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Crollo e ripartenza. I segnali (positivi) dell'industria manifatturiera

La produzione italiana ha retto meglio di ogni altra in Europa lo tsunami Covid. I dati Cna

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L’industria manifatturiera italiana ha resistito meglio di ogni altra in Europa allo tsunami economico innescato dall’emergenza sanitaria. Nella comparazione tra le prestazioni delle principali economie continentali, nel periodo gennaio-luglio (per il quale sono disponibili dati omogenei) la perdita cumulata del manifatturiero tricolore rispetto allo stesso periodo del 2019 risulta del 6,6 per cento, un dato meno severo della media europea (-7,5 per cento) e di Francia (-6,8), Regno Unito (-7,9) e soprattutto Germania (-11,5 per cento). La Germania è il primo paese manifatturiero d’Europa, seguita proprio dall’Italia, che genera il 12 per cento del valore aggiunto complessivo. A rilevare la resilienza italiana e la capacità di reagire prontamente alla crisi è l’Osservatorio manifattura del Centro studi Cna. 

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L’industria manifatturiera italiana ha resistito meglio di ogni altra in Europa allo tsunami economico innescato dall’emergenza sanitaria. Nella comparazione tra le prestazioni delle principali economie continentali, nel periodo gennaio-luglio (per il quale sono disponibili dati omogenei) la perdita cumulata del manifatturiero tricolore rispetto allo stesso periodo del 2019 risulta del 6,6 per cento, un dato meno severo della media europea (-7,5 per cento) e di Francia (-6,8), Regno Unito (-7,9) e soprattutto Germania (-11,5 per cento). La Germania è il primo paese manifatturiero d’Europa, seguita proprio dall’Italia, che genera il 12 per cento del valore aggiunto complessivo. A rilevare la resilienza italiana e la capacità di reagire prontamente alla crisi è l’Osservatorio manifattura del Centro studi Cna. 

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Il confinamento imposto dal governo aveva gettato l’industria manifatturiera italiana in una sorta di precipizio. Tra gennaio e aprile la diminuzione della produzione nazionale ha registrato uno spaventoso -46,3 per cento. Un risultato che non ha eguali nelle crisi più recenti. Ai tempi della crisi dei “subprime”, che pure colpì pesantemente il nostro manifatturiero, la caduta della produzione tra agosto 2007 e marzo 2009 era stata del 28,1 per cento. Questo andamento ha spaventato non poco. La manifattura nel nostro paese è un “asset” fondamentale per lo sviluppo socio-economico. Negli ultimi vent’anni il suo valore aggiunto è stato mediamente quasi un quinto di quello nazionale (17 per cento). E per investimenti la sua quota nel sistema produttivo è stata ancora superiore (21 per cento). Prima dell’attuale crisi contava poco meno di 480 mila imprese con circa quattro milioni di occupati e 961 miliardi di valore aggiunto. Produceva quasi la metà delle richieste di brevetto. Ed era al quinto posto al mondo per surplus commerciale. Tanto, però, è stato precipitoso il calo – dovuto a una crisi non solo di domanda ma anche di offerta, causata dalla chiusura degli stabilimenti, che non si era verificata nella crisi dei “subprime” – tanto è stata a razzo la ripartenza. Dopo il rimbalzo fisiologico e molto accentuato di maggio (+46,8 per cento) anche a giugno e luglio il terreno perduto è stato recuperato a ritmo sostenuto, segnando rispettivamente il +8,9 per cento e il +8,7 per cento. In tre mesi un recupero del 39,7 per cento.

 

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Tanto per rendere l’idea: tra il 2009 e il 2010 fu recuperato solo il 40 per cento del terreno perduto durante la crisi. Un recupero, quello messo a segno nel trimestre maggio-luglio, in grado di coinvolgere quasi tutti i settori, ma con ben diversa intensità. Rilevato che nei primi sette mesi del 2020 nessun comparto è stato in grado di raggiungere i livelli di attività del 2019 (nemmeno alimentari/bevande e farmaceutica) prendendo a riferimento il solo mese di luglio (perché a giugno e soprattutto a maggio i dati sono drogati dall’effetto rimbalzo), sono cinque i settori che hanno trainato il parziale recupero del settore manifatturiero: elettronica, mezzi di trasporto, altre industrie manifatturiere, gomma/plastica/minerali non metalliferi, meccanica.

 

Che cosa ha determinato la resilienza italiana rispetto anche ad altre economie più solide? L’Italia è stato il primo paese europeo a essere seriamente colpito dalla pandemia, quando i partner-concorrenti godevano di una situazione tutto sommato tranquilla. Il confinamento esteso a tutto il territorio nazionale ha provocato appunto un crollo senza eguali in Europa. Ma, suggerisce l’indagine del Centro studi della Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa, proprio il “lockdown” severo, ma limitato nel tempo, applicato al nostro paese potrebbe essersi dimostrato la risposta più corretta a un tipo di emergenza epocale quale la pandemia da Covid-19. Il buon andamento post riapertura della produzione manifatturiera lascerebbe ben sperare. Secondo il Centro studi Cna, potrebbe guidare la ripresa (con tutti i suoi limiti) dell’economia e far sì che il 2020 si possa chiudere con una perdita di prodotto interno lordo inferiore ai dieci punti percentuali. Ma il condizionale è quanto mai d’obbligo. La nuova ondata di contagi a livello europeo, se non fosse arrestata drasticamente, potrebbe avere effetti nefasti sugli scambi commerciali, tanto più in uno stato orientato alle esportazioni come il nostro, vanificando il recupero in atto e contagiando l’intero sistema paese. Ancora più dannoso risulterebbe un altro confinamento: amplificherebbe la recessione in atto mettendo alle corde un sistema produttivo che finora ha retto l’urto della crisi innescata dalla pandemia solo grazie alle politiche pubbliche di sostegno all’economia. Che non possono continuare all’infinito.

 

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