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Ascoltare i moniti del Fmi per non sprecare la crisi di governo

Carlo Stagnaro

Evitare la “zombificazione” dell’economia con una nuova agenda che tenga conto dei numeri disastrosi dell’Italia

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L’Europa è il malato economico del mondo e l’Italia d’Europa. Secondo le ultime previsioni del Fondo monetario internazionale, quest’anno l’economia globale dovrebbe crescere del 5,5 per cento, 3 decimi di punto sopra le precedenti stime. La ripresa sarà trainata soprattutto dalla Cina (con una crescita attesa dell’8,1 per cento, dopo un risultato nonostante tutto positivo nel 2020) e dagli Stati Uniti (più 5,1 per cento, due punti sopra le attese). L’Eurozona segnerà solo un più 4,2 per cento, dopo il meno 7,2 per cento del 2020 (un punto in meno rispetto all’edizione precedente del World Economic Outlook).

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L’Europa è il malato economico del mondo e l’Italia d’Europa. Secondo le ultime previsioni del Fondo monetario internazionale, quest’anno l’economia globale dovrebbe crescere del 5,5 per cento, 3 decimi di punto sopra le precedenti stime. La ripresa sarà trainata soprattutto dalla Cina (con una crescita attesa dell’8,1 per cento, dopo un risultato nonostante tutto positivo nel 2020) e dagli Stati Uniti (più 5,1 per cento, due punti sopra le attese). L’Eurozona segnerà solo un più 4,2 per cento, dopo il meno 7,2 per cento del 2020 (un punto in meno rispetto all’edizione precedente del World Economic Outlook).

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Come spiegare queste differenze? Secondo il Fondo, la causa prossima va ricercata nel peggiore impatto del Covid sul Vecchio continente, forse anche a causa della nostra struttura demografica. Conta pure la lentezza nella somministrazione dei vaccini: le nazioni Ue più virtuose (Malta e Danimarca) hanno raggiunto tra il 4 e il 5 per cento della popolazione, contro il 7 per cento americano e l’11 per cento inglese. Inoltre, per rallentare la circolazione delle varianti più aggressive i governi stanno proclamando periodi di lockdown più severi e prolungati. Naturalmente, i numeri vanno presi con le pinze: tutto dipende dalla buona riuscita dei piani vaccinali. Inoltre, il Fmi solleva tre questioni cruciali: in quale modo le restrizioni future condizioneranno la ripresa? Come proseguirà lo sforzo di vaccinazione? Quali traiettorie seguiranno i mercati finanziari e i prezzi delle commodity? Se il pil e la domanda energetica mondiale tornano a crescere, i corsi azionari e del petrolio potrebbero scaldarsi, schiacciando così l’Ue tra l’incudine di un’economia asfittica e il martello dell’inflazione delle materie prime. Resta poi da capire se e come l’Europa saprà tenere assieme le politiche di stimolo all’economia con gli obiettivi dichiarati di decarbonizzazione e digitalizzazione. L’enorme volume della spesa pubblica degli scorsi e dei prossimi mesi, infatti, può sortire effetti sia positivi sia negativi. Può accelerare l’economia, aumentandone il potenziale di crescita di lungo termine, oppure drogarla, alzandone il livello nell’immediato. Può agevolare la ripresa oppure produrre distorsioni nell’allocazione del capitale. Molti economisti temono che le misure emergenziali, tra cui i ristori, le garanzie sui prestiti e gli schemi simili alla nostra cassa integrazione, potrebbero produrre una “zombificazione” dell’economia. Un mercato dinamico produce una frenetica attività di entry ed exit delle imprese, attraverso cui capitale e lavoro vengono continuamente riallocati verso utilizzi più produttivi: impedirlo per troppo tempo può porre una serie ipoteca sul futuro, in un mondo globalizzato e interconnesso.

  

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Queste domande sono tanto più pressanti quanto più profonda è la recessione e quanto più a lungo durano i provvedimenti emergenziali. Il nostro paese rischia ancora una volta di essere il fanalino di coda del fanalino di coda: dopo il -9,2 per cento del 2020, quest’anno dovremmo crescere solo del 3,0 per cento, addirittura 2,2 punti sotto le attese. Insomma, non siamo solo quelli che usciranno peggio dalla pandemia, ma anche quelli che avranno la performance peggiore rispetto alle aspettative. Anche guardando a stime più ottimistiche – per esempio quelle di Goldman Sachs – l’Italia arriva comunque tra gli ultimi. E’ quindi doppiamente importante evitare errori. Proprio per questo, la crisi di governo crea l’occasione di interrogarsi seriamente su come correggere la rotta. In particolare, dovremmo interrogarci sulle ragioni di una divaricazione tanto pronunciata tra i best performer (gli Usa) e gli altri (l’Europa continentale e, in particolare, l’Italia).

   

Una possibile interpretazione sta nel diverso modo in cui siamo intervenuti nel 2020. Negli Usa, la perdita di pil e occupazione è stata drammatica nel breve termine, ma il successivo processo di riallocazione dei fattori si è rivelato più rapido, grazie ai minori vincoli regolatori e alla maggiore flessibilità dell’economia. In Europa abbiamo invece cercato di frenare la caduta. In Italia ci siamo addirittura dedicati all’arte antica dell’imbalsamazione: abbiamo bloccato i licenziamenti da oltre un anno (e ora è attesa l’ennesima proroga) e delegato il sostegno ai lavoratori estendendo la cassa integrazione, che però non si limita a integrarne il reddito, ma disincentiva la ricerca di occupazioni alternative. Quindi, anziché dare supporto alle persone e accompagnare le trasformazioni dell’economia, abbiamo fatto il contrario: abbiamo abbandonato i non tutelati (centinaia di migliaia di precari o partite Iva) pur di salvaguardare imprese che, in molti casi, non riusciranno comunque a sopravvivere, e trascineranno nel gorgo dell’improduttività anche i loro addetti. Se le cause di tale diverso approccio tra America ed Europa siano puramente istituzionali o anche culturali è difficile dirlo; le conseguenze, però, sono evidenti e drammatiche. E, in Italia, si aggiungono a una stagnazione pluridecennale.

    

La ricerca di una nuova maggioranza e un nuovo governo crea la necessaria discontinuità per ripensare i fondamentali della strategia di ripresa e resilienza. Come ha detto il presidente della commissione Finanze della Camera, Luigi Marattin, non dovremmo ragionare come se il Pnrr fosse un insieme di spese con attorno le riforme, ma una serie di riforme con alcune spese per accompagnarle. Non dovremmo, cioè, usare i soldi europei al fine di conservare lo status quo. Dovremmo al contrario impiegarli per ridisegnare la nostra politica economica, agevolando le trasformazioni strutturali e rimuovendo gli ostacoli che in passato le hanno impedite o rallentate, Covid o non Covid. Le previsioni del Fondo suonano come un monito sul fatto che stiamo spingendo nella direzione sbagliata una macchina disfunzionale. Occorre letteralmente rovesciare il modo in cui abbiamo vissuto la pandemia: essa è l’apice di una situazione comatosa, non l’occasione per nasconderla sotto i soldi europei.

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