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Make Pharma big again

Mariarosaria Marchesano

La pandemia Covid ha fatto (ri)scoprire l’importanza del settore farmaceutico, dove l’Italia è all’avanguardia, ma può ancora crescere. Girotondo tra gli esperti

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Fino a qualche tempo fa ci domandavamo come fosse possibile essere arrivati così impreparati ad affrontare la pandemia da Covid-19, oggi ci domandiamo come sia possibile avere individuato il vaccino in meno di un anno anche se dopo 80 milioni di casi accertati e oltre 1,7 milioni di morti nel mondo.

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Fino a qualche tempo fa ci domandavamo come fosse possibile essere arrivati così impreparati ad affrontare la pandemia da Covid-19, oggi ci domandiamo come sia possibile avere individuato il vaccino in meno di un anno anche se dopo 80 milioni di casi accertati e oltre 1,7 milioni di morti nel mondo.

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La Commissione europea ha stipulato contratti con sei società diverse (Astrazeneca, Sanofi-Gsk, Jansenn, BionTech-Pfizer, Curevac, Moderna) e è in trattative con un’altra (Novavax) per assicurarsi fino a 2 miliardi di dosi. Per non parlare di terapie, farmaci, strumenti diagnostici che sono stati sperimentati per curare e individuare l’infezione. Uno sforzo enorme collettivo, certo, ma realizzato soprattutto dal settore farmaceutico che è stato coinvolto a vari livelli: dalla ricerca alla produzione alla distribuzione. Senza questo sforzo oggi non avremmo la speranza di combattere il virus e le sue mutazioni.

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La domanda che viene spontaneo porsi è come consolidare questi risultati straordinari nel 2021 quando ci sarà ancora bisogno della massima cautela per evitare la terza ondata e arrivare all’immunità di gregge grazie ai vaccini. Servirà un sistema paese che supporti e renda efficace il lavoro di tanti ricercatori che si sono impegnati notte e giorno per trovare le cure. Il Foglio ha chiesto a 10 protagonisti del settore farmaceutico e biotecnologico di cosa hanno bisogno per tirarci fuori dalla pandemia e la risposta, con sfumature diverse, è quasi unanime: c’è bisogno di avere lo stato come alleato e di veder nascere una collaborazione tra pubblico e privato, che in Italia è solo allo stadio iniziale a causa di un pregiudizio culturale che ha che fare col fatto di fare profitto con i farmaci.

 

 

Italia maggior produttore europeo

Il 27 dicembre abbiamo visto una cosa bella e l’inizio della campagna vaccini anti-Covid mi ha reso molto orgoglioso di rappresentare l’industria farmaceutica e in particolar modo quella dell’Italia, che – cosa di cui si parla poco – è il maggior produttore europeo con 34 miliardi di fatturato. Il primo vaccino è arrivato ma ne arriveranno tanti altri: 200 sono i prototipi allo studio, 52 sono in fase di sperimentazione, 13 sono arrivati al terzo stadio del percorso di approvazione, in sei hanno già siglato i contratti con la Commissione europea per la vendita di un miliardo e trecentomila dosi. Insomma, è avvenuto quello che a marzo sembrava impossibile grazie a un gigantesco sforzo collettivo e anche a un’inedita collaborazione tra produttori di farmaci. Ma non è finita perché le imprese del settore hanno piani di investimento per complessivi 4 miliardi che contribuiranno a consolidare questi risultati e a trovare nuove terapie.

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Spero che tutto questo contribuisca ad abbattere un pregiudizio storico nei confronti di un’industria che ha dimostrato di saper lavorare per il bene comune. Ci aiuterebbe molto una revisione di meccanismi distorti di contabilità che regolano i rapporti di compravendita di farmaci tra i produttori e lo stato. In passato ne sono nati dei contenziosi che hanno generato un clima sgradevole e penalizzato le imprese del settore. Di fronte a una pandemia, però, le aziende hanno risposto immediatamente mettendo a disposizione i loro centri di ricerca. Spero che sia l’inizio di una nuova epoca e di una nuova collaborazione tra pubblico e privato.

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Massimo Scaccabarozzi
presidente di Farmindustria

 

Aggiornare gli strumenti nella Sanità

In questa pandemia l’Italia ha tenuto saldi i valori, i principi e gli obiettivi della nostra sanità pubblica, così come disegnati dalla Costituzione e questo è molto bello. Ma non ha aggiornato gli strumenti, che sono poco adatti a un mondo che cambia a una velocità impressionante. Potrei fare un elenco lunghissimo delle cose da fare ma bisogna prima chiarire a monte lo spirito con cui affrontiamo questo passaggio. A partire dal linguaggio che usiamo. Faccio notare che nel parlare del vaccino la politica si riferisce “a un miracolo della ricerca mondiale”. Un miracolo lo è sicuramente, ma chi lo ha fatto? Davvero vogliamo assecondare la narrativa per cui senza investimenti di scala, miliardi in ricerca, team impegnati notte e giorno nei laboratori delle aziende farmaceutiche saremmo arrivati allo stesso risultato e negli stessi tempi?

