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La condanna ad Alessandro Profumo puzza di gogna

Stefano Cingolani

Aspetti farseschi, guasti giudiziari. Cosa non torna nella storia che ha coinvolto l'ex presidente del Monte dei Paschi di Siena

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Al tribunale di Milano è avvenuta una curiosa inversione di marcia. La mitica procura in mano ai grandi inquisitori, i campioni della lotta al malaffare, è diventata garantista; il testimone del giustizialismo è passato in mano ai giudici. Giovedì 15 ottobre vengono comminati 6 anni di reclusione e una multa di 2,5 milioni di euro a testa ad Alessandro Profumo e Fabrizio Viola che dal 2012 al 2015 avevano guidato come presidente e amministratore delegato il Monte dei Paschi di Siena (Viola si è dimesso nel 2016). Una sentenza di primo grado, la difesa farà appello; la novità è che la pubblica accusa aveva chiesto per la terza volta l’assoluzione. Colpi di scena degni del “gran teatro Italia”: avrebbero aspetti farseschi se dietro non ci fossero questioni economiche, politiche, culturali molto serie.

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Al tribunale di Milano è avvenuta una curiosa inversione di marcia. La mitica procura in mano ai grandi inquisitori, i campioni della lotta al malaffare, è diventata garantista; il testimone del giustizialismo è passato in mano ai giudici. Giovedì 15 ottobre vengono comminati 6 anni di reclusione e una multa di 2,5 milioni di euro a testa ad Alessandro Profumo e Fabrizio Viola che dal 2012 al 2015 avevano guidato come presidente e amministratore delegato il Monte dei Paschi di Siena (Viola si è dimesso nel 2016). Una sentenza di primo grado, la difesa farà appello; la novità è che la pubblica accusa aveva chiesto per la terza volta l’assoluzione. Colpi di scena degni del “gran teatro Italia”: avrebbero aspetti farseschi se dietro non ci fossero questioni economiche, politiche, culturali molto serie.

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Gongola il Giornale. Il quotidiano berlusconiano ha sempre tuonato contro “le toghe rosse” che processavano i finanzieri neri, adesso si bea perché le toghe nere condannano “i banchieri rossi”. E’ già “la Ustica della finanza” per uno dei principali accusatori, il finanziere Giuseppe Bivona il quale, facendo la spola tra Londra, Milano e Siena, conduce da otto anni una battaglia senza esclusione di colpi e perizie (migliaia di pagine tra consulenze, esposti, pareri). Prendendo alla lettera la sua metafora, ne avremo per altri quarant’anni, chissà che non voglia proprio questo, visto che proclama la volontà di attaccare anche la Banca d’Italia e la Consob, mentre con il fondo Bluebell ha ingaggiato i ferri anche contro il vertice di Mediobanca, in appoggio a Leonardo Del Vecchio (possiede una piccola quota in EssilorLuxottica). Esultano le associazioni BuonGoverno e Pietra Serena; Romolo Semplici, un ex dipendente diventato poi piccolo azionista, intervistato da Repubblica denuncia “la sciagurata privatizzazione”.

 

