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Azioni che servono sulle banche per non deteriorare i capitali

Edoardo Ginevra

Perché il Covid è un'occasione per mettere in discussione gli effetti prociclici delle attuali regole sui "Non perfoming loans"

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Tra il 2015 e il 2019 le banche italiane avevano fatto grandi progressi nell’azione di riduzione dei crediti deteriorati (Non Performing Exposures, NPE), scesi nel periodo da circa 340 a circa 130 miliardi. La crisi del Covid sta facendo fatalmente invertire il trend, con un forte contributo atteso dalle attuali moratorie: uno stock di oltre 300 miliardi, equivalenti a un buon 20/30% dell’economia nazionale, che secondo un recente rapporto PWC potrebbero trasformarsi in NPE per una frazione compresa tra 60 e 100 miliardi. Sono numeri importanti, che porterebbero a ridurre i surplus patrimoniali delle banche e si rifletterebbero negativamente sulla loro capacità di far credito all’economia.

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Tra il 2015 e il 2019 le banche italiane avevano fatto grandi progressi nell’azione di riduzione dei crediti deteriorati (Non Performing Exposures, NPE), scesi nel periodo da circa 340 a circa 130 miliardi. La crisi del Covid sta facendo fatalmente invertire il trend, con un forte contributo atteso dalle attuali moratorie: uno stock di oltre 300 miliardi, equivalenti a un buon 20/30% dell’economia nazionale, che secondo un recente rapporto PWC potrebbero trasformarsi in NPE per una frazione compresa tra 60 e 100 miliardi. Sono numeri importanti, che porterebbero a ridurre i surplus patrimoniali delle banche e si rifletterebbero negativamente sulla loro capacità di far credito all’economia.

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Il quadro regolamentare introdotto negli ultimi anni rende potenzialmente più acuti questi effetti. Rilevano in proposito tre elementi: a) il calendar provisioning, normativa che richiede di accantonare gradualmente l’intero importo dei crediti non performing, prescindendo dalle previsioni di recupero e ancorandosi unicamente al tempo trascorso dal default), b) la soglia di NPE ratio definita da EBA/BCE per identificare le “high NPE banks”, posizionata al 5% (senza differenziazioni per paese, giurisdizione, tipologia di NPE), con obbligo di definire un programma di rientro rivolto a chiunque si trovi al di sopra di tale livello e c) la “nuova definizione di default” che, rende potenzialmente a rischio di classificazione a NPE una fetta consistente delle attuali moratorie. Sono meccanismi introdotti in momenti molto recenti, ma molto diversi dall’attuale; meccanismi che configurano un quadro regolamentare fortemente prociclico, destando legittimi e forti punti di attenzione. In particolare il calendar provisioning (“una bomba atomica” per l’AD di Mediobanca durante la recente audizione parlamentare sul tema) presenta aspetti paradossali: una regola che si applica ai nuovi NPE/nuovi crediti, non a quelli già in essere e/o ai non performing “storici”; una regola, quindi, che via via che i buffer patrimoniali delle banche inizieranno a ridursi per effetto della componente “Covid-related” dei NPE, tenderà – un effetto collaterale a dir poco paradossale – a penalizzare tale componente in misura più pronunciata rispetto ai deteriorati preesistenti.

 

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Gli interventi da attivare per non ritrovarsi in una situazione di credit crunch devono partire da una piena comprensione dell’obiettivo: se si vuole, come credo sia giusto fare, limitare gli impatti negativi degli NPE sul capitale delle banche, mettendole in grado di continuare a far credito all’economia, allora occorre intervenire su questo aspetto specifico. Si tratta, in sostanza, di riorientare l’attuale dibattito sulle bad bank – veicoli di matrice pubblica attivati con lo scopo di acquistare NPE dalle banche a un prezzo equo, senza peraltro configurare l’aiuto di Stato – studiando e realizzando forme di garanzia volte a ripristinare i buffer patrimoniali per le banche, perlomeno in parte, riassorbendo gli effetti negativi generati dal Covid (anche, ma eventualmente non solo, attraverso la creazione di nuovi NPE). Ovviamente, è nell’interesse della collettività che, dato il flusso dei covid-related NPE, l’impatto sul capitale (e quindi sulla capacità di fare nuovo credito) delle banche sia più limitato possibile. In questa logica diventa fondamentale porre sui due piatti della bilancia gli elementi chiave da cui deve dipendere la decisione del policymaker. Da un lato, l’onere da sostenere per ridurre l’impatto del Covid; dall’altro, il contributo che a questo onere deriva dagli istituti di vigilanza e regolamentazione recentemente introdotti: il calendar provisioning, la soglia del 5% che fa scattare l’etichetta di “high NPE bank” e la nuova definizione di default, con il suo impatto potenzialmente molto importante sulle aziende beneficiarie di moratoria (e, quindi, sull’economia). In altri termini, più draconiane sono le regole sugli NPE, indistintamente applicate “Covid o non Covid”, più rilevanti, alla fine della catena, saranno le risorse richieste alla collettività per finanziare l’intervento delle bad bank. Impostato in questo modo, il dibattito potrebbe permettere di mettere in discussione, senza preconcetti, gli effetti prociclici delle attuali regole e andare oltre, nell’interesse di un utilizzo più efficace, efficiente e razionale delle risorse pubbliche. 

 

Edoardo Ginevra è cfo di Banco Bpm

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