un rendimento maggiore per compensare il rischio. Dunque, esiste ancora il rischio Italia.

 

L’Economist ama ragionare a mente fredda, talvolta persino gelida e nella rubrica Buttonwood che esamina umori, amori e odi dei mercati finanziari (la scrive John O’Sullivan e si chiama così perché a Wall Street gli scambi avvenivano all’ombra di un platano, in inglese “buttonwood tree”) ha analizzato l’eventualità che, finita la luna di miele, chi compra e vende moneta venga morso di nuovo dal tarlo del dubbio sul paese dove fioriscono i limoni. La conclusione dell’articolo è consolante, però resta un punto interrogativo, politico più ancora che economico. “L’Italia torna all’ovile – scrive – È una grande beneficiaria del Next Generation Eu. Draghi è ora primo ministro e a Bruxelles come a Berlino si fidano che userà bene il denaro. Ma che cosa succede dopo?”. Sia lode al dubbio, diceva Bertolt Brecht quando stava in California e non a Berlino est. In questo caso è un dubbio metodico, cartesiano quindi, che consente di fare chiarezza. 

 

Cominciamo, come fa Buttonwood, con l’obiettivo di inflazione deciso dalla Bce. Scegliere il 2 per cento come valore simmetrico equivale in pratica a stampare moneta affinché i prezzi salgano perché  in Europa sono attorno all’1,5 per cento e ci resteranno (al netto di imprevedibili catastrofi). L’inflazione, modesta e controllata, fa bene, è il lubrificante della macchina produttiva. Un salto teorico e pratico rispetto ai tempi in cui prevaleva la sindrome di Weimar. Ciò non vuol dire che i tassi d’interesse saranno sempre vicini a zero o negativi, continua O’Sullivan, ma che “non verranno aumentati prematuramente”. In ogni caso, lo spread è destinato a ridursi in generale e l’Italia ha ulteriori margini per abbassare il premio contro il rischio sovrano.

 

Non fa male ricordare che dalla sua nascita nel 1861 l’Italia ha sempre portato sulle spalle un debito pubblico molto pesante (eredità del Piemonte non del Regno di Napoli, checché ne pensino i leghisti); è stato a lungo nelle mani di grandi finanzieri come i Rothschild, prima che Giovanni Giolitti lo nazionalizzasse portandolo nei portafogli degli italiani, Mussolini chiese aiuto alla banca Morgan, poi bruciò i titoli di stato sull’Altare della Patria. Le disavventure del debito s’accompagnano alle disavventure della lira, però l’Italia si è sempre fermata sull’orlo del precipizio, senza finire in bancarotta, come mostrano gli economisti Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff nel loro libro “Questa volta è diverso. Otto secoli di follia finanziaria”. 

 

I mercati finanziari debbono tenere i nervi saldi e la testa a posto, i trader dovrebbero maneggiare con cura i Btp. Gingillarsi con l’ipotesi che l’Italia faccia default e abbandoni l’euro non ha molto senso, ancor meno quando lo fanno finanzieri italiani, economisti di nome più che di fatto, o magari disillusi luminari della triste scienza. Sottolinea l’Economist: “Se l’Italia esplode altri paesi saranno anch’essi a rischio. Che l’euro possa sopravvivere a un fallimento o a un’uscita dell’Italia è un’assunzione quanto meno audace”. Tutto è bene quel che finisce bene? Nient’affatto, resta in sospeso la risposta a quel che può accadere dopo, cioè dopo la pioggia di denaro in arrivo col Pnrr e soprattutto dopo Draghi.

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