Roberto Rustichelli, presidente dell'Antitrust (LaPresse) 

L'Antitrust spiega perché ci vuole concorrenza per rimbalzare

Sergio Boccadutri e Carlo Stagnaro

Dalla banda larga all'energia, fino alle infrastrutture e agli appalti pubblici, l'autorità ha messo in fila una serie di proposte, che guardano al mercato, per modernizzare il paese in molti aspetti fondamentali 

L'Antitrust ha inviato a Mario Draghi la segnalazione ai fini della legge annuale per la concorrenza, sollecitata dallo stesso premier nel discorso della fiducia per affiancare il Pnrr. L’Autorità ha messo in fila una serie di proposte che, se avranno seguito, potranno contribuire a modernizzare il nostro paese in molti aspetti fondamentali. Come riconosce il presidente Roberto Rustichelli nella nota di accompagnamento, si tratta in buona parte di misure che l’Autorità aveva già invocato, senza successo. Ma ci sono anche nuove proposte coraggiose, che tengono conto della complessa situazione post-Covid. A partire dall’analisi generale: la relazione invita a riflettere sull’esigenza di facilitare la riallocazione dei fattori – capitale e lavoro – troppo spesso ingabbiati all’interno di “imprese zombie” che “possono restare sul mercato in quanto ‘protette’ dalla concorrenza di imprese più efficienti o perché la loro uscita non è socialmente accettabile”. Una messa in mora, neanche troppo velata, della politica economica dei governi Conte – per ora confermata da Draghi - fatta di deroghe alla disciplina degli aiuti di Stato, blocco dei licenziamenti, cassa integrazione ad libitum ed espansione del perimetro della Cassa depositi e prestiti.

 

Nel merito, l’Antitrust offre indicazioni nette su molti settori, con alcuni silenzi sospetti e qualche fuga in avanti. A suo merito, Rustichelli non esita a prendere una posizione netta sulla banda larga: l’enfasi sulla centralità della concorrenza infrastrutturale, sul co-investimento e sui sussidi alla domanda rappresenta una bocciatura del progetto della rete unica. Il modello di riferimento è quello della competizione nella telefonia mobile, dove la concorrenza infrastrutturale ha migliorato l’erogazione dei servizi e l’efficienza della rete. L’Autorità ritorna a ribadire la necessità di armonizzare i limiti nazionali alle emissioni elettromagnetiche a quelli europei. Limiti che oggi non solo costituiscono una barriera all’entrata di nuovi operatori e all’espansione dei nuovi servizi, ma che contribuiscono alla proliferazione delle antenne. Infine, l’Antitrust auspica un tempestivo recepimento del nuovo Codice europeo delle Comunicazioni elettroniche, posto che il termine è già scaduto a dicembre. Sull’energia, l’indicazione è quella di proseguire con l’apertura del mercato, iniziata più di vent’anni fa col Decreto Bersani per l’energia elettrica (1999) e il Decreto Letta per il gas (2000). A questo punto, l’ultimo miglio della liberalizzazione consiste in primo luogo nel coinvolgimento diretto di nuovi attori – come i produttori rinnovabili e i consumatori – nei mercati all’ingrosso. Per quanto riguarda i mercati finali della vendita, occorre stabilire con certezza che non ci saranno altri rinvii per il superamento della cosiddetta maggior tutela – una implicita tirata d’orecchie all’ennesima proroga, votata poche settimane fa su iniziativa dell’ex sottosegretario grillino Davide Crippa. Anzi: bisogna premere l’acceleratore e arrivare puntuali all’appuntamento del 2023, anticipando le aste e fissando un tetto alla quota di mercato per singolo operatore pari al 35 per cento, in modo da evitare ulteriori slittamenti. 

 

Più in generale, il Garante mette sotto accusa la dilagante proprietà pubblica dei servizi pubblici e l’incapacità di renderne contendibile la gestione: le concessioni in scadenza vanno messe a gara, dalla distribuzione gas alle spiagge, dal trasporto pubblico locale ai rifiuti. Il tema è particolarmente delicato dal punto di vista politico, visto che, per ogni passo avanti compiuto negli scorsi anni, se ne sono poi fatti due indietro. Ma la proliferazione delle micro-imprese partecipate da comuni e regioni e titolari di affidamenti diretti deve necessariamente essere affrontata e risolta. 

