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sofferenze europee

Il problema delle banche con gli Npl non è solo un problema delle banche

Come gestire l’ondata di prestiti che famiglie e imprese non riusciranno ad onorare a causa del Covid-19?

Mariarosaria Marchesano

Secondo Enria (Bce) i crediti deteriorati potrebbero lievitare fino a 1400 miliardi in tutta Europa. La strada della bad bank europea, la possibile revisione del calendar provisioning e le resistenze della Bce 

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“Nello scenario peggiore potrebbero esserci fino a 1400 miliardi di euro di crediti inesigibili nelle banche europee, più che dopo la grande crisi finanziaria”. Il capo del Consiglio di sorveglianza della Bce, Andrea Enria, ha confermato la previsione, già circolata ufficiosamente a fine settembre, in un’intervista al quotidiano tedesco Handelsblatt nella quale ribadisce che il modo più efficace per accelerare il lavoro di pulizia nelle banche sarebbe quello di creare “una bad bank a livello europeo”, ma aggiunge che anche una rete di società di gestione patrimoniale nazionali “potrebbe funzionare bene”. In quest’affermazione sono racchiusi mesi di dibattito tra i paesi dell’Unione in cui non è stata ancora trovata una soluzione condivisa su come gestire l’ondata di prestiti che famiglie e imprese non riusciranno ad onorare a causa della crisi economica scatenata dalla pandemia.

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“Nello scenario peggiore potrebbero esserci fino a 1400 miliardi di euro di crediti inesigibili nelle banche europee, più che dopo la grande crisi finanziaria”. Il capo del Consiglio di sorveglianza della Bce, Andrea Enria, ha confermato la previsione, già circolata ufficiosamente a fine settembre, in un’intervista al quotidiano tedesco Handelsblatt nella quale ribadisce che il modo più efficace per accelerare il lavoro di pulizia nelle banche sarebbe quello di creare “una bad bank a livello europeo”, ma aggiunge che anche una rete di società di gestione patrimoniale nazionali “potrebbe funzionare bene”. In quest’affermazione sono racchiusi mesi di dibattito tra i paesi dell’Unione in cui non è stata ancora trovata una soluzione condivisa su come gestire l’ondata di prestiti che famiglie e imprese non riusciranno ad onorare a causa della crisi economica scatenata dalla pandemia.

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Il tema meriterebbe maggiore spazio nel dibattito pubblico, che in Italia è interamente concentrato sul Recovery Fund, Mes e su quanto deficit il governo può permettersi ancora per stimolare la ripresa. Il fatto è che la materia appare molto tecnica, per addetti ai lavori. In realtà ha una connotazione politica proprio come il Recovery e il Mes, anche se la Banca centrale europea vorrebbe evitare di spostare la discussione su questo piano per preservare la sua autonomia nell’attività di vigilanza sul sistema bancario. Intanto, in molti cominciano a domandarsi come mai l’Unione europea stia facendo ogni tipo di sforzo per affrontare la crisi scatenata dalla pandemia, arrivando persino a emettere debito comune – perché è quello che succederà con il Recovery – e, comunque, ha lasciato gli stati liberi di fare debito e la Bce di mettere in atto politiche monetarie più accomodanti che mai, e poi non riesce a trovare una soluzione condivisa sugli Npl. L’ipotesi di una bad bank europea era stata caldeggiata già a marzo scorso da Enria, ma per ora non avrebbe trovato sufficiente consenso a causa della normativa sugli aiuti di stato. Il sospetto è, però, che la contrapposizione tra paesi del centro e della periferia dell’Eurozona, che si riflette anche nel consiglio direttivo dell’Eurotower, abbia bloccato ogni iniziativa in questo senso, nonostante, come dice Enria nell’intervista al quotidiano tedesco, vi siano motivazioni molto valide per sostenere il contrario.

