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Perché il mercato dell’energia elettrica ha bisogno di concorrenza

Carlo Stagnaro

Mentre Patuanelli manda avanti la (lenta) liberalizzazione, l’Acquirente Unico difende il monopolio. Contro le indicazioni Ue

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Il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, ha firmato il decreto che stabilisce le modalità della liberalizzazione del mercato elettrico per le piccole e medie imprese. Nei prossimi mesi è atteso un analogo decreto per micro-imprese e  famiglie. Da cosa nasce questo processo? Che conseguenze può avere?

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Il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, ha firmato il decreto che stabilisce le modalità della liberalizzazione del mercato elettrico per le piccole e medie imprese. Nei prossimi mesi è atteso un analogo decreto per micro-imprese e  famiglie. Da cosa nasce questo processo? Che conseguenze può avere?

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La libertà di scelta nei mercati dell’energia nasce con le direttive europee alla fine degli anni Novanta. Da allora, all’incirca metà degli stati membri dell’Ue si sono affidati al mercato e alla concorrenza. Gli altri hanno mantenuto, assieme alla facoltà di cambiare fornitore, forme di prezzi standard o regolati alternativi a quelli di mercato. Anche l’Italia lo ha fatto per il gas: tutti gli operatori sono obbligati a offrire, assieme alle altre proposte commerciali, una tariffa base a condizioni determinate dall’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (Arera). Tale strumento, attualmente riservato ai consumatori domestici, dovrà cessare nel 2021. Per le Pmi, il mercato è pienamente liberalizzato dal 2012, quando era ministro Corrado Passera. Solo nel settore elettrico, e solo in Italia, si è presa una strada differente: l’erogazione di energia a condizioni standard è affidata in regime di monopolio a società collegate alle reti di distribuzione locali, sulla base dei costi di approvvigionamento sostenuti da un soggetto pubblico (Acquirente Unico, parte del gruppo Gse). Questo servizio si chiama “maggior tutela”: il nome tradisce i pregiudizi di chi se lo inventò. Per come è strutturata la distribuzione locale, un singolo operatore (l’Enel) serve quasi il 70 per cento dei consumatori. Una ragione in più per stimolare, anziché frenare, la concorrenza.

 

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Invece, da alcuni giorni campeggia sul sito di Acquirente Unico un articolo intitolato “Il salasso dell’elettricità”, scritto da Giorgio Meletti e comparso su Domani il 2 gennaio. Meletti ha diritto, come tutti, alle sue opinioni, ma non ha diritto ai suoi fatti. Tanto meno ce l’ha l’Acquirente, che – in quanto soggetto pubblico e terzo – non dovrebbe fare politica. Meletti dice che il libero mercato dell’energia è “una grande truffa”. Si attacca a un dato diffuso dall’Arera, secondo cui, nel 2019, i consumatori sul libero mercato hanno pagato il 26 per cento in più di quelli in tutela. Molte offerte contengono elementi aggiuntivi di servizio (prezzi bloccati, sconti su altri prodotti quali carburanti, supermercati, servizi di telefonia, assicurazioni, solo energia verde, ecc.). “Tali elementi – chiarisce l’Arera nella sua relazione annuale – possono spiegare le differenze nei livelli dei corrispettivi medi unitari che si riscontrano tra mercato libero e servizio di maggior tutela”. In sintesi, Meletti confronta mele con pere. Se guardasse le offerte a prezzo variabile e prive di servizi aggiuntivi, direttamente comparabili con la maggior tutela, scoprirebbe grandi opportunità di risparmio. Per esempio, consultando il comparatore di prezzi gestito da Acquirente Unico (una delle ragioni per cui tale ente deve mantenersi terzo), Meletti scoprirà di poter risparmiare oltre il 22 per cento della sua spesa annuale per l’energia elettrica.

 

La liberalizzazione è anche funzionale agli obiettivi di decarbonizzazione. Come ribadisce la Commissione Ue nelle valutazioni sul nostro Piano nazionale energia e clima, il governo sottovaluta l’importanza del rapporto commerciale tra venditori e clienti come strumento per favorire l’efficienza energetica e le fonti rinnovabili. Oltretutto, un numero sempre maggiore di piccoli consumatori sceglie il libero mercato: dieci anni fa, il 90 per cento era servito in maggior tutela, nel 2020 erano all’incirca il 45 per cento. Il decreto di fine anno di Patuanelli è importante perché fissa il principio che il superamento della maggior tutela, per le Pmi, dovrà avvenire attraverso procedure competitive che impediranno a un singolo operatore di fare l’acchiappatutto. Tale principio va difeso e rilanciato in vista del prossimo decreto, che riguarderà molti milioni di microimprese e consumatori domestici.

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