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Come sarà la prossima legge di Bilancio

Valerio Valentini

Dal Recovery arrivano 14 miliardi per crediti d'imposta alle imprese e piano cashless. I tre miliardi per l'assegno unico. Quasi dieci per bonus e proroghe post-Covid. Nel complesso, si tratta di 38 miliardi. Poche risorse alla Sanità, nell'attesa che si sciolga il garbuglio del Mes

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Di spazio per la fantasia, per la visione, stavolta anche volendo ce ne sarebbe davvero poco. “Gestiamo l’ordinario, e pensiamo a farlo bene”, ripete il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri. E d’altronde anche l’entusiasmo per il grande evento, la frenesia che di solito accompagna la stesura della legge di Bilancio, anche quelli stavolta sembrano più flebili, annacquati dalla consapevolezza che quasi sicuramente bisognerà fare nuovi interventi, nuovi scostamenti, correggere in corsa le finanze pubbliche per adeguarle agli stravolgimenti imposti dal Covid.

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Di spazio per la fantasia, per la visione, stavolta anche volendo ce ne sarebbe davvero poco. “Gestiamo l’ordinario, e pensiamo a farlo bene”, ripete il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri. E d’altronde anche l’entusiasmo per il grande evento, la frenesia che di solito accompagna la stesura della legge di Bilancio, anche quelli stavolta sembrano più flebili, annacquati dalla consapevolezza che quasi sicuramente bisognerà fare nuovi interventi, nuovi scostamenti, correggere in corsa le finanze pubbliche per adeguarle agli stravolgimenti imposti dal Covid.

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Alla Sanità poche risorse, in attesa (forse) del Mes

A partire dal settore che più di tutti è sottoposto alla morsa del morbo, e cioè quello sanitario: a cui, stando alle bozze prodotte dal Mef e analizzate dai responsabili dei gruppi di maggioranza prima del vertice di ieri sera, andrà ben poco, e comunque assai meno dei 20 miliardi che Roberto Speranza indicava come cifra minima per avviare la sua rivoluzione copernicana del sistema sanitario nazionale. Perché, al di là delle spese indifferibili, nelle casse del suo ministero finiranno meno di due miliardi. Sempre che, alla fine, non si intervenga in un secondo momento. Magari ricorrendo al Mes, e ponendo fine a una querelle ormai stucchevole che ieri ha spinto duecento sindaci a sottoscrivere la richiesta di attivazione dei prestiti, atto benedetto dal segretario del Pd  Nicola Zingaretti, mentre Italia viva coi capigruppo Boschi e Faraone e il responsabile economico Marattin promuoveva una petizione uguale e parallela. 

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I progetti da finanziare col Recovery (14 miliardi)

Nell’attesa che questo mistero buffo del Fondo salva stati si risolva, nel frattempo, oggi in Cdm il governo discuterà un disegno di legge di Bilancio da 38 miliardi. Quattordici di questi, però, provengono dall’Unione europea, sotto forma di anticipo del Recovery fund spendibile già nei prossimi mesi. La gran parte se li aggiudicherà il Mise, pare. Perché, stando ai dossier che il ministro per gli Affari europei Enzo Amendola ha promosso a Bruxelles nei giorni scorsi, saranno oltre 9 i miliardi che verranno drenati dai vari crediti d’imposta connessi al pacchetto di Industria 4.0 che Stefano Patuanelli ha voluto riattivare: 3 miliardi nel 2021 e circa 6,5 l’anno successivo, con la misura che entrerà a pieno regime pescando sempre dal bacino di questa legge di Bilancio. Il resto del Recovery, per ora, viene indirizzato verso il superbonus del 110 per cento (3 miliardi circa), e il fondo per il “Piano cashless” (1,75 miliardi per il 2021) per incentivare i pagamenti elettronici, ben accolto da Bruxelles insieme alle misure previste per la digitalizzazione dell’Agenzia delle entrate, che dreneranno le risorse rimanenti.

 

Proroghe e bonus: le misure per il Covid valgono circa 10 miliardi

Poi ci sono 24 miliardi di risorse proprie. Che saranno tutte o quasi a debito. Tra i 3 e i 4 miliardi serviranno per le spese indifferibili, come il rifinanziamento delle missioni militari all’estero. Poi ci sono 10 miliardi, mal contati, che verranno destinati alla proroga di misure già stanziate per fronteggiare l’emergenza Covid: dalla cassa integrazione alla decontribuzione al Sud fortemente voluta dal ministro Peppe Provenzano, dal taglio del cuneo fiscale a carico delle imprese (2 miliardi circa) fino ai bonus edilizi. 

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Poi ci saranno 3 miliardi per l’assegno unico per i figli a carico. Anche in questo caso, le aspettative di Italia viva e Pd sono state riviste al ribasso: e infatti le risorse stanziate verranno destinate a una misura che, attraverso la legge delega in discussione al Senato, entrerà in vigore il primo luglio del 2021. Dunque solo per il secondo semestre. E se c’è unanime convergenza sull’opportunità della riforma, che di fatto eroga una quota mensile alle famiglie per ciascun figlio dal settimo mese di gravidanza fino al ventunesimo anno d’età, qualche tensione in materia c’è in merito all’orizzonte futuro in cui il provvedimento si staglia. Perché Italia viva pretende che questo sia il primo passo di un riassetto generale dell’Irpef, e non l’ennesima complicazione che andrebbe ad appesantire un sistema già di suo assai bizantino. Ma sulla complessiva riforma fiscale, che viene rimandata all’anno prossimo, l’ipotesi di aliquota personalizzata “alla tedesca” che dal Mef è stata ventilata non piace affatto ai renziani, e lascia tiepidi, per ora, anche i grillini. Ma per le riforme di sistema c’è tempo.
Prima vanno affrontate le spese ordinarie e le sfide più incombenti. E infatti i 7 miliardi residui, dei 38 totali, serviranno ad accontentare le varie richieste dei singoli ministeri: un miliardo se lo prenderà il Mise, e altrettanto il Mit di Paola De Micheli, intenzionata innanzitutto a rifinanziare il trasporto pubblico locale (solo 500 milioni serviranno per estendere i contratti di servizio ai gestori di bus turistici, così da ridurre il sovraffollamento dei mezzi pubblici). E poi, appunto, c’è il miliardo e mezzo per Speranza. 

 

L’ultima incognita che forse si affronterà, in un disegno complessivo che prevede molto lavoro di cacciavite e poco slancio negli investimenti, riguarda le cartelle esattoriali. L’idea di sospendere la moratoria proprio a metà ottobre, proprio nei giorni in cui la seconda ondata pone nuove angosce a imprese e famiglie, non convince affatto né Iv né il M5s, che spingono per rinviare la scadenza fino a fine anno. Ma si tratta di qualche centinaia di milioni, al momento. E difficilmente si finirà a litigare davvero, sugli spiccioli.

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