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Recovery del capitale

Pier Carlo Padoan

I fondi Ue possono aiutarci a migliorare il proprio capitale umano a condizione di archiviare i tabù sull’istruzione

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Un modo sintetico per valutare il ritardo dell’economia italiana è quello di identificare i diversi gap di capitale che la caratterizzano: materiale, immateriale, infrastrutturale, umano, sociale. Sono questi “ritardi” che ci portiamo dietro da decenni la causa prossima della scarsa crescita italiana e delle fragilità che la crisi del Covid ha messo a nudo. Ne segue che le politiche destinate a colmare questi gap dovranno essere in grado di attivare investimenti, pubblici e privati. Lo dice chiaramente il documento (non ufficiale) che illustra metodi e contenuti delle linee guida del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che all’ultima riga dell’ultima slide recita: “Per aumentare il tasso di crescita del pil potenziale è comunque necessario che il Pnrr produca un forte aumento degli investimenti, pubblici e privati”. Questo pone un problema che merita più attenzione di quanto avvenuto finora. Posto che gli investimenti pubblici sono (in teoria) direttamente controllati dallo stato – pur con tutte le difficoltà procedurali – come farà il Pnrr a attivare gli investimenti privati? Per dirla altrimenti: come reagiranno le imprese al Pnrr? I canali, in linea di principio, sono diversi. Il primo è quello macroeconomico. Nello scenario più favorevole presentato da Banca d’Italia nella audizione alla Camera se tutti gli investimenti finanziabili dal Pnrr fossero aggiuntivi rispetto a quelli gia programmati l’impatto sul pil sarebbe di 3 punti percentuali cumulati entro il 2025. Ci sarebbe quindi un contributo di spesa privata, investimenti compresi, indotta via moltiplicatori della spesa pubblica. Sarebbe un contributo significativo ma che non potrebbe considerarsi soddisfacente ai fini delle sfide che il paese fronteggia. La filosofia di fondo del Next Generation Eu (Ngeu) è che la ripresa dell’Europa post Covid si debba basare su una trasformazione strutturale del sistema economico verso una economia più verde e più ricca di tecnologia digitale. Ciò implica che le imprese investano in nuove tecnologie verdi, stimolate anche da un cambiamento delle abitudini di consumo delle famiglie. Non basta che aumenti il capitale accumulato, occorre che sia diverso rispetto a quello pre crisi. Al di là dell’effetto macroeconomico, quali sono gli incentivi che il Pnrr introdurrà nel sistema a questo scopo? In primo luogo le caratteristiche del contesto in cui le imprese operano. Le linee guida contengono ampie indicazioni per la ricostruzione o il rafforzamento degli elementi che costituiscono il business environment. Cosa che richiede una strategia di riforme strutturali. Dalla riforma della pubblica amministrazione, della giustizia civile, alle reti informatiche al sistema scolastico e universitario. Non tutte queste voci sono direttamente finanziabili dal Pnrr ma è ragionevole assumere che potrebbero avere un impatto significativo sulla crescita degli investimenti privati se le imprese private riconoscessero che, a seguito degli investimenti pubblici e delle riforme, le condizioni per investimenti privati sono migliorate. Tutto ciò richiede tempo, quello necessario per la realizzazione e il completamento dei progetti di riforma e gli investimenti pubblici a essi associati.

