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editoriali

Non è il momento di scioperare

redazione

L’intesa sociale che il governo deve non solo promuovere ma imporre

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Tania Scacchetti, della segreteria della Cgil, replica a chi ha definito le minacce di scioperi “un brutto segnale”, sostenendo che invece sarebbero “un messaggio di responsabilità per il Paese”. Francamente è difficile capire il perché. Se è vero che ci sono molti contratti il cui rinnovo è in ritardo, è ancora più evidente che quella che sta vivendo l’economia è una fase eccezionale che richiede comportamenti adeguati. Per i settori che non hanno subìto troppi danni particolari, come quello alimentare, i contratti si fanno, nonostante l’opposizione di Confindustria. Per le imprese che sono invece state chiuse per mesi, che non hanno un rifornimento regolare di materie prime o semilavorati, che si confrontano con mercati timorosi, invece è impossibile affrontare i rinnovi contrattuali, di categoria o aziendali, come si faceva in passato. D’altra parte lo sciopero, in questi casi, che sono quelli più numerosi, è una pistola scarica. Ridurre la produzione di aziende al lumicino può solo dare la spinta definitiva verso il fallimento. I sindacati lo sanno benissimo, quindi dovrebbero trarne le conseguenze. Se non lo faranno per una insuperabile coazione a ripetere, è necessario che il governo si faccia sentire.

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Tania Scacchetti, della segreteria della Cgil, replica a chi ha definito le minacce di scioperi “un brutto segnale”, sostenendo che invece sarebbero “un messaggio di responsabilità per il Paese”. Francamente è difficile capire il perché. Se è vero che ci sono molti contratti il cui rinnovo è in ritardo, è ancora più evidente che quella che sta vivendo l’economia è una fase eccezionale che richiede comportamenti adeguati. Per i settori che non hanno subìto troppi danni particolari, come quello alimentare, i contratti si fanno, nonostante l’opposizione di Confindustria. Per le imprese che sono invece state chiuse per mesi, che non hanno un rifornimento regolare di materie prime o semilavorati, che si confrontano con mercati timorosi, invece è impossibile affrontare i rinnovi contrattuali, di categoria o aziendali, come si faceva in passato. D’altra parte lo sciopero, in questi casi, che sono quelli più numerosi, è una pistola scarica. Ridurre la produzione di aziende al lumicino può solo dare la spinta definitiva verso il fallimento. I sindacati lo sanno benissimo, quindi dovrebbero trarne le conseguenze. Se non lo faranno per una insuperabile coazione a ripetere, è necessario che il governo si faccia sentire.

 

Le vertenze possono essere portate a un tavolo di mediazione e se la mediazione non è richiesta deve essere in qualche modo imposta. Questo pone al governo un problema in più, lo espone a critiche e accuse sia da parte delle rappresentanze di impresa sia di quelle del lavoro, ma è un problema ineludibile. Non basta dire che gli scioperi non sono un buon segnale, bisogna proporre, se necessario imporre un’alternativa, che non metta in discussione l’autonomia delle parti sociali in modo permanente, ma che le metta di fronte alle loro responsabilità. Se invece si tratta di dipendenti pubblici, che sono iper garantiti, l’idea di privilegiarli rispetto agli altri lavoratori è immorale, naturalmente a eccezione di categorie che sono state sottoposte a una pressione intensa proprio a cause dell’epidemia, dal settore sanitario a quello della polizia. Ma per il classico impiegato del catasto, che peraltro spesso lavora da casa, non è proprio il caso di parlare di rivendicazioni e tanto meno di scioperi.

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