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Modello Enel per Roma? Una buona vecchia idea. Parla Testa

Nunzia Penelope

Il manager 15 anni fa provò a riunire le partecipate del comune per creare un virtuoso sistema di sinergie, ma si scontrò con politica, aziende e sindacati. Oggi darebbe l'Atac alle Ferrovie dello stato 

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A Roma nulla si crea e nulla si distrugge, tutto prima o poi si ripropone. Anche il “modello Enel”, l’idea innovativa per le municipalizzate capitoline di cui ha parlato sul Foglio l’economista Marco Simoni, ha un precedente, e risale a ben 15 anni fa. A raccontarcelo è Chicco Testa, che tra il 2004 e il 2005, reduce proprio dall’Enel e approdato nell’orbita del Campidoglio di Walter Veltroni, aveva lavorato a un progetto simile. “L’idea era di creare una holding nella quale riunire le partecipate del comune, sia Atac e Ama che la quota Acea, più altre varie società facenti capo al Campidoglio”. Lo scopo di partenza – ricorda il manager – era innanzi tutto fiscale: “Dare vita a un consolidato in capo alla holding, in modo da compensare gli utili di Acea con le perdite di Ama e Atac, avrebbe consentito al comune di risparmiare alcune decine di milioni di euro di tasse”. Ma gli effetti erano più ampi: “Sarebbe cambiato l’azionista, non più il comune ma una società ad hoc, per quanto a sua volta detenuta al 100 per cento dal comune”.

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A Roma nulla si crea e nulla si distrugge, tutto prima o poi si ripropone. Anche il “modello Enel”, l’idea innovativa per le municipalizzate capitoline di cui ha parlato sul Foglio l’economista Marco Simoni, ha un precedente, e risale a ben 15 anni fa. A raccontarcelo è Chicco Testa, che tra il 2004 e il 2005, reduce proprio dall’Enel e approdato nell’orbita del Campidoglio di Walter Veltroni, aveva lavorato a un progetto simile. “L’idea era di creare una holding nella quale riunire le partecipate del comune, sia Atac e Ama che la quota Acea, più altre varie società facenti capo al Campidoglio”. Lo scopo di partenza – ricorda il manager – era innanzi tutto fiscale: “Dare vita a un consolidato in capo alla holding, in modo da compensare gli utili di Acea con le perdite di Ama e Atac, avrebbe consentito al comune di risparmiare alcune decine di milioni di euro di tasse”. Ma gli effetti erano più ampi: “Sarebbe cambiato l’azionista, non più il comune ma una società ad hoc, per quanto a sua volta detenuta al 100 per cento dal comune”.

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In apparenza semplice, ma proprio qui iniziano i problemi: “I vari vertici delle società – spiega Testa – non sarebbero stati nominati direttamente dal sindaco, ma dal cda della holding, anche se ovviamente in accordo col sindaco. Questo avrebbe comportato un certo distacco dalla politica”. Risultato: “Malgrado Veltroni incoraggiasse ad andare avanti, il progetto morì in consiglio comunale. Avevamo già steso lo statuto, ci avevamo lavorato a lungo con lo studio Chiomenti. Ma ci fu la sorda ribellione delle aziende interessate e dei loro referenti politici in consiglio, a partire dall’allora partito di maggioranza. Anche i sindacati si misero di traverso. Insomma: avevamo contro le aziende, i sindacati e la politica. E il progetto finì nel cestino”. Eppure, era un buon progetto: “La holding poteva avere anche altre funzioni di coordinamento, oltre che nella scelta del management. Ci sarebbero state economie tra le varie aziende, per quanto riguarda cash pooling, mobilità del personale, coordinamento finanziario. Si prevedeva una funzione di audit, un sistema di reporting efficiente. Tutto quello che oggi manca”. L’intuizione era corretta, e infatti oggi un progetto simile viene proposto da un bravo economista come Marco Simoni.

 

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Ma per Testa ci sarebbero soluzioni anche migliori: “Fermo restando l’obiettivo di sottrarre le aziende comunali alla politica, e all’alleanza dannosa tra la politica e i sindacati, farei altro”. Per esempio? “Per quanto riguarda Atac si potrebbe, come si è fatto a Firenze, darla alle Ferrovie dello stato: inserita in un grande gruppo avrebbe mezzi finanziari e organizzativi adeguati al rilancio”. Quanto alla monnezza “dividerei Ama in due, la parte impiantistica ad Acea, mentre la parte spazzamento e raccolta andrebbe messa a gara, col principio della concorrenza comparativa: affidandola a diverse aziende, pubbliche o private, operative in zone diverse della città, si potrebbero verificare facilmente i risultati di ciascuna”. Queste soluzioni troverebbero a loro volta ostacoli politici? “Certamente: una montagna di ostacoli. Come qualunque cambiamento si tenti di fare. Sono trent’anni che a Roma sento dire “le aziende pubbliche bisogna gestirle bene, e noi sapremo farlo”. E invece non cambia quasi niente.

 

Sono orgoglioso di aver convinto a suo tempo il Pd romano a quotare Acea: se l’azienda è efficiente e vitale è anche merito di quella scelta. Oggi, per esempio, penso che bisognerebbe esternalizzare tutto o quasi: che senso ha che il comune gestisca direttamente i servizi anagrafici o il ciclo delle multe?” Questi comunque saranno problemi del nuovo sindaco. Come vede Chicco Testa la corsa al Campidoglio? “Il candidato migliore è Carlo Calenda, ma sono d’accordo con Giuliano Ferrara: dovrebbe smettere di sparare sul Pd e sul governo. Un sindaco che nasce in opposizione al governo, oltretutto, parte già col piede sbagliato”.

 

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