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editoriali

Pil drammatico, ma meglio del previsto

Redazione

Industria ed export: le due buone notizie da cui ripartire, nonostante il -8,8 per cento del pil rispetto all’anno scorso

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Con il passo lento, ma sicuro, dei dati trimestrali sul pil arriva una conferma dei segnali che la parte più forte del sistema produttivo italiano stava mandando ormai da tempo, soprattutto con i risultati  incoraggianti delle aziende orientate all’export, molte delle quali viaggiano su fatturati in cui il peso delle esportazioni supera l’80 per cento.

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Con il passo lento, ma sicuro, dei dati trimestrali sul pil arriva una conferma dei segnali che la parte più forte del sistema produttivo italiano stava mandando ormai da tempo, soprattutto con i risultati  incoraggianti delle aziende orientate all’export, molte delle quali viaggiano su fatturati in cui il peso delle esportazioni supera l’80 per cento.

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Al Financial Times se ne sono accorti e hanno dedicato all’Italia un’analisi specifica, in cui si faceva notare come la forza dei marchi presenti nei mercati mondiali riuscisse a trainare l’economia nazionale, fornendo una specie di motore di riserva durante il rallentamento generale imposto dalle restrizioni e dai blocchi. E allora il timbro finale dell’Istat sul terribile 2020 con il suo -8.8 per cento del pil rispetto all’anno precedente sancisce una notevole capacità di tenuta e di reazione. Lo stesso governo, additato allora come troppo ottimista, aveva costruito i documenti di bilancio e la politica economica prendendo a riferimento la previsione di un calo del 9 per cento. Tutti gli altri, va detto, erano molto più pessimisti.

 

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Confindustria e il suo centro studi, che pure il sistema manifatturiero italiano lo conoscono bene e ne sanno apprezzare il dinamismo e la forte propensione all’export, restavano ancora poche settimane fa agganciati a una stima del pil italiano giù del 10 per cento, così tondo tondo. La Confcommercio, forse guidata da una visione legata più ai consumi interni, ci andava ancora più pesante, mettendo nei suoi documenti sulle stime economiche un calo atteso pari a -10,7 per cento. Il Fondo monetario, che invece guarda con più cognizione alla componente legata agli scambi commerciali mondiali, era più vicino a fare centro, e, come il governo, indicava -9 per cento.

 

Ma il punto di fondo, che consola in questo momento di instabilità politica, è la tenuta delle imprese abituate a giocare la loro partita sui mercati mondiali. Con una buona proiezione sul 2021, anche grazie alla graduale azione dei piani vaccinali nel mondo. Per quanto ci siano ritardi e per quanto possa pesare la paura delle nuove varianti si percepisce, e c’è il sostegno della forza dei numeri, che gli scambi commerciali si stanno rafforzando. Insomma, la globalizzazione batte un altro colpo. L’indice che misura la propensione dei direttori acquisti delle aziende in Italia è al massimo livello da marzo 2018 a questa parte, trainato dalla crescita della produzione industriale, mentre, cosa anche più significativa, lo stesso indica, ma relativo all’intera zona dell’euro, in gennaio è arrivato a 54,8 ovvero a un livello che segnala forte tendenza espansiva.

 

L’industria, anche grazie agli sforzi dei lavoratori e agli accordi sindacali per tutelare al più possibile la sicurezza e la continuità dell’attività, non si è fermata neanche quando la pandemia colpiva più duramente. Si è ristrutturato dove possibile e gli investimenti, anche attraverso fusioni e acquisizioni, non sono stati interrotti. Sono i consumi più prossimi alla nostra vita quotidiana ad aver rallentato, ce ne accorgiamo con i nostri occhi e ne traiamo l’impressione di un crollo generale dell’economia. Ma è un errore di percezione. Lo stesso studio periodico sugli ordini delle aziende in Europa lo conferma quando indica che per i produttori di beni di consumo il miglioramento delle condizioni in gennaio è stato marginale. “In contrasto – scrive l’istituto Markit nella sua nota – i settori dei beni intermedi e di investimento hanno per l’ennesima volta continuato a riportare forti tassi di espansione”. Sono i settori dove è più forte la parte meno visibile e meno conosciuta dell’industria italiana.

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Per strada, guardando nelle buste della spesa, o guardando ai fatturati del commercio e dei servizi, non ce ne accorgiamo, ma l’export italiano è fatto soprattutto di meccanica molto specializzata, di macchine per l’industria, di farmaceutica (e ha retto anche al crollo della produzione automobilistica). Federmacchine, l’associazione di Confindustria delle imprese costruttrici di beni strumentali, parla di 2020 da dimenticare, certo, ma in cui è andata meglio di quello che poteva sembrare, con gli ultimi mesi del 2020 nei quali sono arrivati segnali di ripresa, e per il 2021 prevede export in crescita dell’8 per cento, mentre i consumi interni di beni strumentali aumenteranno di più del 12 per cento, anche grazie agli incentivi fiscali previsti dal piano Transizione 4.0. Così si spiega l’errore di percezione di molti nel valutare l’andamento della crisi e anche quel piccolo errore del governo (ma già per tenere il punto sul -9 per cento il ministro Roberto Gualtieri si era preso critiche e contestazioni ingiuste).

  

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