 

Qui non si tratta di stabilire una classifica, non è una gara tra ricerca pubblica (in Italia ne abbiamo di eccellente) e privata. Ci sono molti casi in cui collaboriamo e altri casi in cui la ricerca pubblica fa altrettanti miracoli. Che, però, qualcuno deve rendere fruibili, concreti su larga scala. Parlare un linguaggio di verità riconoscendo il ruolo della farmaceutica ma soprattutto il valore della scienza e della competenza sarebbe già un enorme passo in avanti. Ci crediamo talmente tanto che in piena prima ondata abbiamo avviato un gruppo di lavoro con il Mibact sulla valorizzazione della cultura scientifica rivolto soprattutto ai più giovani. Abbiamo bisogno di cittadini appassionati di scienza consapevoli e informati. Perché la prossima crisi (speriamo lontanissima nel tempo) non potrà essere affrontata nello stesso modo, governo da un lato e cittadini dall’altro.

 

Pasquale Frega
country manager e ad di Novartis

 

Ricerca finanziata al 90% dai privati

Se usciremo da questa crisi sarà grazie alla ricerca realizzata nei laboratori di aziende private. Questo dato ci dovrebbe dire che è arrivato il momento di superare l’idea che la vera ricerca sia quella indipendente che invece è costosissima e spesso porta a scarsi risultati. E’ giusto sottolineare che il vaccino anti Coviddi cui beneficerà l’intera collettività nasce grazie agli investimenti dei produttori farmaceutici che finanziano il 90 per cento della ricerca del settore.  Roche, per esempio, mette a disposizione a livello mondiale risorse che sono quasi tre volte superiori a quelle dello stato italiano. Questo solo per dire che la pandemia potrebbe essere l’occasione per inaugurare una forte partnership tra pubblico e privato, come succede in altri paesi europei come la Francia. Invece, nel nostro ci si arena davanti alla burocrazia e, soprattutto, sopravvive un pregiudizio culturale nei confronti di chi trae profitto dall’attività di produzione di farmaci. Le imprese che portano avanti l’innovazione devono poter trovare nello stato un alleato per avere insieme una visione di futuro. Il Recovery Fund, per esempio, può essere uno strumento per sperimentare un nuovo rapporto che potremmo definire “win win” perché vincono tutti, l’ospedale che fa la ricerca, l’azienda che produce la terapia e i pazienti che guariscono.

 

Maurizio De Cicco
presidente e ad di Roche Italia

 

Per i vaccini serve una strategia logistica

Il 2020 è stato un anno davvero brutto e per buttarcelo definitivamente alle spalle non basta il vaccino ma dovremmo tornare a un sistema centralizzato di decisioni perché solo così possono essere velocizzate e rese efficienti procedure che possono salvare la vita a migliaia di persone. Il sistema della logistica farmaceutica, che dispone di 160 centri di stoccaggio in tutta Italia, fin dall’inizio dell’emergenza ha fatto in modo che le farmacie fossero sempre rifornite. Purtroppo, però, esistono tre tipi di problemi che potrebbero rallentare l’uscita dalla crisi. Il primo è senz’altro legato a un accavallamento decisionale tra stato e regioni dove queste ultime dovrebbero, invece, recepire senza poter modificare le regole che vengono emanate a livello centrale creando incertezza e rallentando i processi. Il secondo è relativo alla sicurezza. Il vaccino c’è ma ora la grande missione è fare in modo che tutte le dosi destinate al nostro paese arrivino a destinazione nei 300 punti di somministrazione mettendole al riparo dai malintenzionati. I fenomeni di furto e contraffazione già impattano in modo pesante sulla catena di approvvigionamento di medicinali e la recente recrudescenza del problema impone la massima attenzione in questa fase. In terzo luogo, sarebbe utile una legge sulla distribuzione dei farmaci perché quella attuale, che risale al 1992, rischia di rivelarsi inadeguata con un’eccessiva concentrazione dei poli logistici nelle aree di Milano e Roma mentre servirebbe una distribuzione più capillare riscoprendo i cosìddetti magazzini di prossimità.

