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il piano strategico 2021-2025

Mps, le ipotesi aggregative e la terza via di Bastianini

Mariarosaria Marchesano

Con il piano strategico al 2025 la banca senese scopre le carte su esuberi e deficit di capitale. Porta aperta alla privatizzazione 

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Pensare di aggregare Mps con altre banche in perdita come Pop Bari e Carige, per giunta con la prospettiva che i loro bilanci possano aggravarsi in seguito all’emergenza Covid, è un disegno che appare sempre meno convincente ormai anche agli occhi di una parte del Movimento Cinque Stelle che finora lo ha caldeggiato dietro le quinte. Al contrario, l’ipotesi della fusione con una banca sana – per esempio Unicredit - non solo incontrerebbe i favori della Bce ma troverebbe un gigantesco appiglio nelle deroghe sugli aiuti di stato introdotte dal temporary framework proprio quando è scoppiata la pandemia. Non è detto, però, che la strada della privatizzazione debba essere immediata e così la strategia “stand alone” accarezzata dall’ad Guido Bastianini si rivela come un inevitabile momento di transizione prima del rush finale.

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Pensare di aggregare Mps con altre banche in perdita come Pop Bari e Carige, per giunta con la prospettiva che i loro bilanci possano aggravarsi in seguito all’emergenza Covid, è un disegno che appare sempre meno convincente ormai anche agli occhi di una parte del Movimento Cinque Stelle che finora lo ha caldeggiato dietro le quinte. Al contrario, l’ipotesi della fusione con una banca sana – per esempio Unicredit - non solo incontrerebbe i favori della Bce ma troverebbe un gigantesco appiglio nelle deroghe sugli aiuti di stato introdotte dal temporary framework proprio quando è scoppiata la pandemia. Non è detto, però, che la strada della privatizzazione debba essere immediata e così la strategia “stand alone” accarezzata dall’ad Guido Bastianini si rivela come un inevitabile momento di transizione prima del rush finale.

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Bisogna fare riferimento a questo breve quadro d’insieme per comprendere il clima in cui si è svolto giovedì pomeriggio il consiglio di amministrazione della banca senese, che ha presentato il piano strategico al 2025 creando così il presupposto per l’avvio dell’interlocuzione con la Dg Comp della Commissione europea. Finalmente sono stati fugati i dubbi sul fabbisogno patrimoniale, che è stato quantificato tra 2 e 2,5 miliardi. Il rafforzamento, dice l’istituto senese, deve essere tale da consentire di migliorare il patrimonio di vigilanza ma anche di affrontare i costi di ristrutturazione, tra i quali ci sono anche l’utilizzo del fondo esodi per la riduzione di 2670 addetti, un po’ meno di quanti erano stati stimati in un primo momento. Su questa base Mps si è impegnata a predisporre un nuovo “capital plan” da sottoporre alla Bce a fine gennaio 2021 sottolineando che il documento strategico è stato impostato “in modo da non porre vincoli a ipotesi di aggregazione”. Vuol dire che il consiglio ha ben presente che gli impegni assunti dal governo in sede europea sulla dismissione della partecipazione del Mef prevedono modalità di mercato. Il momento è di svolta. Aver fatto chiarezza sul deficit di capitale è una mossa che sarà apprezzata da potenziali investitori. Ma rappresenta solo il primo passo, come hanno sottolineato alcuni analisti.

 

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Secondo una ricerca di Fidentiis, per esempio, una ricapitalizzazione anche di 2,5 miliardi non è sufficiente per coprire 10 miliardi di euro di rischi legali e attrarre un partner per diluire il Mef, mentre il centro studi Banca Imi-Intesa Sanpaolo ha spiegato in una nota che rischi legali e una redditività contenuta nel medio termine restano due ostacoli importanti per qualsiasi operazione di acquisizione-fusione. Va detto, però, che da parte degli amministratori della banca è in atto uno sforzo proprio per migliorare i livelli di redditività della banca senese e perseguire obiettivi come il pareggio del bilancio nel 2022 - poiché il 2021 dovrebbe chiudere in netto rosso anche a causa del probabile deterioramento dei crediti generato dalla pandemia - e il ritorno ai profitti nel 2023. Bisogna vedere, adesso, se Unicredit giudicherà sufficienti questi numeri per avvicinarsi a Siena senza scottarsi.

 

La decisione dipende anche da chi sarà il successore di Jean Pierre Mustier (nelle ultime ore pare siano salite le quotazioni di Alberto Nagel, ad di Mediobanca), il quale si insedierà, però, solo in primavera. Incastrare tutto non sarà facile. Quello che non viene ricordato abbastanza è che, proprio in virtù della finestra di flessibilità che si è aperta nelle regole europee con la crisi Covid, la ricapitalizzazione da parte del Mef è realizzabile senza il burden sharing, cioè senza che sia necessario far partecipare gli azionisti privati alle perdite, il che rappresenta un vantaggio per la banca pubblica che tra le minoranze vede centinaia se non migliaia di piccoli risparmiatori. Inoltre, l’attuale bozza della norma sulla conversione delle Dta in crediti d’imposta potrebbe portare un beneficio per Mps (e al potenziale partner) pari a circa 2,5 miliardi nel caso di una fusione, sempre che i Cinque Stelle non s’impuntino nel riproporre il tetto a 500 milioni. Resta da verificare, infine, quale sarà la posizione della Bce. Se è vero che nelle more dell’interlocuzione in corso ha già chiarito che il Mef non potrebbe sottoscrivere la propria quota dell’aumento senza una contestuale operazione con un’altra banca, è chiaro che i primi mesi del 2021 saranno il momento più favorevole per procedere verso la privatizzazione da sempre auspicata dal ministro Roberto Gualtieri. Prima che la campagna vaccini faccia effetto e la Commissione europea decida di revocare il temporary framework.

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