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Per produrre più vaccini non servono meno brevetti, ma più stabilimenti

Luciano Capone

Sospendere i brevetti non è una soluzione alla carenza di dosi, quando a mancare è la capacità produttiva. E sviluppare vaccini non è come fare mascherine. Lo sforzo produttivo e cooperativo di Big Pharma è massimo, come dimostra il caso Sanofi

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Una delle criticità principali per la vaccinazione di massa – da noi in Europa e a maggior ragione nel resto del mondo meno sviluppato – è la disponibilità di dosi. Non ce ne sono per tutti. Questa scarsità dipende da due fattori: il primo è regolatorio e riguarda il rilascio delle autorizzazioni; il secondo è industriale e riguarda la scalabilità della produzione dei vaccini autorizzati. Attualmente nel mondo sono stati autorizzati 10 vaccini, anche se non tutti per tutto il mondo (ad esempio nessuno dei vaccini cinesi, russi o indiani è stato approvato nei paesi occidentali), e sono stati siglati contratti per circa 8 miliardi di dosi per il 2021, che bastano più o meno per la metà della popolazione mondiale, anche se limitandoci ai vaccini per ora approvati le dosi sono 3,8 miliardi. E’ un problema soprattutto per i paesi in via di sviluppo che dovranno in gran parte fare affidamento su Covax, il programma dell’Oms e della Gavi Alliance che si è assicurato 2 miliardi di dosi entro il 2021 per coprire il 20% dei paesi più vulnerabili in Asia, Africa e Sud America, anche se il progetto soffre del ritardo nell’approvazione di diversi vaccini e delle difficoltà logistiche per quelli che richiedono temperature molto basse di conservazione.

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Una delle criticità principali per la vaccinazione di massa – da noi in Europa e a maggior ragione nel resto del mondo meno sviluppato – è la disponibilità di dosi. Non ce ne sono per tutti. Questa scarsità dipende da due fattori: il primo è regolatorio e riguarda il rilascio delle autorizzazioni; il secondo è industriale e riguarda la scalabilità della produzione dei vaccini autorizzati. Attualmente nel mondo sono stati autorizzati 10 vaccini, anche se non tutti per tutto il mondo (ad esempio nessuno dei vaccini cinesi, russi o indiani è stato approvato nei paesi occidentali), e sono stati siglati contratti per circa 8 miliardi di dosi per il 2021, che bastano più o meno per la metà della popolazione mondiale, anche se limitandoci ai vaccini per ora approvati le dosi sono 3,8 miliardi. E’ un problema soprattutto per i paesi in via di sviluppo che dovranno in gran parte fare affidamento su Covax, il programma dell’Oms e della Gavi Alliance che si è assicurato 2 miliardi di dosi entro il 2021 per coprire il 20% dei paesi più vulnerabili in Asia, Africa e Sud America, anche se il progetto soffre del ritardo nell’approvazione di diversi vaccini e delle difficoltà logistiche per quelli che richiedono temperature molto basse di conservazione.

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Per quanto riguarda l’occidente, e in particolare l’Europa, le cose vanno meglio. La Commissione europea ha recentemente raddoppiato l’acquisto del vaccino Pfizer/BioNTech, arrivando a 600 milioni di dosi a cui si aggiungono 160 milioni di dosi del vaccino Moderna: la presidente Ursula von der Leyen ha garantito che con questi ordinativi si riuscirà a garantire il vaccino a 380 milioni di europei (oltre l’80% della popolazione). Inoltre presto potrebbe arrivare l’autorizzazione per 400 milioni di dosi di AstraZeneca, che risolverebbero definitivamente il problema in Europa. Ma nel resto del mondo? Contro la pandemia la risposta non può che essere globale.

 

