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Tra timori e accuse infondate

Perché sui vaccini Big Pharma ha operato con profitto

Serena Sileoni

Brevetti, guadagni, ricerca. Cosa c’è di vero e cosa di falso nelle affermazioni sulle case farmaceutiche

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A meno di un anno dalla dichiarazione dell’Oms dello stato di pandemia da Covid, in Europa ci sono tre vaccini autorizzati. Nel frattempo, nel mondo 64 vaccini sono in fase clinica, 173 in fase preclinica. Molte delle sperimentazioni è probabile che non arriveranno mai a conclusione perché non ce ne sarà bisogno. Se c’è un momento in cui il sistema brevettuale ha dimostrato di funzionare benissimo è proprio questo. È paradossale quindi che proprio ora lo si metta aspramente in discussione, rischiando di buttare a mare il risultato che lo sforzo congiunto degli stati e delle imprese sta portando – è il caso di dirlo – nella vita di ognuno di noi. Un risultato straordinario sia per i tempi con cui è stato raggiunto, di gran lunga inferiori alle migliori attese, sia per lo spirito di collaborazione tra pubblico e privato, dove ognuno ha fatto la sua parte. L’hanno fatta la ricerca di base e quella applicata, con uno scambio di informazioni e indagini senza precedenti; le società farmaceutiche, che nel 2020 hanno investito in R&D (ricerca e sviluppo) una somma superiore ai profitti generati; gli stati e l’Ue, in minor parte finanziando gli investimenti, in maggior parte garantendo l’acquisto delle dosi, in enorme parte accelerando le procedure di autorizzazione senza compromettere le verifiche di sicurezza.

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A meno di un anno dalla dichiarazione dell’Oms dello stato di pandemia da Covid, in Europa ci sono tre vaccini autorizzati. Nel frattempo, nel mondo 64 vaccini sono in fase clinica, 173 in fase preclinica. Molte delle sperimentazioni è probabile che non arriveranno mai a conclusione perché non ce ne sarà bisogno. Se c’è un momento in cui il sistema brevettuale ha dimostrato di funzionare benissimo è proprio questo. È paradossale quindi che proprio ora lo si metta aspramente in discussione, rischiando di buttare a mare il risultato che lo sforzo congiunto degli stati e delle imprese sta portando – è il caso di dirlo – nella vita di ognuno di noi. Un risultato straordinario sia per i tempi con cui è stato raggiunto, di gran lunga inferiori alle migliori attese, sia per lo spirito di collaborazione tra pubblico e privato, dove ognuno ha fatto la sua parte. L’hanno fatta la ricerca di base e quella applicata, con uno scambio di informazioni e indagini senza precedenti; le società farmaceutiche, che nel 2020 hanno investito in R&D (ricerca e sviluppo) una somma superiore ai profitti generati; gli stati e l’Ue, in minor parte finanziando gli investimenti, in maggior parte garantendo l’acquisto delle dosi, in enorme parte accelerando le procedure di autorizzazione senza compromettere le verifiche di sicurezza.

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Un’esperienza straordinaria come insegnamento per il futuro. Eppure, ai primi intoppi di forniture, il timore degli stati-acquirenti di non riuscire ad accaparrarsi le dosi prima degli altri ha innescato il riflesso condizionato delle accuse alle società farmaceutiche, con l’assurdo effetto che per ragioni di egoismo nazionalistico queste vengono accusate di egoismo capitalistico. Cosa c’è di vero e cosa di falso in questo marasma di opinioni? Vero: I brevetti consentono alle imprese di investire in relativa tranquillità. La proprietà intellettuale serve a incoraggiare qualcuno a farsi carico dei costi dell’incertezza, con la promessa di poter godere indisturbato per un determinato periodo di tempo dei profitti che sarà in grado di conseguire, oltre che del ritorno dell’investimento. Ciò è tanto più vero quanto più l’investimento iniziale è ingente: individuare una nuova molecola e metterla in commercio ha un costo diverso rispetto al caso di una stringa algoritmica. Falso: La proprietà intellettuale è il principale ostacolo a una maggiore produzione di dosi di vaccino. Ammesso e non concesso che il sistema di protezione dei brevetti possa costituire un freno alla produzione, bisogna ricordare che il mercato farmaceutico ha già di fatto reagito a questo eventuale ostacolo.

 

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Con una lettera agli azionisti, Moderna ha rinunciato alla proprietà intellettuale e dichiarato di mettere a disposizione di chiunque ne faccia richiesta le conoscenze e il know how sottostanti al suo vaccino. Pfizer sta stipulando accordi commerciali con terzi capaci di aumentare la produzione. Produrre un vaccino non è cucire una mascherina e nonostante l’apertura appena citata sia di Moderna sia di Biontech-Pfizer, riconvertire o aprire stabilimenti di produzione farmaceutica non è cosa di un giorno. Il problema della scarsità di dosi è quindi non un problema di diritti di privativa ma di capacità produttiva, probabilmente iniziale e transitorio. Vero: Senza profitti nessuno investirebbe. Che non sia stata la benevolenza ma un guadagno di immagine e di soldi a muovere le società farmaceutiche non solo non deve scandalizzarci, ma non deve nemmeno stupirci. Nulla toglie che il loro interesse converga con quello di tutti noi e pure con quello degli stati di continuare a garantire il diritto alla salute. D’altro canto, la benevolenza non spingerebbe nemmeno lo stato a investire i suoi soldi, dato che i suoi soldi non sono suoi ma nostri.

 

Falso: Big Pharma sta lucrando sui vaccini. Posto che i profitti costituiscono la ragion d’essere e il valore delle imprese, occorre segnalare che i vaccini sono generalmente poco remunerativi. Nel caso poi di quelli per Sars-Cov-2, AstraZeneca vende ogni dose a meno di 3 euro: il costo di un pacchetto di gomme da masticare, o di mezzo chilo di pane. Pfizer ha accordi di prezzo che tengono conto del pil: nei paesi a basso reddito non fa profitto. Di contro, secondo dati della Commissione europea nel 2020 il settore farmaceutico è stato l’unico, insieme a quello automobilistico e avanti ad esso, a spendere in R&D più di quanto abbia ricevuto come profitto (167 miliardi di euro contro 143). Vero: I soldi pubblici finanziano la ricerca. A carico della spesa pubblica ci possono essere tre tipi di costi: la ricerca di base (per esempio quella che avviene nelle università pubbliche o con bandi competitivi delle istituzioni pubbliche), finanziamenti specifici, come ve ne sono stati anche per i vaccini per la Covid-19, e infine la prenotazione di acquisto dei farmaci laddove a carico del sistema sanitario pubblico.

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Falso: I risultati della ricerca per il vaccino per il Sars-Cov-2 si devono ai soldi pubblici. La quota di finanziamenti alla ricerca e allo sviluppo dei vaccini è stata inferiore rispetto alla quota di finanziamento privato (eccetto che per Moderna). Il contributo aumenta se si considerano le prenotazioni di acquisto e i finanziamenti alla ricerca di base. Ma nel primo caso si tratta della controprestazione contrattuale, a ricerca già compiuta e obiettivi quantomeno vicini dall’essere raggiunti; nel secondo caso – se si dovesse computare anche la ricerca di base – si dovrebbero conteggiare anche le spese per i trasporti pubblici necessari per andare a lavoro, o per le borse di studio nelle facoltà di medicina. Quel che è certo è che è più probabile investire in R&D laddove esista un contesto di regole e servizi che consentono di potersi dedicare alla propria formazione e istruzione, e al proprio lavoro.

 

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