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Un Nobel all’asta: i meccanismi di una gara perfetta secondo Milgrom e Wilson

Simona Benedettini e Carlo Stagnaro

Gli studi dei due economisti premiati dall'Accademia svedese ci dicono che dei mercati non possiamo fare a meno neppure per gli appalti pubblici

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Il Premio Nobel per l’Economia 2020 va a due studiosi della Stanford University, Paul Milgrom e Robert Wilson, per i loro lavori sul funzionamento dei mercati: soltanto attraverso processi competitivi ben disegnati si può conoscere il valore delle cose. Solo che, a volte, definire correttamente le regole del gioco può essere complicato: i beni scambiati possono non essere omogenei, le informazioni sulle loro caratteristiche possono essere distribuite in modo asimmetrico tra i partecipanti e influenzarne il comportamento e, in ultima istanza, l’esito finale del processo. Che fare, allora? Le aste sono quotidianamente impiegate in tutto il mondo. Si pensi a eBay o alle gallerie d’arte. Gli economisti hanno però dimostrato che possono essere usate anche negli scambi che coinvolgono soggetti pubblici per perseguire interessi di natura collettiva. E’ il caso degli appalti pubblici o dell’affidamento di beni o servizi in concessione a terzi. Per esempio, l’assegnazione dello spettro elettromagnetico a operatori privati delle telecomunicazioni (inclusa l’asta con cui il governo italiano ha incassato 6,5 miliardi per le frequenze 5G). O, ancora, l’allocazione delle quote di emissione di CO2, per perseguire la decarbonizzazione dell’economia al minore costo possibile per la società. Un caso di ancora maggiore attualità è quello del vaccino contro il Covid-19: quando sarà disponibile, gli stati dovranno disegnare adeguati meccanismi di approvvigionamento.

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Il Premio Nobel per l’Economia 2020 va a due studiosi della Stanford University, Paul Milgrom e Robert Wilson, per i loro lavori sul funzionamento dei mercati: soltanto attraverso processi competitivi ben disegnati si può conoscere il valore delle cose. Solo che, a volte, definire correttamente le regole del gioco può essere complicato: i beni scambiati possono non essere omogenei, le informazioni sulle loro caratteristiche possono essere distribuite in modo asimmetrico tra i partecipanti e influenzarne il comportamento e, in ultima istanza, l’esito finale del processo. Che fare, allora? Le aste sono quotidianamente impiegate in tutto il mondo. Si pensi a eBay o alle gallerie d’arte. Gli economisti hanno però dimostrato che possono essere usate anche negli scambi che coinvolgono soggetti pubblici per perseguire interessi di natura collettiva. E’ il caso degli appalti pubblici o dell’affidamento di beni o servizi in concessione a terzi. Per esempio, l’assegnazione dello spettro elettromagnetico a operatori privati delle telecomunicazioni (inclusa l’asta con cui il governo italiano ha incassato 6,5 miliardi per le frequenze 5G). O, ancora, l’allocazione delle quote di emissione di CO2, per perseguire la decarbonizzazione dell’economia al minore costo possibile per la società. Un caso di ancora maggiore attualità è quello del vaccino contro il Covid-19: quando sarà disponibile, gli stati dovranno disegnare adeguati meccanismi di approvvigionamento.

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Ecco che i lavori di Milgron e Wilson torneranno più utili che mai. Milgrom e Wilson si sono concentrati proprio sulla concessione dell’uso di beni pubblici e sull’affidamento della gestione di servizi di pubblica utilità attraverso meccanismi di asta. In particolare, hanno investigato l’impatto che le asimmetrie informative tra i partecipanti circa le caratteristiche dei beni e servizi in asta possono avere sul comportamento dei partecipanti stessi. E, in ultima analisi, sui risultati dell’asta, ossia sul ricavo conseguito dallo stato in forma diretta o in forma di risparmi di spesa per la collettività. Il valore di un bene può dipendere dalle sue caratteristiche comuni e osservabili – per esempio, le frequenze messe in asta – e dalle sue caratteristiche soggettive – ossia dipendenti dalle valutazioni soggettive dei partecipanti, come i possibili utilizzi e le aspettative sull’evoluzione dei mercati. Wilson si è occupato della diversa distribuzione di informazione tra i partecipanti all’asta circa le caratteristiche comuni e osservabili. Una delle sue intuizioni più importanti riguarda il fatto che, nelle gare per aggiudicarsi i servizi pubblici, i partecipanti tenderanno a chiedere una compensazione un po’ inferiore a quella che essi ritengono essere il valore “vero” dei servizi. Per esempio, pur di non perdere l’appalto, potrebbero chiedere 90 per produrre un servizio (come la raccolta dei rifiuti) per il quale ne servirebbero 100. Questo fenomeno viene definito come “winner’s curse” (la maledizione del vincitore), cioè il timore di chiedere “troppo” a causa di un errore di valutazione. In tal modo, gli aggiudicatari rischiano di ottenere una remunerazione insufficiente a coprire i loro costi: di questo, il disegno dell’asta deve tenere conto, in modo da prevenire esiti indesiderati, come un peggioramento della qualità del servizio o addirittura il fallimento del vincitore. Milgrom parte dal contributo di Wilson per investigare la maledizione del vincitore in funzione di diversi tipi di aste (per esempio al ribasso o al rialzo) e in presenza di valutazioni soggettive, in aggiunta alle caratteristiche comuni e osservabili dei beni e servizi oggetto di gara.

 

Il premio a Milgrom e Wilson è molto più che meritato e si estende, almeno idealmente, ai numerosi co-autori con cui hanno lavorato. O, almeno, a David Kreps e John Roberts, che assieme a loro erano noti come la “banda dei quattro” per la quantità e qualità della loro ricerca congiunta, specie negli anni Ottanta. L’Accademia Reale di Svezia, insomma, sembra voler dare un messaggio chiaro: dei mercati non possiamo fare a meno. La ricerca ha quindi un ruolo fondamentale per aiutarli a funzionare meglio. Una lezione che mai come oggi è attuale.

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