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Un aumento di capitale per Mps

Mariarosaria Marchesano

Un compratore non si trova facilmente e secondo gli analisti per il Monte dei Paschi è necessaria una ricapitalizzazione. I soldi dovrebbe metterceli, ancora una volta, il Mef. Ma per il governo rischia di aprirsi un nuovo fronte di "risparmio tradito" con gli azionisti di minoranza che finirebbero diluiti

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Un aumento di capitale da parte del Mef potrebbe essere inevitabile per rendere concreta l’ipotesi del ritorno sul mercato di Banca Montepaschi. In caso contrario, difficilmente la banca pubblica senese troverebbe partner disposti a un’operazione di aggregazione che sarebbe rischiosa per chiunque. Questa convinzione è maturata nell’ambiente degli analisti finanziari da quando c’è stata la sentenza di condanna per gli ex manager Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, che ha aperto un nuovo fronte di possibili cause di risarcimento danni. Anche la seconda ondata di Covid ha dato il suo contribuito facendo presagire – come ha confermato anche il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, un cospicuo aumento di sofferenze nel sistema bancario di cui Mps non sarà certo esente. Se questa ipotesi dovesse rivelarsi corretta, lo stato-azionista dovrà affrontare nuovi costi per rimettere in sesto la banca senese. Il ragionamento che, per esempio, fa Banca Imi-Intesa Sanpaolo è che anche gli ulteriori accantonamenti per 500-700 milioni di euro che potrebbero essere decisi dal cda convocato per il 29 ottobre non sarebbero sufficienti, dice in una ricerca, “per far fronte al deterioramento della qualità degli attivi che ci aspettiamo nel 2021, a seguito della crisi Covid 19, e non possiamo escludere che un aumento di capitale possa rendersi necessario, prima di ogni altro coinvolgimento di Mps nel processo di consolidamento”.

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Un aumento di capitale da parte del Mef potrebbe essere inevitabile per rendere concreta l’ipotesi del ritorno sul mercato di Banca Montepaschi. In caso contrario, difficilmente la banca pubblica senese troverebbe partner disposti a un’operazione di aggregazione che sarebbe rischiosa per chiunque. Questa convinzione è maturata nell’ambiente degli analisti finanziari da quando c’è stata la sentenza di condanna per gli ex manager Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, che ha aperto un nuovo fronte di possibili cause di risarcimento danni. Anche la seconda ondata di Covid ha dato il suo contribuito facendo presagire – come ha confermato anche il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, un cospicuo aumento di sofferenze nel sistema bancario di cui Mps non sarà certo esente. Se questa ipotesi dovesse rivelarsi corretta, lo stato-azionista dovrà affrontare nuovi costi per rimettere in sesto la banca senese. Il ragionamento che, per esempio, fa Banca Imi-Intesa Sanpaolo è che anche gli ulteriori accantonamenti per 500-700 milioni di euro che potrebbero essere decisi dal cda convocato per il 29 ottobre non sarebbero sufficienti, dice in una ricerca, “per far fronte al deterioramento della qualità degli attivi che ci aspettiamo nel 2021, a seguito della crisi Covid 19, e non possiamo escludere che un aumento di capitale possa rendersi necessario, prima di ogni altro coinvolgimento di Mps nel processo di consolidamento”.

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Il ritorno sul mercato di Mps è la strada decisa dal governo, in base agli accordi sottoscritti con l’Unione europea, ma che finora ha incontrato non poche resistenze all’interno del M5S che vorrebbe, invece, che l’istituto restasse pubblico. Adesso, però, il problema più urgente non è tanto di carattere politico ma finanziario e la matassa intorno al Monte si sta sempre di più ingarbugliando anche per l’oggettiva difficoltà a trovare un potenziale aggregatore dopo che i primi contatti con Unicredit hanno portato a un nulla di fatto. Anche Equita sostiene l’opportunità di un’iniezione di capitale da parte del Mef “le cui risorse potrebbero essere aumentate per le coperture dei rischi legali e per rendere più appetibile la banca in un’ottica m&a”. Alla luce di queste considerazioni, iI decreto che è stato firmato nei giorni scorsi dal premier Giuseppe Conte, appare non come un semaforo verde per la privatizzazione del Monte ma come un passaggio al livello che alza la sbarra per far passare il treno carico di 8,1 miliardi di crediti deteriorati diretto verso la società Amco, e finanziare il relativo processo di scissione, e poi si richiuda in attesa che si faccia chiarezza sui conti. Vero è che il decreto formalmente getta le basi per l’uscita del Mef dal capitale della banca, ma è ben lungi dall’essere il binario che può riportare Mps sul mercato soprattutto dopo che tra gli investitori si è diffuso il dubbio che i rischi legali che gravano sull’istituto potrebbero superare la soglia già enorme di 10 miliardi.

 

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“Su Mps siamo arrivati a un punto cruciale, difficile direi,  perché assomiglia molto alla fase che precedette la risoluzione delle banche venete – dice al Foglio Fabrizio Bernardi, analista di Fidentiis – Mi domando, però, quale potrebbe essere l’impatto sulle minoranze di un eventuale aumento di capitale per coprire il buco del contenzioso che per ora è indefinito. Mi spiego meglio: bisogna considerare che la quota sul mercato di Mps è costituita in prevalenza dal pubblico retail piuttosto che da investitori istituzionali. Probabilmente qualche migliaio di persone che ai tempi della nazionalizzazione della banca ha convertito le obbligazioni subordinate in equity. Ora, se a queste persone si chiede di tirare fuori dei soldi è probabile che dicano di no, anche se molto dipenderà dal prezzo di una eventuale ricapitalizzazione. Quest’ultimo diventa un elemento essenziale perché definisce il valore della banca al confronto con i suoi competitor”. Seguendo questo ragionamento, esiste, dunque, la possibilità che gli azionisti di minoranza  di Mps finiscano con il diluirsi aprendo un nuovo fronte di “risparmio tradito”. Questo, ovviamente in linea teorica, e non è detto che si trovino strumenti per evitare tutto ciò. Ma a quale costo rispetto a quelli già preventivati dal Mef?. “Insomma, a me sembra che la situazione rischi di sfuggire di mano mentre sarebbe meglio fare prima massima chiarezza sui rischi legali legati e sulle coperture necessarie anche se non è facile perché il contenzioso in sede civile è legato a processi penali che dovranno arrivare all’ultimo grado di giudizio. Quindi, nei prossimi dieci anni”. 

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