 

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Basta dare un’occhiata ai dati per farsi un’idea di come stanno le cose: i crediti deteriorati delle 121 più grandi banche europee si sono quasi dimezzati in quattro anni raggiungendo 506 miliardi di euro a fine 2019, vale a dire il 3,2 per cento dei loro portafoglio-prestiti, ma le banche greche, cipriote, portoghesi e italiane hanno ancora rapporti di crediti deteriorati superiori al 6 per cento. Ebbene, è possibile che tale distanza si aggravi con l’impennata dei prestiti insoluti attesa per quest’anno, che riguarderà sì tutti i paesi ma in misura diversa perché diverse sono le basi di partenza (per l’Italia la stima è di 330 miliardi, più di un quinto del totale). Questo è il vero punto e cercare una linea comune che faccia perno su principi di solidarietà non sembra neanche in discussione.

 

Alcuni pensano che bisognerebbe almeno evitare che regole troppo severe sulla classificazione degli Npl in bilancio (il così detto calendar provisioning) indeboliscano le banche che stanno affrontando cali di pil dell’8-10 per cento. Come spiega al Foglio un veterano del settore come Giovanni Bossi, ex amministratore delegato di Banca Ifis e oggi numero uno della società finanziaria Cherry 106, esiste il concreto rischio che il calendar provisioning modifichi i modelli di business delle banche inducendole a non erogare credito ai più deboli. “Ma siamo sicuri che questo sia politicamente sensato? – si chiede Bossi – Con la pandemia, il regolatore con una mano agevola le banche perché evitino di stringere le maglie ora che l’economia reale ha più bisogno e con l’altra lascia correre normative che vanno nella direzione diametralmente opposta”. Quello che serve, secondo il Bossi, “è trovare il consenso per cambiare questa normativa che era sbagliata prima e lo è mille volte di più in tempi di Covid. Ma bisogna fare in fretta. Quantomeno, il calendar provisioning dovrebbe essere posticipato e nel frattempo rivisto convocando al tavolo di discussione regolatore, banche ma anche imprese”. Questa posizione è condivisa un po’ in tutto il mondo bancario: il primo a intervenire sul tema è stato qualche tempo fa l’amministratore delegato di Mediobanca, Alberto Nagel, davanti alla commissione parlamentare sulle banche e più di recente il direttore dell’Abi, Antonio Patuanelli, ha sollecitato l’adozione di forme di flessibilità partendo dal presupposto che le norme attuali sono state emanate in un contesto economico-finanziario del tutto diverso da quello attuale. Ma dalla Banca d’Italia è arrivata una doccia fredda quando il governatore Ignazio Visco ha detto che le attuali regole non si cambiano e ha sollecitato le banche a utilizzare i cuscinetti di capitale accumulati per apportare rettifiche nei bilanci per le inadempienze sui prestiti erogati. E non poteva essere diversamente, perché la Banca d’Italia ha una posizione allineata a quella della Bce, che è di sostanziale osservanza delle regole che sono state scritte dalla Commissione europea quando a capo della vigilanza della Bce c’era la francese Daniele Nouy. Ma quello che si percepisce è la mancanza di orientamento univoco. 

 

Una recente analisi di Mediobanca ha messo in evidenza come il vicepresidente del Consiglio di vigilanza della Bce, il lussemburghese Yves Mersch, abbia mancato in recenti interviste di dare il suo supporto all’ipotesi che più sta a cuore al presidente Enria, quella della bad bank unica. In effetti, Mersch ha sottolineato che le banche non dovrebbero aspettarsi alcun cambiamento nelle norme che disciplinano gli npl e che dovrebbero affrontare il problema il prima possibile. Affrontarlo a livello nazionale, lui intende, non europeo. Dunque, se proprio si deve fare, la bad bank deve essere sovrana e non battere bandiera europea, il che equivale a dire che ogni paese deve lavare i panni sporchi in casa propria, Italia compresa. Intanto, un ex componente del consiglio di vigilanza della Bce, come Ignazio Angeloni, ha spiegato su Repubblica che il calendar provisioning andrebbe “semplicemente abolito o sospeso sine die” e affidati i corrispondenti poteri alla Bce che per mandato esercita discrezione e flessibilità mentre per sua natura una legge è rigida. Per il momento, però, questa strada sembra poco percorribile mentre si attende che Enria riesca a fare dei passi in avanti. 

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