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Prepararsi alla grande trasformazione 2021

Guido Tabellini

Il progresso tecnologico e sanitario ha giocato un ruolo chiave nell'anno appena concluso e apre nuove opportunità: l'Italia saprà sfruttarle? Finora i grandi ostacoli ostacoli sono stati il crollo degli investimenti, la spesa in ricerca e sviluppo (insufficiente) e una pubblica amministrazione obsoleta

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Il 2020 sarà ricordato come l’anno della pandemia, ma anche come un anno di trionfo per la scienza e la tecnologia. Non solo per l’arrivo del vaccino in tempi record, ma anche perché internet e le tecnologie digitali hanno consentito all’economia e alla società di continuare a funzionare con modalità che anche solo pochi anni fa erano inimmaginabili. Non sappiamo cosa ci riserverà il nuovo anno, ma vi è una certezza: il progresso scientifico e tecnologico continuerà a cambiare la nostra vita in modo sempre più profondo e più rapido. Nei prossimi anni, le nuove tecnologie trasformeranno l’economia e la società negli ambiti più diversi: in medicina e biologia, nel sistema dei pagamenti, nella robotica, nelle applicazioni dell’intelligenza artificiale, nella conservazione dell’energia. Come per il vaccino e per la diffusione di internet, queste innovazioni aumenteranno il nostro benessere e apriranno nuove opportunità, ma avranno anche risvolti devastanti per chi svolge lavori che diventeranno obsoleti.

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Il 2020 sarà ricordato come l’anno della pandemia, ma anche come un anno di trionfo per la scienza e la tecnologia. Non solo per l’arrivo del vaccino in tempi record, ma anche perché internet e le tecnologie digitali hanno consentito all’economia e alla società di continuare a funzionare con modalità che anche solo pochi anni fa erano inimmaginabili. Non sappiamo cosa ci riserverà il nuovo anno, ma vi è una certezza: il progresso scientifico e tecnologico continuerà a cambiare la nostra vita in modo sempre più profondo e più rapido. Nei prossimi anni, le nuove tecnologie trasformeranno l’economia e la società negli ambiti più diversi: in medicina e biologia, nel sistema dei pagamenti, nella robotica, nelle applicazioni dell’intelligenza artificiale, nella conservazione dell’energia. Come per il vaccino e per la diffusione di internet, queste innovazioni aumenteranno il nostro benessere e apriranno nuove opportunità, ma avranno anche risvolti devastanti per chi svolge lavori che diventeranno obsoleti.

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Come cogliere le opportunità aperte dal progresso tecnologico, senza essere travolti dalle profonde trasformazioni che inevitabilmente lo accompagneranno? Sarà questa la sfida principale della politica economica nei prossimi anni. Nonostante le molte aree di eccellenza nel settore manifatturiero e nel mondo della ricerca, l’Italia arriva impreparata a questa sfida. Due esempi per tutti. Gli investimenti. In un mondo che cambia così rapidamente, solo chi investe può cogliere le nuove opportunità. Ma gli investimenti italiani sono crollati nell’ultimo decennio: tra il 2007 e oggi, gli investimenti pubblici e privati sono scesi di oltre il 30 per cento, e la maggior parte di questa diminuzione è dovuta agli investimenti privati. Le risorse del Piano di Ripresa andrebbero usate per indurre un aumento degli investimenti produttivi, anche nel settore privato. Ma non tutti gli investimenti sono egualmente importanti, e le proposte del governo italiano vanno nella direzione sbagliata. Su un totale di trasferimenti europei di oltre il 4 per cento del reddito nazionale tra il 2021 e il 2023, quasi un quarto viene dedicato a investimenti edilizi per risparmi energetici. Riferendosi all’ipotesi di usare parte dei trasferimenti europei per estendere il superbonus del 110 per cento per le ristrutturazioni edilizie, il sottosegretario Fraccaro ha recentemente dichiarato: “Il superbonus è certamente una priorità assoluta per una reale svolta green e una trasformazione radicale del nostro sistema economico” (Il Sole 24 Ore, 23/12/2020). E’ vero il contrario. Gli investimenti nell’edilizia privata sono quasi del tutto inutili per prepararsi alle sfide tecnologiche del futuro. I bonus e superbonus elargiti con generosità in questi mesi servono soprattutto a conseguire miopi obiettivi di consenso politico.

