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Uno studio McKinsey

Salvare i negozi. L’altro vaccino urgente che serve all’Italia

Come cambierà la domanda? Cosa possono fare gli imprenditori per curare l’economia? La moda come esempio per adattarsi a un mondo che cambia e che non tornerà più come era prima. Chiacchiere con Diego Della Valle

Claudio Cerasa

Per tentare di governare la nuova normalità i giganti della moda sono entrati in un’ottica dominata dalla flessibilità, mossi dalla convinzione che “il naufragio del 2020 costringerà tutti noi a puntare su un'offerta più mirata, tale da combinare il meglio dei servizi offerti dall’uomo e il meglio dei servizi offerti dagli algoritmi”, ci dice il capo della Tod’s

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Diego Della Valle ci pensa un attimo e poi la mette giù così: “Il Covid ci ha costretto a cambiare le nostre coordinate e più che provare a cancellare tutto ciò che ha portato con sé quest’anno tremendo bisogna provare, nel mondo del business, a trovare una nuova formula per adattarsi a un mondo che cambia senza pensare che il mondo possa tornare a essere quello che era prima”. La pandemia che fa più notizia, lo sappiamo, è quella scandita una volta al giorno, in tutto il mondo, dal numero di morti, dal numero di contagi e dal numero di persone ricoverate a causa del Covid-19 e per forza di cose l’emergenza sanitaria è una notizia che tende a prevalere su tutto e che tende a cancellare tutto il resto. Ma ora che un vaccino sembra essere davvero alle porte (le prime dosi arriveranno in Italia a gennaio, ieri il vaccino della Pfizer è stato autorizzato in Gran Bretagna) la speranza che l’incubo pandemico possa dissolversi in un tempo ragionevole è qualcosa in più di una semplice utopia ottimistica. Ed è una speranza che ci può aiutare a mettere a fuoco altre emergenze, sempre legate alla pandemia, per le quali un vaccino ancora non c’è.

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Diego Della Valle ci pensa un attimo e poi la mette giù così: “Il Covid ci ha costretto a cambiare le nostre coordinate e più che provare a cancellare tutto ciò che ha portato con sé quest’anno tremendo bisogna provare, nel mondo del business, a trovare una nuova formula per adattarsi a un mondo che cambia senza pensare che il mondo possa tornare a essere quello che era prima”. La pandemia che fa più notizia, lo sappiamo, è quella scandita una volta al giorno, in tutto il mondo, dal numero di morti, dal numero di contagi e dal numero di persone ricoverate a causa del Covid-19 e per forza di cose l’emergenza sanitaria è una notizia che tende a prevalere su tutto e che tende a cancellare tutto il resto. Ma ora che un vaccino sembra essere davvero alle porte (le prime dosi arriveranno in Italia a gennaio, ieri il vaccino della Pfizer è stato autorizzato in Gran Bretagna) la speranza che l’incubo pandemico possa dissolversi in un tempo ragionevole è qualcosa in più di una semplice utopia ottimistica. Ed è una speranza che ci può aiutare a mettere a fuoco altre emergenze, sempre legate alla pandemia, per le quali un vaccino ancora non c’è.

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Una di queste emergenze, quella a cui fa in qualche modo riferimento nel colloquio avuto ieri dal Foglio con Diego Della Valle, capo della Tod’s, riguarda un tema che costituisce una delle sfide più interessanti dei mesi che verranno: dare un futuro ai negozi massacrati dalla pandemia.

 

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Tentare di liquidare il tema suggerendo di boicottare Amazon, come ha fatto la Salvini Cialtronisti Sovranisti Associati, è un modo per non affrontare il tema. Tentare invece di capire in che modo un anno devastante per i negozi di tutto il mondo può essere non semplicemente cancellato ma al contrario utilizzato per trasformare la crisi in un’occasione per ripensare il futuro dei negozi è una chiave più intelligente ed è quella che si trova in un mastodontico e interessantissimo studio (123 pagine) pubblicato qualche giorno fa dalla McKinsey e dedicato a un settore che forse meglio di molti altri si sta preparando ad affrontare la normalità della vita dopo il Covid: la moda.