 

Pierluigi Petrone
presidente di Assoram (logistica sanitaria)

 

Pfizer-BioNTech, un modello da seguire

La riflessione più immediata che mi viene da fare è che la collaborazione tra una piccola impresa di biotecnologie guidata da due coniugi e una grande casa farmaceutica ha reso possibile arrivare al vaccino anticovid in tempi brevissimi. Questo dovrebbe diventare un modello di riferimento anche per altre iniziative dove si possono coniugare la conoscenza scientifica con la capacità distributiva e commerciale dell’industria. Molto spesso, però, accade che nel mondo biotech accademico prevalga un approccio chiuso, più propenso alla pubblicazione e alla fama personale che alla condivisione e all’utilizzo su scala produttiva delle scoperte. Questo è un vecchio problema dell’Italia. Da scienziato, al contrario, penso che abbiamo bisogno di mettere insieme i saperi e che tutti debbano convincersi che la figura del ricercatore solitario, per quanto romantica, sia scarsamente utile al paese. Nella mia esperienza i risultati migliori sono arrivati quando c’è stata una vera interazione tra ricercatore e impresa. Se i due coniugi della tedesca BioNTech si fossero limitati a pubblicare su una rivista scientifica la loro scoperta invece che condividerla con la Pfizer, a che punto sarebbe ora l’umanità con l’emergenza Covid?

 

Luigi Nicolais
Università Federico II, Biotech Materias
ex presidente del Cnr

 

L’Italia e la sfida per la leadership europea

Il settore farmaceutico e biotech è strategico per la crescita del paese e di questo è ormai pienamente consapevole anche il governo che lo ha fatto rientrare nei casi in cui è possibile l’esercizio del golden power per proteggere le aziende italiane da acquirenti esterni. Ma c’è bisogno anche di stabilità e di costruire un nuovo dialogo tra istituzioni e imprese più ampio e bilanciato per favorire lo sviluppo dell’industria farmaceutica che è agganciata a un megatrend mondiale molto positivo. Se c’è sul mercato una domanda che non conosce crisi – e la pandemia Covid lo testimonia –  è quella legata alla salute e chi riesce a inserirsi in questo megatrend si assicura anche una parte di pil per i prossimi trent’anni. L’Italia è già il maggior produttore di farmaci a livello europeo e si contende la leadership solo con la Germania, ma potrebbe fare di più con una visione più matura del settore in cui lo stato va oltre il ruolo di semplice acquirente di farmaci e assume quello di partner e facilitatore di questo sviluppo. Siamo a un punto cruciale della gestione della pandemia e la sostenibilità industriale del settore farmaceutico – intesa come compatibilità tra ricavi e livello dei prezzi nella filiera italiana  – dovrebbe essere al primo posto di qualsiasi discussione politica.

 

Lucia Aleotti
azionista e membro del board di Menarini

 

L’America ha qualcosa da insegnarci

L’esperienza di DiaSorin negli Stati Uniti ci ha fatto toccare con mano quanto sia importante che stato e aziende siano alleati durante una pandemia. Ad aprile scorso, il governo americano ha riunito intorno a un tavolo i principali rappresentanti dell’industria farmaceutica del paese chiedendo cosa servisse per affrontare la pandemia. E’ emersa la necessità di avviare tempestivamente la ricerca e la produzione di vaccini per i quali  il governo ha messo subito sul tavolo 2 miliardi di dollari, così come più tardi ha investito altri 2,5 miliardi di dollari in due programmi per lo sviluppo di sistemi diagnostici senza prediligere campioni nazionali ma facendo prevalere le competenze tecniche.

 

Nell’ambito di questo progetto, la nostra azienda, riconosciuta come un player di eccellenza, ha beneficiato di 10 milioni di dollari a fondo perduto per la ricerca di test innovativi contro il Covid-19. Tutto questo sforzo ha portato gli Stati Uniti  a  moltiplicare il numero di tamponi effettuati, da 3,5 milioni al mese a 3,5 milioni al giorno e a potenziare la lotta alla pandemia ottenendo per primi il vaccino Pfizer-Biontech. Anche l’Italia sta facendo grandi sforzi e la chiarezza ristabilita recentemente dal Consiglio di stato sulle operazioni di partenariato pubblico-privato, a seguito della vicenda DiaSorin-San Matteo di Pavia contro la cinese  Technogenetics, fanno ben sperare anche per il nostro paese. Credo che la cosa più importante sia fare delle scelte di fondo, un paese deve decidere se vuole essere solo mercato o anche protagonista e innovatore nel settore biomedicale e farmaceutico. Se vuole giocare un ruolo di primo piano, deve favorire l’aggregazione tra le sue aziende più virtuose e spingere per una maggiore integrazione a livello europeo perché la sfida al Covid-19 e ad altri possibili eventi futuri si gioca anche sulle economie di scala date dai grandi numeri. Nessun paese da solo può farcela. L’Europa unita con i suoi 500 milioni di abitanti invece si, attraverso l’unione di saperi e tecnologie.