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Ricerca e istruzione. Per innovare bisogna investire in conoscenza e capitale umano. Ma anche qui il nostro paese non investe. Nel 2018 in Italia la spesa pubblica e privata in ricerca e sviluppo era solo l’1,4 per cento del reddito nazionale, un punto in meno della media Ocse e meno della metà che in Germania. Anche la spesa in capitale basato sulle conoscenze (un aggregato più ampio della spesa in ricerca e sviluppo, che include tecnologie informatiche, progettazione, formazione e investimenti in organizzazione) è ampiamente inferiore agli altri paesi avanzati. Questo divario è anche dovuto alle carenze del sistema universitario e scolastico e alle scarse risorse che vi sono dedicate. Visto quanto poco sono pagati i giovani ricercatori nelle università statali italiane rispetto agli altri paesi avanzati, non dobbiamo sorprenderci se da anni è in corso una fuga dei cervelli dall’Italia. Anche la scuola non prepara adeguatamente i nostri giovani al mondo in cui dovranno operare. Meno del 40 per cento dei giovani italiani tra i 16 e i 24 anni ha competenze digitali superiori a quelle di base, contro circa il 60 per cento della media europea. Il divario nelle conoscenze scientifiche tra la media Ocse e l’Italia nei test PISA (che misurano le conoscenze scolastiche) si è ulteriormente ampliato negli ultimi anni. Inoltre, le conoscenze e specializzazioni richieste dal mercato del lavoro tendono a essere molto diverse da quelle acquisite dalla stragrande maggioranza dei nostri giovani. Anche questa mancata corrispondenza tra la domanda e offerta di capitale umano è una grave lacuna di un sistema scolastico antiquato e lontano dal mondo del lavoro. Una profonda riforma di scuola e università dovrebbe essere la priorità per qualunque governo. Ma di questo non vi è traccia nei progetti del Piano di Ripresa.

  

 

L’elenco del perché l’Italia è impreparata all’imminente accelerazione del progresso tecnologico è lungo, e in parte ben noto. Per decenni abbiamo trascurato il sistema sanitario, e investito troppo poco nelle strutture sanitarie e nel preparare le nuove generazioni di medici. La pubblica amministrazione è poco efficace e incapace di adattarsi alle esigenze di un mondo produttivo in rapida trasformazione. Questo riflette anche la sua composizione, di formazione quasi esclusivamente giuridica e di età avanzata (solo il 2 per cento dei dipendenti pubblici italiani hanno meno di 35 anni, contro il 30 in Germania). Le dimensioni delle imprese italiane sono spesso troppo piccole per sostenere gli investimenti necessari all’innovazione. Il mercato del lavoro rimane poco flessibile e incapace di facilitare la riallocazione tra settori e imprese. Abbiamo reagito alla pandemia impedendo la riallocazione, con il blocco dei licenziamenti e la cassa integrazione. Ma questi provvedimenti non possono che essere temporanei, mentre il ridimensionamento di alcune attività produttive sarà permanente e coinvolgerà anche altri settori o imprese.

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Naturalmente non ci sono solo handicap. Il nostro paese ha anche molti punti di forza per poter approfittare delle grandi opportunità che la scienza e il progresso tecnico apriranno nei prossimi anni: dalle numerose capacità individuali, a una tradizione di creatività e imprenditorialità, a un settore manifatturiero competitivo e globalizzato. Per valorizzare questi punti di forza, tuttavia, è indispensabile sciogliere i nodi che ostacolano il cambiamento. Non basta dire che faremo più investimenti. Occorre che siano indirizzati verso l’innovazione, e che siano avviate le riforme necessarie alla trasformazione verso un’economia basata sulla conoscenza. Prima che sia troppo tardi.

 

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