 

Il mondo della moda, scrive McKinsey, è uno di quelli che ha più subìto il contraccolpo della pandemia, basti pensare che nel 2020 il profitto mondiale del settore è crollato circa del 93 per cento rispetto all’anno precedente (in Italia il settore della moda hanno prodotto nel 2019 100 miliardi di fatturato, nel 2020 ha perso il 30 per cento, circa 30 miliardi di euro, quanto vale l’intero industria del mobile italiana). Di riflesso, a fronte di questa crisi senza precedenti, solo negli Stati Uniti è prevista la chiusura di circa 25 mila negozi legati alla moda (più del doppio di quelli registrati nel 2019) e secondo la Federazione moda  in Italia la situazione nel nostro paese non è meno allarmante: il commercio al dettaglio della moda contava 114.813 punti vendita al 31 dicembre 2019, che davano lavoro a 309.849 addetti, e dopo la pandemia, a fronte di una perdita complessiva di 20 miliardi di euro di consumi nel solo universo della moda, la ricaduta della crisi potrebbe avere un impatto sull’occupazione pari circa a 50 mila addetti.

 

Nonostante questo, nota McKinsey, i principali operatori del mondo della moda, piuttosto che proporre un boicottaggio dei canali di vendita digitale per salvare i negozi, hanno scelto un approccio più sofisticato e hanno impiegato buona parte del tempo avuto durante la crisi per capire in che modo rimodellare il proprio business. Come? Affinando l’offerta del futuro su una domanda che anche quando la pandemia finirà difficilmente tornerà come prima. E per salvare i negozi la prima regola non è cancellare ciò che è successo  quest’anno ma è provare a capirlo e valorizzarlo. Il dato più significativo del 2020, probabilmente non reversibile, non solo nel mondo della moda, è quello che ha ovviamente a che fare con le vendite online. Circa il 22 per cento degli alti dirigenti del mondo della moda sentiti da McKinsey afferma che “il digitale sarà il motore dello slancio del nostro settore anche nel prossimo anno” e secondo le stime raccolte dalla banca d’affari la crescita del commercio digitale nel 2021 aumenterà rispetto al 2020 del 20 per cento a livello mondiale con un più 30 per cento stimato in Europa e negli Stati Uniti (ad agosto gli Amazon del mondo della moda, Asos, Revolve, Zalando, hanno registrato un incremento di scambi sulle proprie piattaforme pari al 35 per cento in più rispetto al dicembre 2019).

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Per tentare di governare il nuovo mondo, e la nuova normalità, i giganti della moda sono entrati in un’ottica dominata dalla flessibilità, mossi dalla convinzione che “il naufragio del 2020 costringerà tutti noi a puntare su un’offerta più elegante e mirata tale da combinare il meglio dei servizi offerti dall’uomo e il meglio dei servizi offerti dagli algoritmi”.

  

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Cambieranno i prodotti (“le collezioni saranno più preziose, più limitate”). Cambieranno le geometrie (McKinsey prevede “un aumento dell’attività di fusione con molte società che trarranno vantaggio da alcune situazioni di crisi”). Cambieranno anche i target dei clienti (“con il turismo che resterà ancora in stasi, sarà sempre più importante dare ai propri prodotti degli sbocchi domestici”). Ma saranno soprattutto i negozi a cambiare. I negozi monomarca, raccontano alcuni dirigenti delle case di moda, diventeranno sempre di più dei luoghi in cui la priorità non sarà necessariamente acquistare ma sarà creare una sorta di connessione emotiva con i clienti (nel mondo dell’abbigliamento, Burberry e Nike hanno investito per creare nei negozi spazi ibridi e implementare tecnologie per scansionare nei negozi il corpo dei clienti e personalizzare al massimo i prodotti)”. “La pandemia – ci dice in conclusione ancora Diego Della Valle – ha colto noi tutti in un momento di transizione digitale che il virus non ha fatto altro che accelerare. La sfida del futuro è questa: utilizzare nuovi canali per dialogare con i consumatori di nuova generazione conquistati attraverso la rete, usare al massimo la creatività, provare a fare di tutto per trasformare le crisi in opportunità e non illuderci che il ritorno alla normalità avrà le caratteristiche della vecchia normalità. E chi ci governa oggi dovrebbe considerare anche questa una priorità: non soltanto occuparsi del sacrosanto diritto alla salute, che ha la priorità su tutto, ma anche aiutare la aziende ad affrontare le transizioni necessarie ad adattarsi a un mondo che cambia e forse non tornerà più a essere come era un tempo”.

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