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In realtà, il Montepaschi non è stato mai privatizzato: venne quotato in Borsa, ma la Fondazione rimase madre padrona con oltre il 50 per cento fino al crac del 2012. E adesso è in mano al Tesoro. “Avevamo una banca”, insiste Semplici, finché alla fine degli anni 90 gli intrecci con la politica, la città, gli interessi pubblici e quelli privati non sono venuti alla luce. Il bancario, che ha perduto tra i 15-20 mila euro, dice di battersi per un principio, al quale evidentemente hanno dato retta i giudici Flores Giulia Tanga, presidente del collegio, Roberto Crepaldi e Sandro Saba. Ci sono state ben 22 udienze e la procura ha sempre cercato di chiudere il procedimento contro Profumo e Viola perché il dolo non sussiste, vista anche “l’estrema difficoltà” a ravvisarlo. Effettivamente la vicenda è intricata, i fatti e la loro interpretazione dividono gli esperti di diritto societario e di contabilità aziendale. Sono in ballo i famigerati Alexandria e Santorini, cioè i contratti derivati stipulati con Deutsche Bank e Nomura a fronte di buoni del Tesoro poliennali per 3 miliardi di euro a scadenza 2034, da Giuseppe Mussari e Antonio Vigna nel 2009, per ottenere una riserva finanziaria sufficiente ad acquistare la banca Antonveneta, coprendo così, secondo il tribunale di Milano, una perdita di 2 miliardi di euro. Nel novembre dello scorso anno Mussari è stato condannato a sette anni per avere dato una falsa rappresentazione della situazione patrimoniale della banca, con un escamotage: cioè con la contabilizzazione “a saldi aperti” anziché “a saldi chiusi”. E’ una distinzione che divide persino gli azzeccagarbugli. Tradotto in chiave Mps, i veicoli societari Alexandria e Santorini venivano considerati come depositi di quei titoli di stato che, invece, erano solo a garanzia di derivati con i quali il Monte assicurava le controparti da un eventuale default dell’Italia. Quindi, viste le ricadute sul capitale e sul conto economico, con una “contabilizzazione chiusa” il Mps doveva considerarsi fallito, secondo Bivona. La “contabilizzazione aperta”, invece, ha evitato il pericolo.

 

Secondo i giudici nel primo semestre 2015 sarebbero emerse perdite, occultate ad arte, a causa di una differenza di tassi d’interesse risultata dannosa. Il pubblico ministero Stefano Civardi, che ha condotto l’accusa con i pm Mauro Clerici e Giordano Baggio, sostiene che “non ci sarebbe stata nessuna intenzionalità decettiva”, cioè di ingannare; “il nuovo management aveva anzi evidenziato le perdite e aveva pubblicato una nota integrativa per spiegare gli effetti sul bilancio di Mps di una eventuale contabilizzazione a saldi chiusi”. Già in fase di indagine, nell’agosto 2016, la procura aveva chiesto l’archiviazione, convinta dell’innocenza degli indagati. Il 19 dicembre 2017 il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha spiegato in un’audizione alla Camera che, in base alle simulazioni condotte in via Nazionale, aperti o chiusi, i saldi mostravano comunque un fabbisogno di capitale pari ai due miliardi iniettati con i Mondi bond (in tutto arriveranno ai 4 miliardi restituiti al Tesoro nel 2015). Come mai i giudici si sono aggrappati a quella che sembra lana caprina?

Adriano Raffaelli, uno dei difensori di Profumo e Viola (del collegio fa parte Paola Severino), attende di leggere la sentenza prima di capire le vere motivazioni ed esprimere un giudizio. Ci sono richieste di danni per circa 2 miliardi di euro che riguardano ben quattromila parti civili. La giustizia farà il suo corso come si dice (anche se si tratta di interpretazione della legge e la Giustizia non c’entra), ma è interessante notare il filo che collega questa vicenda a tutte le traversie bancarie degli ultimi anni. I “risparmiatori traditi” finiscono in mano ai burattinai populisti, alla destra in particolare perché le crisi hanno investito i governi di centro-sinistra, ma non solo. La battaglia per i rimborsi ricade sulle spalle dei contribuenti italiani ai quali si chiede di ripagare anche chi ha intascato i guadagni di titoli gonfiati (valga per tutti la storia della Popolare di Vicenza). In Parlamento nasce una commissione per mettere sotto accusa la Banca d’Italia e celebrare l’ordalia contro i bankster. L’onda del tribunale di Trani non risparmia nemmeno Milano. L’ala dura dei grillini rialza la testa, anche se non ha più molte carte da giocare: la nazionalizzazione del Montepaschi è già avvenuta. Nel frattempo il M5s ottiene un amministratore delegato: Guido Bastianini che ad aprile ha preso il posto di Marco Morelli. Nei pasticci finisce proprio il Tesoro il quale voleva uscire da Mps maritandolo con un’altra banca (sono via via sfilate Unicredit, Bpm, Agricole, Bnp-Bnl), invece è costretto a chiedere tempo alla Commissione europea, fino a metà 2022. Giuseppe Conte ci ha messo la firma, ma del doman non v’è certezza.

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