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Un modo sintetico per valutare il ritardo dell’economia italiana è quello di identificare i diversi gap di capitale che la caratterizzano: materiale, immateriale, infrastrutturale, umano, sociale. Sono questi “ritardi” che ci portiamo dietro da decenni la causa prossima della scarsa crescita italiana e delle fragilità che la crisi del Covid ha messo a nudo. Ne segue che le politiche destinate a colmare questi gap dovranno essere in grado di attivare investimenti, pubblici e privati. Lo dice chiaramente il documento (non ufficiale) che illustra metodi e contenuti delle linee guida del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che all’ultima riga dell’ultima slide recita: “Per aumentare il tasso di crescita del pil potenziale è comunque necessario che il Pnrr produca un forte aumento degli investimenti, pubblici e privati”. Questo pone un problema che merita più attenzione di quanto avvenuto finora. Posto che gli investimenti pubblici sono (in teoria) direttamente controllati dallo stato – pur con tutte le difficoltà procedurali – come farà il Pnrr a attivare gli investimenti privati? Per dirla altrimenti: come reagiranno le imprese al Pnrr? I canali, in linea di principio, sono diversi. Il primo è quello macroeconomico. Nello scenario più favorevole presentato da Banca d’Italia nella audizione alla Camera se tutti gli investimenti finanziabili dal Pnrr fossero aggiuntivi rispetto a quelli gia programmati l’impatto sul pil sarebbe di 3 punti percentuali cumulati entro il 2025. Ci sarebbe quindi un contributo di spesa privata, investimenti compresi, indotta via moltiplicatori della spesa pubblica. Sarebbe un contributo significativo ma che non potrebbe considerarsi soddisfacente ai fini delle sfide che il paese fronteggia. La filosofia di fondo del Next Generation Eu (Ngeu) è che la ripresa dell’Europa post Covid si debba basare su una trasformazione strutturale del sistema economico verso una economia più verde e più ricca di tecnologia digitale. Ciò implica che le imprese investano in nuove tecnologie verdi, stimolate anche da un cambiamento delle abitudini di consumo delle famiglie. Non basta che aumenti il capitale accumulato, occorre che sia diverso rispetto a quello pre crisi. Al di là dell’effetto macroeconomico, quali sono gli incentivi che il Pnrr introdurrà nel sistema a questo scopo? In primo luogo le caratteristiche del contesto in cui le imprese operano. Le linee guida contengono ampie indicazioni per la ricostruzione o il rafforzamento degli elementi che costituiscono il business environment. Cosa che richiede una strategia di riforme strutturali. Dalla riforma della pubblica amministrazione, della giustizia civile, alle reti informatiche al sistema scolastico e universitario. Non tutte queste voci sono direttamente finanziabili dal Pnrr ma è ragionevole assumere che potrebbero avere un impatto significativo sulla crescita degli investimenti privati se le imprese private riconoscessero che, a seguito degli investimenti pubblici e delle riforme, le condizioni per investimenti privati sono migliorate. Tutto ciò richiede tempo, quello necessario per la realizzazione e il completamento dei progetti di riforma e gli investimenti pubblici a essi associati.

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Da questo punto di vista la governance di Ngeu può essere d’aiuto nella misura in cui subordina il versamento delle tranche di finanziamento allo stato di avanzamento dei progetti. Ma anche questo può non bastare per l’accelerazione di investimenti privati che vadano nella direzione del cambiamento tecnologico. Prendiamo ad esempio il “paradosso del capitale umano” che affligge il sistema industriale italiano. Le imprese italiane, soprattutto quelle più piccole, impiegano poco capitale umano (e quindi investono di meno in innovazione) rispetto agli altri paesi avanzati. La domanda di capitale umano è in altri termini bassa. Ma lo è anche l’offerta se è vero che il nostro sistema educativo produce un numero ridotto di laureati e di diplomati. Tutto ciò produce una sorta di trappola della mancanza di istruzione che si traduce in una tendenza alla stagnazione degli investimenti delle imprese in innovazione, quindi in cambiamento, e nella scarsa crescita del paese. Come potrebbe il Pnrr affrontare il problema? Dal lato dell’offerta migliorando la capacità del sistema scolastico di produrre capitale umano sia in quantità (numero di laureati o diplomati) che in qualità (il tipo di competenze ottenute magari con maggiore attenzione alla necessità delle imprese). Dal lato della domanda incentivando le imprese a assumere più laureati e allo stesso tempo investendo in nuove tecnologie. Un approccio già seguito con le misure di Impresa 4.0, che ha avuto un certo successo e che andrebbe rafforzato. Magari utilizzando per risorse diverse da quelle del Pnrr per il finanziamento di agevolazioni fiscali.

 

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