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Diventare impresa del futuro

Marcella Panucci

Innovazione, apertura, flessibilità, nuova governance. Come riconoscere chi avrà successo nel dopo Covid

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Teknofog è un’impresa familiare di Brescia. Fino alla pandemia produceva sistemi di sicurezza nebbiogeni contro i furti. Già prima dell’emergenza aveva avviato una collaborazione con un’importante casa farmaceutica per applicare il sistema di nebulizzazione alla pulizia e all’igienizzazione degli ambienti. La pandemia ha accelerato il progetto: Teknofog ha adeguato uno dei suoi tre capannoni, installato tre linee produttive, assunto 15 operai e iniziato a produrre sistemi di sanificazione automatici attivabili anche da remoto. Una riconversione temporanea? No, l’impresa ha brevettato il nuovo sistema e preso contatti con grandi produttori di elettrodomestici per costituire una rete e far fronte a un aumento strutturale della produzione. Teknofog è solo una delle tante imprese italiane che durante l’emergenza non solo hanno resistito, ma sono cresciute. C’è chi ha investito sull’innovazione del prodotto, dei processi produttivi, dell’organizzazione del lavoro, sulle modalità di distribuzione e sulla comunicazione e il marketing, chi ancora di più sull’internazionalizzazione. Diverse riconversioni produttive inizialmente immaginate come transitorie – produzione di mascherine, respiratori, sistemi per l’igienizzazione – stanno dando luogo a trasformazioni e innovazioni strutturali.

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Teknofog è un’impresa familiare di Brescia. Fino alla pandemia produceva sistemi di sicurezza nebbiogeni contro i furti. Già prima dell’emergenza aveva avviato una collaborazione con un’importante casa farmaceutica per applicare il sistema di nebulizzazione alla pulizia e all’igienizzazione degli ambienti. La pandemia ha accelerato il progetto: Teknofog ha adeguato uno dei suoi tre capannoni, installato tre linee produttive, assunto 15 operai e iniziato a produrre sistemi di sanificazione automatici attivabili anche da remoto. Una riconversione temporanea? No, l’impresa ha brevettato il nuovo sistema e preso contatti con grandi produttori di elettrodomestici per costituire una rete e far fronte a un aumento strutturale della produzione. Teknofog è solo una delle tante imprese italiane che durante l’emergenza non solo hanno resistito, ma sono cresciute. C’è chi ha investito sull’innovazione del prodotto, dei processi produttivi, dell’organizzazione del lavoro, sulle modalità di distribuzione e sulla comunicazione e il marketing, chi ancora di più sull’internazionalizzazione. Diverse riconversioni produttive inizialmente immaginate come transitorie – produzione di mascherine, respiratori, sistemi per l’igienizzazione – stanno dando luogo a trasformazioni e innovazioni strutturali.

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E c’è anche chi, come Pedrollo, gruppo veronese produttore di elettropompe, fortemente internazionalizzato e titolare di più di 150 brevetti, dopo aver più volte rifiutato proposte di vendita a imprese straniere, da possibile preda si è trasformata in predatore e, proprio nei giorni scorsi, ha perfezionato l’acquisizione di Superior Pump, una società statunitense. Passando così da 210 a più di 300 milioni di fatturato e da 600 a 1000 dipendenti. Molte imprese hanno puntato sull’e-commerce. Da maggio 2019 a giugno 2020 sono stati 60 milioni i prodotti venduti da 14.000 Pmi sugli store di Amazon contro i 45 milioni dell’anno precedente. Circa mezzo miliardo il fatturato realizzato verso l’estero. Cosa hanno in comune queste imprese? Sono realtà con una forte vocazione all’innovazione, aperte ai mercati internazionali, con un buon management e flessibilità organizzativa. Ma anche, e soprattutto, con una struttura patrimoniale solida. A differenza del 2009 le imprese italiane sono mediamente arrivate meglio preparate alla crisi. A fine novembre Confindustria ha presentato il rapporto sull’industria, dal quale emerge come, tra il 2011 e il 2018, sia aumentata la dimensione media delle imprese, anche a causa dell’uscita di molte piccole e piccolissime imprese dal mercato.

 

A questo ha corrisposto un progressivo rafforzamento della struttura patrimoniale. Fabiano Schivardi, Professore di Economia alla Luiss, ha sottolineato durante la presentazione del rapporto come, rispetto al 2007, nel patrimonio delle imprese italiane sia aumentato l’equity. Anche se, Schivardi ha puntualizzato, questa crisi ha colpito le imprese in modo non correlato alla loro situazione patrimoniale, ma al settore produttivo (automotive, moda, turismo, trasporti, ad esempio). E’ vero, però, che le imprese più solide da un punto di vista finanziario e patrimoniale, più strutturate e più innovative hanno avuto e avranno una maggiore capacità di resistere e reagire. Queste, tuttavia, pure essendo tante, sono ancora una minoranza. Stando al rapporto Cerved circa il 20 per cento del totale. Una percentuale che rischia di assottigliarsi: il forte aumento dell’indebitamento registrato in questi mesi è suscettibile di rendere tutti più fragili. E, in particolare, le piccole imprese. Per far fronte all’esigenza di liquidità generata dalla crisi, è stato massiccio il ricorso a prestiti bancari assistiti da garanzie pubbliche. Oltre 130 miliardi da marzo. Ciò sta accrescendo la quota del debito bancario sul totale del passivo, rovesciando così la tendenza degli ultimi dieci anni. In più, le Pmi sono ancora poco strutturate dal punto di vista della governance: solo il 24 per cento ha nel board un consigliere esterno alla compagine aziendale, e hanno una dirigenza sempre più “anziana”: un capo azienda su due ha più di 60 anni e uno su quattro più di 70, secondo il rapporto di Banca Generali che, con Sda Bocconi, ha analizzato oltre 5.700 Pmi con fatturato superiore a 50 milioni. Inoltre, nonostante i passi avanti registrati sul digitale, secondo il Politecnico di Milano, le Pmi che vendono su canali online sono ancora il 25 per cento del totale. Alla maggiore vulnerabilità delle imprese più piccole corrisponde una maggiore paura dei propri dipendenti di perdere il posto di lavoro.