 

Le infrastrutture e gli appalti pubblici occupano una parte considerevole della segnalazione. La complessità normativa è individuata come una fonte di distorsioni della concorrenza e, dunque, una zavorra alla crescita. Molti suggerimenti muovono da qui: a partire, nel breve periodo, dalla “sospensione” del Codice degli appalti o, meglio, la sua sostituzione con una disciplina mutuata strettamente dalle direttive europee, evitando quella tendenza al “gold plating” che tradizionalmente rende punitiva la nostra burocrazia. Ma la stessa logica deve applicarsi a ogni tipo di opera, dalle infrastrutture energetiche alle reti fisse e mobili di telecomunicazione fino ai termovalorizzatori, la cui realizzazione è giudicata essenziale. Pure la normativa sulle concessioni  portuali richiede un tagliando, con l’obiettivo di superare incrostazioni ormai trentennali e mettere in discussione gli equilibri di potere e le modalità di fornitura dei servizi portuali. Altri possibili ambiti di intervento riguardano la deregolamentazione del commercio al dettaglio, con particolare riferimento alla disciplina dei saldi e delle vendite promozionali, oltre che agli interventi delle regioni sugli orari di apertura. Le regioni, peraltro, sono spesso al centro di manovre lesive della concorrenza: per questo l’Antitrust chiede, in vari campi, di riconoscere o rafforzare i poteri sostitutivi del governo. Nel settore sanitario ci sono spazi di miglioramento. La questione più importante – anche alla luce dell’esperienza del Covid – riguarda gli ostacoli all’apertura di strutture non convenzionate, le procedure di accreditamento e la mancanza di una adeguata informazione sulle performance delle strutture pubbliche e private. 

 

 

La segnalazione è densa, ma è difficile ignorarne i silenzi: non si fa menzione di temi cruciali, che negli ultimi anni hanno visto un susseguirsi di interventi anti-concorrenziali, quali le professioni, il trasporto aereo e le autostrade. Le vicende di Alitalia e Autostrade non possono essere ridotte a mere faccende societarie: esse coinvolgono l’intera governance dei due settori e mettono in seria discussione il funzionamento della concorrenza. Non è un caso se Bruxelles ha acceso un faro su entrambe le vicende. Quanto alle professioni, l’Antitrust dovrebbe prendere atto non solo delle retromarce normative (per esempio col ripristino del divieto del patto di quota-lite per gli avvocati), ma anche del modo in cui gli ordini professionali aggirano spesso e volentieri la legge (come nel caso dei numerosi vincoli alla pubblicità definiti da codici di autodisciplina). Alcune professioni, come quella notarile, sono ancora ferme a una disciplina risalente a più di un secolo fa, che forse merita di essere ripensata alla luce della tanto invocata transizione digitale. Inoltre, nella parte conclusiva l’Antitrust chiede per sé nuovi e ulteriori poteri, non sempre fornendone una giustificazione persuasiva e, in alcuni casi, facendo sollevare più di un sopracciglio vista l’ampia discrezionalità che ciò presuppone.

 

Comunque, l’Autorità ha fatto la sua parte, interpretandola in modo complessivamente proattivo. Adesso la palla sta nel campo del Governo, dove presumibilmente rimbalzerà tra Palazzo Chigi e il Ministero dello Sviluppo economico, titolare della materia. Difficilmente l’esecutivo potrà fare spallucce, essendo stato il premier stesso a chiedere di aprire il dossier. Ma la strada è tutta in salita, visto che il disinteresse o addirittura l’ostilità dei partiti verso la concorrenza sono palpabili. La segnalazione del Garante è come il blocco di marmo di Michelangelo: solo il tempo dirà se lo scalpello di Draghi e Giorgetti saprà trarne una statua e, nel caso, di che scultura si tratta. 

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