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Mps e il nodo del capital plan all’esame del cda, con o senza Unicredit

Mariarosaria Marchesano

A quali condizioni si può fare una nuova iniezione di capitale in una banca pubblica in crisi senza che questo violi le norme sugli aiuti di stato?

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La domanda che tutti si fanno è se Andrea Orcel andrà in Unicredit per trattare le migliori condizioni per l’acquisizione del Montepaschi oppure se guarderà altrove per il futuro della banca. Secondo un’analisi di Banca Imi-Intesa Sanpaolo, “sebbene Mps non sia l’unica opzione di aggregazione per Unicredit, l’operazione rimane altamente probabile”. E questa considerazione sembra condivisa dalla maggior parte degli analisti anche se, è bene ricordare, nessun operatore bancario ha finora chiesto l’accesso alla data room predisposta dagli advisor assoldati dal Tesoro per cercare un partner per il Monte e cioè Mediobanca e Credit Suisse.

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La domanda che tutti si fanno è se Andrea Orcel andrà in Unicredit per trattare le migliori condizioni per l’acquisizione del Montepaschi oppure se guarderà altrove per il futuro della banca. Secondo un’analisi di Banca Imi-Intesa Sanpaolo, “sebbene Mps non sia l’unica opzione di aggregazione per Unicredit, l’operazione rimane altamente probabile”. E questa considerazione sembra condivisa dalla maggior parte degli analisti anche se, è bene ricordare, nessun operatore bancario ha finora chiesto l’accesso alla data room predisposta dagli advisor assoldati dal Tesoro per cercare un partner per il Monte e cioè Mediobanca e Credit Suisse.

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Ma c’è un’altra domanda che bisognerebbe porsi alla vigilia del consiglio di amministrazione di Mps convocato per oggi per definire il cosìddetto “capital plan”: a che punto è arrivata l’interlocuzione del Mef con la Dg Comp presieduta da Margrethe Vestager per capire se e a quali condizioni si può fare una nuova iniezione di capitale in una banca pubblica in crisi senza che questo violi le norme sugli aiuti di stato?

  

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Tanto più che il board di Siena si è impegnato a presentare un piano definito alla Banca centrale europea entro la fine di gennaio e il tempo stringe. Il punto è capire se l’autorizzazione per l’aumento di capitale di 2-2,5 miliardi – a tanto è stato quantificato il fabbisogno finanziario per tenere in piedi Mps – arriverà da Bruxelles in via subordinata a una futura aggregazione con un soggetto privato oppure anche per sostenere un piano “stand alone” che la banca guidata da Guido Bastianini ha, peraltro, già predisposto. Intanto, il cda di oggi casca nel bel mezzo di una crisi di governo con le attività del Mef che sono rallentate.

  

Perciò c’è chi ipotizza che la strada più semplice sarebbe quella di chiedere alla Dg Comp un rinvio per perfezionare l’uscita dello stato italiano dal capitale di Siena prevista per la fine del 2021. Ma se anche si decidesse di andare in questa direzione, che per Unicredit vorrebbe dire maggiore libertà di valutare altre opzioni strategiche, questo non esimerebbe il Mef dall’affrontare il tema del fabbisogno finanziario della controllata Montepaschi. Come andrebbe avanti, altrimenti, l’operatività della banca senza risorse? Il capital plan dovrebbe servire proprio a questo cioè a identificare l’esatto ammontare dell’aumento necessario, le sue modalità, e a stabilire se è sufficiente a garantire la sostenibilità del Montepaschi qualora restasse di proprietà del Mef ancora per un po’.

  

Da indiscrezioni di mercato, sembra che l’assegno del Tesoro per rivitalizzare il Monte arriverà per ultimo perché prima potrebbero essere adottati altri strumenti, compresa l’emissione di obbligazioni da far sottoscrivere a investitori istituzionali. Del resto, come evidenziano gli esperti della materia, un aumento di capitale tutto cash porrebbe subito un serio problema con le minoranze e obbligherebbe il Mef a fare da garante sottoscrivendo l’inoptato. In questo caso la partecipazione dello stato nel Monte salirebbe verso la soglia del 90 per cento con il rischio di un delisting da Piazza Affari.

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È proprio questo scenario che si vuole evitare e per farlo le soluzioni sono solo due: convincere la Dg Comp che in un contesto di crisi economica aggravata dalla pandemia non è contro la concorrenza mettere altri soldi nella banca pubblica anche senza la prospettiva di un’aggregazione oppure convincere Orcel che Montepaschi è tutto sommato un buon affare perché dietro si porta una buona dote tra stimoli fiscali, garanzie sui rischi legali e scorporo dei crediti deteriorati, oltre a un’iniezione di capitale. E qui si torna al punto di partenza.

 

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Cosa farà Unicredit? Il cda del 10 febbraio dovrebbe alzare il velo sui conti della banca di piazza Gae Aulenti che, secondo le previsioni degli analisti, archivierà il 2020 con perdite per 2,3 miliardi che si confrontano con i 3,4 miliardi di utili del 2019. Un rosso superiore alle previsioni che certamente vedrà impegnato il nuovo amministratore delegato a garantire il ritorno alla redditività ai suoi azionisti. Con o senza Monte.

 

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