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Editoriali

Il rischio calcolato della riapertura

Redazione

L’ipocrisia di fondo dell’indignazione collettiva per le file ai centri commerciali

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L’autorità politica, si presume di concerto con quelle tecniche e sanitarie, ha deciso che si possono aprire i negozi. Dopo settimane di chiusura e per giunta nella stagione pre-natalizia, era ovvio che i clienti li avrebbero affollati. Però di fronte alle immagini delle code (quasi sempre di persone munite di mascherine, per la verità) si è levata un’ondata di indignazione moralistica, spesso anche da parte di chi, con l’autorizzazione alla riapertura degli esercizi commerciali, si era assunto la responsabilità degli avvenimenti. Ovviamente era stato fatto un bilanciamento tra i rischi economici e quelli sanitari e si era deciso di fare così, di affrontare il rischio sanitario per dare un po’ di respiro al commercio – e c’è da sperare che fosse un rischio calcolato.

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L’autorità politica, si presume di concerto con quelle tecniche e sanitarie, ha deciso che si possono aprire i negozi. Dopo settimane di chiusura e per giunta nella stagione pre-natalizia, era ovvio che i clienti li avrebbero affollati. Però di fronte alle immagini delle code (quasi sempre di persone munite di mascherine, per la verità) si è levata un’ondata di indignazione moralistica, spesso anche da parte di chi, con l’autorizzazione alla riapertura degli esercizi commerciali, si era assunto la responsabilità degli avvenimenti. Ovviamente era stato fatto un bilanciamento tra i rischi economici e quelli sanitari e si era deciso di fare così, di affrontare il rischio sanitario per dare un po’ di respiro al commercio – e c’è da sperare che fosse un rischio calcolato.

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La decisione è stata delle autorità che ora non possono scaricare quel rischio sul comportamento, prevedibile e consequenziale alle decisioni assunte, della popolazione. La popolazione è stata disciplinata e lo è anche se va nei negozi quando vengono aperti, accusarla ora di imprevidenza è moralismo, cioè ipocrisia in sé sostanzialmente immorale.

 

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E’ insensato pensare di ottenere il consenso per l’allentamento delle misure e scaricare su altri la responsabilità del rischio che questo implica. La responsabilità collettiva è basata su un patto fiduciario: io ottempero alle decisioni e alle limitazioni, che mi piacciano o no, e utilizzo senza sensi di colpa le aperture che si decidono, proprio perché ho sopportato prima i vincoli imposti.

 

Prendersela con chi ha utilizzato gli spazi che sono stati aperti dalle autorità rischia di spezzare questo patto. L’idea che i successi nella lotta alla pandemia siano da ascrivere a chi decide, mentre gli insuccessi siano causati dai comportamenti, è un esercizio di pura e pessima propaganda. E’ giusto invitare tutti alla prudenza, cioè all’ottemperamento delle norme, ma alle norme che ci sono e alle restrizioni effettive. Altrimenti si ha la sensazione che si voglia giocare allo scaricabarile dando sempre e solo ai comportamenti collettivi la responsabilità di tutto, il che non è solo ingiusto, è anche controproducente.

 

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