 

Carlo Rosa
fondatore e ceo di Diasorin

 

Un modello europeo di ricerca è già nato

Credo che un modello di ricerca basato sulla collaborazione tra paesi sia già nato grazie all’iniziativa della Commissione europea, che già nella prima ondata ha messo insieme una ventina di strutture pubbliche per studiare le molecole in circolazione che risultano efficaci nelle terapie anti Covid. Il nostro centro di ricerca è l’unico privato in questa piattaforma europea che nella seconda ondata sarà utilizzata per progettare nuove molecole e, quindi, nuove tipologie di farmaci da utilizzare nella lotta al virus. E’ straordinario che di fronte all’emergenza siano cadute barriere e rivalità tra paesi per dare spazio a uno sforzo comune. C’è stato un vero cambio di paradigma e spero francamente che non si torni più indietro anche se questo non è scontato. Purtroppo se ne parla poco, ma bisognerebbe avere maggiore consapevolezza in Europa del patrimonio comune di ricerca che è stato creato con questa esperienza che si potrebbe allargata a nuovi soggetti, pubblici e privati o essere replicata per altre patologie. Abbiamo bisogno di non dimenticare che le barriere non facilitano il progresso ma lo ostacolano, non accelerano le risposte in campo sanitario ma le rallentano, che il riutilizzo di tecnologie già esistenti per la creazione di nuove terapie è una strada pronta per essere battuta. Sono ottimista, l’interazione generata dalla Commissione europea si può ripetere se solo lo vogliamo.

 

Marcello Allegretti
responsabile della ricerca del gruppo Dompé

 

Una nuova governance  per il settore

L’emergenza Covid ha evidenziato la necessità dell’integrazione tra competenze diverse e di una nuova governance nel campo della ricerca farmacologica e biomedica basata su un’alleanza trasversale tra tutti i soggetti coinvolti, industria, enti di ricerca ma anche autorità che rilasciano le autorizzazioni. In verità, si è sempre parlato di una maggiore collaborazione tra pubblico e privato ma non è mai stato messo in pratica. E in Italia – dove anche la ricerca pubblica raggiunge livelli di eccellenza – vengono sviluppati pochi brevetti. Questa è l’occasione giusta per fare un salto di qualità e potenziare la competitività del paese a livello europeo. Bisognerebbe, però, investire in questo campo anche per far nascere nuove start up e nuovi posti di lavoro. Il ministero dell’Università e della ricerca ha riattivato un importante programma come il Prin ma i fondi destinati restano insufficienti, ammontano all’1,1 per cento del pil, la metà della media europea. Inoltre, esistono inspiegabili restrizioni normative per la ricerca di base e la sperimentazione sugli animali che andrebbero superate anche nella prospettiva di nuove sfide nel campo della sanità, comprese le mutazioni di virus e malattie oncologiche. E’ evidente che le terapie del futuro si baseranno sulla medicina di precisione, sulle terapie geniche e cellulari e per questo la Società italiana di farmacologia ha avviato un programma di ricerca con la collaborazione di Farmindustria a cui parteciperanno anche investitori privati per colmare la mancanza di capitali.

 

Giorgio Racagni (Univ. Statale di Milano)
presidente Società italiana di farmacologia

 

I venture capitalist credono nei giovani

Quest’anno il nostro incubatore e acceleratore di start up – certificato dal Mise – ha visto una vera esplosione del bisogno di ricercatori e scienziati di essere sostenuti finanziariamente. Il numero di persone che si è rivolto a noi si è moltiplicato proprio in seguito allo scoppio della pandemia perché c’è grande carenza di fondi pubblici e scarsa attenzione nei confronti di piccole realtà di ricerca e giovani studiosi che hanno progetti potenzialmente in grado di individuare nuove cure non solo per il Covid-19 ma anche per altre patologie. Per noi che siamo investitori privati, anche se la nostra società è stata fondata da medici e dispone di 11 sedi in Italia con laboratori specializzate e tecnologie avanzate nel campo delle biotecnologie, tutto questo fermento rappresenta certamente un’opportunità di profitto ma anche un modo per creare valore per il nostro paese. L’Italia esprime un elevatissimo livello di ricerca scientifica, in Europa e nel mondo intero, ma sono poche le start up che nascono in questo settore proprio per la carenza di capitali e di competenze manageriali. Grazie a uno di questi studiosi, abbiamo attualmente in fase di avvio un progetto di riposizionamento di un farmaco commerciale che potrebbe interferire con il meccanismo con cui il Covid-19 penetra le cellule. Sarebbe una nuova conferma positiva dell’alleanza tra scienza e finanza.

 

Elisabetta Borello
economista e vice president di Bio4Dreams

 

 

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