(Foto Ansa)

Occhi su Bernabè

La prossima mossa anti Cina di Draghi passerà dall'acciaio

Stefano Cingolani

A Terni, la ThyssenKrupp in cerca di compratori. Offerte dalla Cina. Ma il governo ha un altro piano. Far rinascere la Finsider?

L’ipotesi circola già da tempo, fin dalla defenestrazione dei Riva dall’Ilva, ma adesso sta prendendo consistenza: e se il governo facesse rinascere la Finsider? Sì, il colosso siderurgico che faceva capo all’Iri, diviso e privatizzato negli anni ’90, potrebbe essere rimesso insieme: a Taranto lo stato attraverso Invitalia ha investito un miliardo di euro e ha un ruolo predominante, della vecchia Ilva fa parte anche Cornigliano, poi ci sono gli acciai speciali di Terni che la ThyssenKrupp sta vendendo, infine Piombino dove gli indiani di Jindal non cavano un ragno dal buco. Ecco qua, torna l’acciaio di stato, un gran tuffo nel passato anche se in forme diverse, cioè in compartecipazione con i privati, modello Taranto.


Il riflettore si riaccende ora perché sta entrando nel vivo la cessione dell’Ast (Acciai Speciali Terni), mitico impianto siderurgico che dalla sua inaugurazione il 10 marzo 1884 ad oggi ha cambiato pelle (si è specializzato nell’inox), ma non si è mai fermato. I tedeschi che l’avevano acquistato dall’Iri nel 1994, hanno gettato la spugna. La società ha chiuso il bilancio dell’anno scorso con un passivo di 157 milioni di euro e i ricavi sono scesi sotto il miliardo e mezzo di euro anche per effetto della pandemia. I duemila dipendenti temono il peggio. 
 

 

La procedura di vendita è partita a primavera e dovrebbe chiudersi in autunno. La ThyssenKrupp dice di aver ricevuto numerose richieste da varie parti del mondo, non fa nomi, però in cima alla lista ci sono i cinesi. Indiziato è il China Baowu Steel numero uno al mondo avendo superato l’Arcelor Mittal. In Cina ci sono 57 grandi gruppi che producono 695 milioni di tonnellate l’anno; seguono a distanza gli indiani (sette gruppi e 65 milioni di tonnellate) i quali, però, in Italia non hanno combinato granché: né i Mittal a Taranto né i Jindal a Piombino. Si parla anche della svedese Ssab (fa capo ovviamente alla famiglia Wallenberg) che produce acciaio con l’idrogeno e ha progettato un secondo impianto insieme a Exor, Mercedes Benz, Ikea e Marcegaglia. All’AST sono interessati due imprenditori italiani: i Marcegaglia (da sempre il vecchio Steno avrebbe voluto l’impianto di Terni e i figli seguono le sue orme) e Arvedi. Tuttavia lo spauracchio è che questa volta arrivi proprio un grande mandarino rosso. Da Terni i sindacati hanno suonato l’allarme giunto fino a Roma, al Ministero dello sviluppo economico guidato da Giancarlo Giorgetti e a palazzo Chigi. “Se l’acciaio è strategico il governo lo dimostri con i fatti”, tuona la Uilm. “Terni ha mercato, sarebbe bene affidarla a un italiano con l’aiuto dello stato”, spiega il segretario Rocco Palombella. 

 

 

Quanto a Piombino – venduta dall’Iri a Lucchini che l’ha ceduta ai russi i quali l’hanno passato agli algerini finché non sono arrivati gli indiani della Jindal – le autorità locali e il presidente della regione Toscana Eugenio Giani premono perché il governo si faccia promotore di un rilancio. Gli incontri al Mise finora non hanno avuto esito concreto; 1.700 lavoratori sono quasi tutti in cassa integrazione e il piano industriale presentato dalla Jindal era stato bocciato già lo scorso anno dal governo Conte bis. Ora Giorgetti ha la delega sull’intera questione siderurgica e progetta, così si dice, un piano nazionale di settore per creare una vera e propria filiera, salvaguardando le produzioni italiane. Cose da programmazione vecchio stile, dolci come il miele per i sindacati e per il Pd i quali, tuttavia, non si fidano del ministro leghista diventato socialisteggiante. “Giorgetti ci deve spiegare che cosa vuol fare”, dice Francesca Re David che guida la Fiom.

 

Ammesso che l’Italia abbia bisogno di un nuovo piano Sinigaglia (quello che diede il via alla grande siderurgia pubblica negli anni ’50) ci si chiede chi sia il nuovo Oscar Sinigaglia. La risposta, nelle segrete stanze del Palazzo c’è: perché non Franco Bernabè? Ha guidato l’Eni fuori dal pantano di mani pulite, ha gestito Telecom Italia, la matrigna di tutte le privatizzazioni, Mario Draghi lo stima e gli ha affidato la bollentissima patata di Taranto. Ci sono pochi dubbi sulle capacità di Bernabè, ma la storia si può ripetere?