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editoriali

La forza dell’Italia che non si vede

redazione

Il 93% delle imprese ha resistito e indica una direzione chiara per la rinascita

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L’Istat ha fatto un grande lavoro per ascoltare da vicino cosa succede nelle imprese italiane e il momento scelto per la ricognizione è fortemente significativo perché va dai giorni di ottobre in cui si pensava a programmare la ripresa a quelli di novembre in cui invece si prendeva coscienza della seconda ondata di contagi e quindi delle nuove e maggiori restrizioni alle attività sociali. Da più di un milione di interviste emerge che le imprese vanno avanti forse più di quanto potremmo immaginare fermandoci solo alle cronache della crisi sanitaria. E questo fatto ci dice molto anche sulla differenza sostanziale tra il primo e il secondo lockdown.

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L’Istat ha fatto un grande lavoro per ascoltare da vicino cosa succede nelle imprese italiane e il momento scelto per la ricognizione è fortemente significativo perché va dai giorni di ottobre in cui si pensava a programmare la ripresa a quelli di novembre in cui invece si prendeva coscienza della seconda ondata di contagi e quindi delle nuove e maggiori restrizioni alle attività sociali. Da più di un milione di interviste emerge che le imprese vanno avanti forse più di quanto potremmo immaginare fermandoci solo alle cronache della crisi sanitaria. E questo fatto ci dice molto anche sulla differenza sostanziale tra il primo e il secondo lockdown.

 

Il 68,9 per cento delle aziende basate in Italia risulta in piena attività nei giorni di metà autunno e un altro 23,9 per cento di esse è parzialmente in attività, con qualche limitazione di tempi e spazi di lavoro. Molti oggi si soffermeranno, per una specie di bias negativo, sul 7 per cento di imprese che dichiarano di essere chiuse. Certo, rappresentano il 4 per cento dell’occupazione e sono 73 mila attività imprenditoriali che hanno fermato temporaneamente il lavoro. Alcune di esse, 17.000, dichiarano di non voler più riaprire e questo è un colpo duro. Ma esiste, in qualunque congiuntura economica, un fenomeno fisiologico di chiusura e, se si tratta di business con possibilità di mercato, nulla toglie che vengano rimpiazzate da altri investitori nel breve periodo, anche perché neanche il più pessimista dei previsori indica per il 2021 una crescita del pil inferiore al 3,5 per cento per l’Italia, e per quanto si tratti di nient’altro che un piccolo rimbalzo, offrirà spazi per una ripresa. Ma se torniamo in alto e guardiamo a quanti stanno resistendo e a quanti hanno vinto la sfida anche organizzativa per tenere l’attività in piedi durante la crisi sanitaria riusciamo a dare sostanza a quella sensazione che si era già avvertita nei mesi più duri e cioè all’idea che il settore produttivo italiano, non solo il manifatturiero, abbia mantenuto la capacità di rispondere rapidamente al mercato, dote che si vedrà ancora di più nei prossimi mesi. E ancora una volta abbiamo la conferma che un paese basato sull’industria è più forte e resistente di fronte alle crisi, che siano finanziarie o sanitarie.

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