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La visione industriale che manca all'Italia per trasformare i rifiuti da problema a risorsa

Maria Carla Sicilia

Investimenti per 10 miliardi di euro e circa 70 impianti da costruire: così l'economia circolare può diventare traino per lo sviluppo per il paese. L'occasione del Recovery fund 

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Più rifiuti prodotti, meno impianti capaci di gestirli. I punti deboli del sistema di gestione dei rifiuti in Italia restano tali e anzi negli ultimi 18 mesi si sono rafforzati, rendendo evidenti le difficoltà di un settore industriale, quello del waste management, che vale 28 miliardi di euro e occupa 135 mila persone. Un settore che rientra perfettamente nel perimetro entro cui indirizzare le risorse europee del Next Generetion Found, perché è parte integrante di quell'economia circolare di cui l'Europa e l'Italia vogliono diventare protagonisti. I numeri li ha messi a fuoco Fise Assoambiente, l'associazione guidata da Chicco Testa che oggi a Milano ha anticipato una parte del consueto Rapporto annuale che verrà presentato a Ecomondo.

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Più rifiuti prodotti, meno impianti capaci di gestirli. I punti deboli del sistema di gestione dei rifiuti in Italia restano tali e anzi negli ultimi 18 mesi si sono rafforzati, rendendo evidenti le difficoltà di un settore industriale, quello del waste management, che vale 28 miliardi di euro e occupa 135 mila persone. Un settore che rientra perfettamente nel perimetro entro cui indirizzare le risorse europee del Next Generetion Found, perché è parte integrante di quell'economia circolare di cui l'Europa e l'Italia vogliono diventare protagonisti. I numeri li ha messi a fuoco Fise Assoambiente, l'associazione guidata da Chicco Testa che oggi a Milano ha anticipato una parte del consueto Rapporto annuale che verrà presentato a Ecomondo.

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Nell'ultimo anno e mezzo i rifiuti urbani prodotti sono aumentati del 2 per cento, quelli speciali del 3,3 per cento, per un totale di oltre 5 milioni di tonnellate. Di contro, ci sono quasi 400 impianti di recupero materia e stoccaggio in meno, così come sono diminuiti anche gli impianti attivi di incenerimento e digestione anaerobica, come si legge dal confronto dei dati Ispra degli ultimi due anni. La conseguenza di questo deficit è che sono aumentati i viaggi tre le regioni e verso l'estero, dove i nostri rifiuti vengono riciclati o trasformati in energia: rispetto al 2018 abbiamo mandato fuori confine il 31 per cento in più di urbani e il 14 per cento in più di speciali. Le spese di questi extra costi ricadono sulla Tari e anche sulle imprese, che hanno pagato il 40 per cento in più rispetto al 2018 per smaltire i rifiuti prodotti.

 

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Per chiudere il cerchio all'interno dei nostri confini, secondo l'associazione servirebbero una settantina di impianti, che rappresentano un investimento di circa 10 miliardi di euro. Risorse che Fise Assoambiente suggerisce di recuperare dal Recovery Found, dai fondi strutturali destinati all'Italia e dai finanziamenti a tassi ridotti elargiti dalla Bei, senza tralasciare le riforme di sistema senza le quali il settore non potrebbe comunque sbloccarsi. Il riferimento è al codice degli appalti e alle procedure di autorizzazione, che non vanno solo semplificate ma anche ridotte nei tempi (oggi per avere un via libera ci vogliono almeno 5 anni). Senza questi interventi strutturali e un piano nazionale di ricognizione, anche gli investimenti ordinari continuerebbero ad essere penalizzati, rendendo più difficile il raggiungimento dei obiettivi europei fissati per i prossimi 15 anni che richiedono più raccolta differenziata, più riciclo e meno discarica.

 

Da domani, con l'entrata in vigore del decreto legge 116 che ha recepito la direttiva europea sull'economia circolare, si apre poi un nuovo fronte di incertezza sul sistema di raccolta e gestione dei rifiuti che potrebbe avere ricadute anche sulla Tari. La norma cambia infatti il perimetro di ciò che fino a oggi poteva essere considerato rifiuto urbano nonostante la provenienza industriale: mentre a deciderlo prima erano i comuni, in base a esigenze di cassa o alla capacità di gestione delle aziende locali, oggi è la definizione contenuta nel decreto legge a fissare i paletti. “Sarà la risposta dei territori a fare la differenza su come la norma impatterà sugli operatori del settore – spiega Elisabetta Perrotta, direttrice di Fise Assoambiente”. Per l'Europa l'estensione del perimetro dei rifiuti urbani è funzionale al raggiungimento dei target di riciclo. Ma come nota Perrotta, senza impianti in grado di trasformare questi rifiuti in risorse e senza meccanismi di supporto per il mercato a valle di questo processo, l'economia circolare è destinata a restare al palo.

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