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Perché non si riesce ad aumentare la produzione? Una delle ipotesi spesso presentate come risolutive è la sospensione dei brevetti per liberalizzare al massimo la produzione. Ma non pare essere esattamente questo il problema. “La difficoltà nell’espandere ulteriormente in tempi rapidi la quantità di dosi in realtà dipende dall’alta specializzazione delle linee produttive e dei controlli di processo e qualità sui vaccini, che richiedono tempi e sottraggono quantità stesse del vaccino prodotto”, dice al Foglio Marcello Cattani, coordinatore del Gruppo prevenzione di Farmindustria. In pratica per l’industria farmaceutica riconvertire uno stabilimento o aprire una nuova linea produttiva non è esattamente semplice come iniziare a confezionare mascherine per l’industria tessile. “L’elevata specializzazione delle linee produttive richiede personale altamente qualificato e stabilimenti ad hoc, che non possono essere creati in pochi mesi”, spiega uno che conosce bene il settore come Cattani. “Vanno progettati, costruiti, certificati e autorizzati dalle agenzie regolatorie che verificano il rispetto delle Gmp (Good manufacturing practices, ndr)”. Ciò non vuol dire che non si possa fare nulla o che non lo si stia facendo. Il problema dei vincoli di produzione era noto sin dall’inizio e, infatti, nel programma americano Warp Speed erano previsti investimenti non solo per lo sviluppo del vaccino ma anche per migliorare gli impianti di aziende che avevano produzioni limitate, come ad esempio quelle che utilizzavano la tecnica dell’mRna per le terapie antitumori. La notizia positiva è che per questa tecnologia innovativa “lo scale-up della produzione è più semplice”, dice al Foglio il prof. Gennaro Ciliberto, direttore scientifico dell’Istituto nazionale tumori Regina Elena di Roma. Ciliberto, che è stato direttore scientifico dell’Irbm di Pomezia dove si facevano ricerche pioneristiche sulle tecniche ora utilizzate per produrre i vaccini contro il Covid, spiega che adesso “il processo di sintesi è più facile, soprattutto per i vaccini a Rna si utilizzano metodiche che consentono una scalabilità rapidissima. Per gli altri vaccini, quelli con virus inattivati o adenovirus, invece c’è bisogno di fermentatori”. E’ il vantaggio di un processo prevalentemente chimico rispetto a uno prevalentemente biologico.

 

Proprio in questi giorni, stiamo assistendo al grande sforzo delle case produttrici per aumentare l’offerta. Pfizer e BioNTech, ad esempio, pochi giorni fa hanno annunciato di poter aumentare la produzione per il 2021 di oltre il 50%: da 1,3 miliardi a 2 miliardi di dosi. L’incremento è dovuto alla modifica regolatoria della Fda e dell’Ema che consente di estrarre da ogni fiala sei dosi anziché cinque (più 20%), ma anche dal nuovo stabilimento in Germania, a Marburgo, che dalla fine di febbraio inizierà a produrre 750 milioni di dosi all’anno. Questo processo comporta anche dei contraccolpi. Proprio ieri il commissario straordinario Domenico Arcuri ha dichiarato che "Pfizer ha comunicato unilateralmente che a partire da lunedì consegnerà circa il 29% di fiale in meno rispetto alla pianificazione che aveva condiviso". I ritardi, che dureranno per 3-4 settimane, riguarderanno tutti i paesi europei e a quanto fa sapere l'azienda sono dovuti ai lavori in corso per aumentare la capacità produttiva nello stabilimento di Puurs, in Belgio. “Dopo quello che ha fatto il nostro team di ricerca per portare il vaccino in un tempo record, ciò che ha fatto il nostro team di produzione è un altro miracolo”, aveva dichiarato nei giorni scorsi il ceo di Pfizer Albert Bourla: “Stiamo aumentando la produzione a velocità che non pensavamo fossero possibili”. Come Pfizer, anche le altre aziende si sono impegnate ad aumentare la produzione affidandola a terzisti. Oltre che in Italia AstraZeneca lo ha fatto in India, che si è assicurata 2 miliardi di dosi grazie alle potenzialità del Serum Institute of India, il più grande produttore di vaccini al mondo. Lo stesso sta facendo Moderna (con cui l’Ue sta per concludere l’acquisto di altre 50 milioni di dosi) che ha stretto accordi con case farmaceutiche sparse sul territorio come Lonza in Svizzera, Rovi in Spagna o la svedese Recipharm in Francia.

 

Non sono quindi i brevetti a ostacolare la produzione, proprio perché è chi li detiene a cercare chiunque sia in grado di produrli: praticamente non esiste al mondo capacità produttiva inutilizzata. Stanno anzi emergendo nell’industria farmaceutica comportamenti cooperativi o addirittura solidaristici. La francese Sanofi, uno dei colossi globali nel campo dei vaccini, ha subìto a dicembre un intoppo nella sperimentazione del suo vaccino anti Covid. Avendo le linee produttive sottoutilizzate a causa di questo ritardo, lunedì Sanofi ha fatto sapere che sta valutando la possibilità di aiutare i suoi concorrenti nella produzione dei vaccini già approvati.

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