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Cos’è un’amministrazione efficiente? Confrontate il Recovery italiano con quello tedesco

Giacinto della Cananea

Il piano nazionale promette che faremo parte del "Rinascimento europeo", ma alla dichiarazione d'intenti non corrisponde una credibile programmazione concreta

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Mentre le forze politiche presenti in Parlamento sono divise su temi importanti, come la realizzazione della Tav e il ricorso alla linea finanziaria di supporto pandemico predisposta dal Mes, tutte concordano sulla necessità di riformare la burocrazia. Curiosamente, essa è vituperata anche da coloro i quali hanno contribuito ad appannarne l’efficienza e l’imparzialità, introducendo il controverso “sistema delle spoglie” per la scelta dei dirigenti, o hanno avuto alcuni anni a disposizione per porvi rimedio. Vediamo, allora, quali correttivi siano previsti dal piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) approvato dal Consiglio dei ministri il 12 gennaio, per poi confrontarli con le azioni intraprese da altri paesi europei.

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Mentre le forze politiche presenti in Parlamento sono divise su temi importanti, come la realizzazione della Tav e il ricorso alla linea finanziaria di supporto pandemico predisposta dal Mes, tutte concordano sulla necessità di riformare la burocrazia. Curiosamente, essa è vituperata anche da coloro i quali hanno contribuito ad appannarne l’efficienza e l’imparzialità, introducendo il controverso “sistema delle spoglie” per la scelta dei dirigenti, o hanno avuto alcuni anni a disposizione per porvi rimedio. Vediamo, allora, quali correttivi siano previsti dal piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) approvato dal Consiglio dei ministri il 12 gennaio, per poi confrontarli con le azioni intraprese da altri paesi europei.

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Nella lettera con cui il presidente del Consiglio ha inviato il piano alle Camere, il primo obiettivo è proprio “un paese moderno, … dotato di un’amministrazione efficiente e moderna” e, per conseguirlo, si fa affidamento sulle tecnologie digitali. E’ un buon punto di partenza, tanto più che nel piano si constata che il basso livello di digitalizzazione dell’amministrazione è tra le maggiori cause dell’ormai cronico basso livello di crescita. Quando si passa dall’astratto al concreto, però, le cose cambiano. Nell’ampio documento (170 pagine), dove abbondano le espressioni retoriche (c’è “un mondo di domani da far crescere rapidamente”; “l’Italia intende essere protagonista di questo Rinascimento europeo”), si afferma che il piano intende promuovere “un’ambiziosa agenda di riforme per la pubblica amministrazione”, “creando una amministrazione capace, competente, semplice e smart”. Ma a tale ambizione non corrispondono misure adeguate. Alla dichiarazione d’intenti relativa al miglioramento della capacità degli amministratori pubblici sul piano del reclutamento fa riscontro una dotazione finanziaria modesta. Soprattutto, sono modesti i finanziamenti previsti per porre rimedio al problema principale che affligge i cittadini italiani e le imprese, ossia la complessità e la lunghezza dei procedimenti amministrativi.

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Più di venti anni fa, una ricerca ampia e accurata promossa proprio dalla maggior organizzazione imprenditoriale indicò la direzione da seguire, cioè “L’Italia da semplificare”. Tutte le indagini successive hanno confermato la gravità del problema, concordando sulle linee da seguire. Tuttavia, nel piano predisposto dal governo, al cui interno vi è pure un apposito dipartimento per la funzione pubblica, alla semplificazione delle procedure sono destinati solo 480 milioni. Si enuncia il lodevole intento di realizzare un censimento dei procedimenti, senza dire nulla sulle modalità innovative con cui lo si vuole fare (esistono già oggi atti che li disciplinano), senza spiegare come si possano coniugare gli interventi statali con quelli regionali. Si annuncia la velocizzazione delle procedure, anche con riferimento a quelle più complesse, per le infrastrutture, ma intanto il regolamento predisposto dal governo Gentiloni resta inattuato.

 

Può essere utile un confronto con quanto hanno fatto altri due governi europei: quello tedesco, che si basa su un’ampia ed eterogenea coalizione politica, ma con obiettivi chiari e condivisi grazie a un preciso accordo, e quello spagnolo, anch’esso di coalizione. Il piano del governo tedesco è assai più breve del nostro (45 pagine, meno di un terzo). Include la modernizzazione della pubblica amministrazione tra le sei direttrici principali di riforma, collegandola alla promozione degli investimenti esteri, una strategia che la Germania persegue da molti anni. A tal fine, il 5 novembre scorso sono state emanate norme volte ad accelerare gli investimenti, segnatamente quelli per le infrastrutture materiali. Inoltre, il 2 dicembre il governo federale e quelli statali (cioè dei Länder) hanno adottato un programma congiunto per un’amministrazione efficiente, a beneficio dei cittadini e delle imprese. Infine, è stabilito un preciso obiettivo intermedio, l’adozione di una legge sull’accesso digitale ai servizi entro il 2022.

 

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Lo scenario spagnolo è segnato da un maggiore accentramento, analogamente a quanto è accaduto da noi. Ma, diversamente dall’Italia, è stata già emanata una nuova cornice giuridica per semplificare l’amministrazione. Quanto all’organizzazione, è creata un’apposita autorità per il monitoraggio sull’uso dei nuovi fondi europei. Quanto ai procedimenti, alle norme volte a semplificarli è attribuito il carattere di urgenza e sono previsti nuovi meccanismi di collaborazione tra il settore pubblico e quello privato.

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Da questo rapido confronto si possono trarre due moniti: i nostri partner mostrano una maggiore consapevolezza che l’Ue sarà esigente nel controllare il buon uso dei nuovi fondi; soprattutto, parafrasando un vecchio detto, mentre a Roma si discute, altrove si decide e si agisce.

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