 

L’indagine del Censis di qualche giorno fa mostra come il 53,7 per cento degli occupati nelle piccole imprese viva con insicurezza il posto di lavoro, contro il 28,6 per cento dei dipendenti delle grandi imprese. Un sentimento non privo di conseguenze anche economiche. L’incertezza crea sfiducia nel futuro e incide negativamente su investimenti e consumi. Cosa fare allora? Bisogna rafforzare il sistema imprenditoriale, rilanciando il percorso virtuoso di patrimonializzazione che la pandemia ha interrotto. Lo ha sottolineato proprio nei giorni scorsi Mario Draghi, che ha sollecitato misure mirate per consentire processi di ristrutturazione e rafforzamento del capitale a partire dalle Pmi. Non solo perché le imprese siano più resistenti in caso di crisi, ma soprattutto perché siano in grado di cogliere le sfide industriali del prossimo futuro – digitalizzazione, transizione energetica e ambientale – che richiedono investimenti importanti ed elevate competenze. E una scala dimensionale adeguata a sostenere l’alta componente di costo fisso propria degli investimenti immateriali.

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Per farlo occorre agire su tre versanti: 1. L’offerta. Servono investitori specializzati a sostenere le imprese nel percorso di capitalizzazione e crescita dimensionale: fondi di private equity che aumentino i propri investimenti in imprese di dimensioni più contenute con un’ottica paziente e puntando a sviluppare operazioni di minoranza, anche per spingere gli imprenditori ad aprirsi a capitali esterni mantenendo il controllo. In questo potrebbero aiutare a colmare le lacune di mercato Cassa Depositi e Prestiti e Invitalia. Il patrimonio rilancio di CDP è uno strumento importante perché prevede interventi temporanei e di minoranza nelle imprese con più di 50 milioni di fatturato. Mentre il Fondo Patrimonio Pmi di Invitalia, indirizzato alle imprese con meno di 50 milioni di fatturato, è una misura temporanea e presenta limiti che ne frenano l’utilizzo. Questo è, invece, il segmento di imprese su cui occorre agire con rapidità. Per sostenere lo sviluppo dei mercati del private equity, del venture capital e del private debt è poi fondamentale il ruolo degli investitori di lungo periodo (fondi pensione e casse di previdenza), i cui investimenti sono oggi concentrati in gran parte in titoli di Stato. Anche le compagnie di assicurazione potrebbero giocare un ruolo importante, se solo si attenuassero gli stringenti requisiti patrimoniali imposti dalla regolamentazione UE in caso di investimenti nell’economia reale; 2. gli strumenti di finanziamento e gli incentivi all’apporto di capitale proprio e di terzi. Se è vero che è aumentata la quantità di risparmio delle famiglie italiane, bisogna incoraggiare fiscalmente chi decide di indirizzare le proprie risorse verso investimenti produttivi, come ha opportunamente sostenuto anche il Presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, in un suo recente contributo, così come vanno rafforzati gli incentivi fiscali, a partire dall’ACE, per le imprese che apportino capitali propri; 3. la domanda. Le imprese devono strutturarsi e organizzarsi per tempo in modo da attrarre capitali. Serve una governance adeguata, con chiarezza di ruoli, apporto di esperienze e professionalità esterne, procedure chiare e capacità di produrre informazioni finanziarie accurate e aggiornate. Serve managerializzare le imprese assumendo profili adeguati alle sfide imprenditoriali: laureati, dottori di ricerca, tecnici specializzati con competenze digitali e con visione internazionale. Serve, per le imprese familiari, guardare al proprio futuro e pianificare i processi di passaggio generazionale per tempo, selezionando all’interno delle famiglie le professionalità migliori per gestire l’impresa, e attingendo invece all’esterno laddove queste manchino. E serve definire accordi e meccanismi che evitino l’insorgere, in particolari fasi, di conflitti all’interno della famiglia e dell’impresa che possono rivelarsi distruttivi. Molto è stato fatto negli ultimi anni, ma tanto resta ancora da fare e, soprattutto, diversi sono i gap da colmare. Primo fra tutti una carente attenzione proprio alle imprese di medie dimensioni, che rappresentano la spina dorsale del nostro sistema industriale e che si stanno rivelando strategiche nella reazione alla crisi. Bisogna aumentare la platea delle imprese medio-grandi, che sono quelle che più riescono a investire in ricerca e innovazione e su profili professionali a più elevata qualificazione. Una crescita del sistema imprenditoriale è la precondizione per una crescita sociale ed economica del nostro paese. Ora è il momento di farlo. Gli strumenti ci sono e le risorse pure. Il PNRR è in questo senso un’occasione da non perdere.

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