PUBBLICITÁ

Grandi opere al palo

Stefano Cingolani

Lassismo, burocrazia, inchieste giudiziarie. Quasi trecento progetti ci costano ma non si realizzano. Adesso arrivano i supercommissari

PUBBLICITÁ

Chi ha ucciso le grandi opere? Ucciso forse è eccessivo, ma ibernato sì, ci sta tutto perché sono là, congelate da anni nelle celle frigorifere della politica. Trovare il colpevole non è facile, tanti s’aggirano attorno quei cadaveri e tutti accusano tutti: come nell’Assassinio sull’Orient Express di Agatha Christie, probabilmente ciascuno ha dato il suo colpo di pugnale. Fatto sta che, dopo tediose giaculatorie, dopo montagne di proclami, dopo gridi e grida, nulla s’è ancora mosso. Il modello Genova è durato da Ferragosto al primo settembre. Lo sblocca cantieri ha sbloccato un cantiere su dieci. Di investimenti vengono riempite le bocche dei politici e le pagine dei giornali, ma sotto tanto fumo non si scorge l’arrosto. Il capitolo dedicato alle infrastrutture nel piano per la ripresa è il più vago di tutti, pieno di titoli vuoti. E’ forse un caso? C’è la Torino Lione finanziata con i fondi europei. Ma da quanti anni va avanti il tormentone? La Gronda “si farà” promette la ministro Paola De Micheli, e parla ancora al futuro. Sulle Autostrade l’annunciata nuova impalcatura proprietaria con l’ingresso dello stato, nasconde una domandina piccola piccola: chi paga? 

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Chi ha ucciso le grandi opere? Ucciso forse è eccessivo, ma ibernato sì, ci sta tutto perché sono là, congelate da anni nelle celle frigorifere della politica. Trovare il colpevole non è facile, tanti s’aggirano attorno quei cadaveri e tutti accusano tutti: come nell’Assassinio sull’Orient Express di Agatha Christie, probabilmente ciascuno ha dato il suo colpo di pugnale. Fatto sta che, dopo tediose giaculatorie, dopo montagne di proclami, dopo gridi e grida, nulla s’è ancora mosso. Il modello Genova è durato da Ferragosto al primo settembre. Lo sblocca cantieri ha sbloccato un cantiere su dieci. Di investimenti vengono riempite le bocche dei politici e le pagine dei giornali, ma sotto tanto fumo non si scorge l’arrosto. Il capitolo dedicato alle infrastrutture nel piano per la ripresa è il più vago di tutti, pieno di titoli vuoti. E’ forse un caso? C’è la Torino Lione finanziata con i fondi europei. Ma da quanti anni va avanti il tormentone? La Gronda “si farà” promette la ministro Paola De Micheli, e parla ancora al futuro. Sulle Autostrade l’annunciata nuova impalcatura proprietaria con l’ingresso dello stato, nasconde una domandina piccola piccola: chi paga? 

PUBBLICITÁ

 


Il modello Genova è durato da Ferragosto al primo settembre. Lo “sblocca cantieri” in realtà ha sbloccato un cantiere su dieci. E’ intasato il corridoio che dovrebbe portare le merci verso il nord Europa, un percorso impossibile senza la Gronda

PUBBLICITÁ

 

In attesa di sapere chi sarà il nuovo padrone, quanto avrà la Cassa depositi e prestiti e a quanto scenderanno i Benetton, l’Aspi ha presentato i conti al ministero. Atlantia, attuale azionista con l’88 per cento, prevede 14,5 miliardi fino al 2038: in particolare 7 per manutenzioni e 3,4 miliardi come compensazione dopo il crollo del ponte Morandi. La remunerazione del capitale scende dall’11 al 7 per cento e le tariffe dovrebbero aumentare dell’1,75 per cento. Come saranno ripartiti i costi e i benefici nella nuova società? Dalle tasche di chi usciranno le spese? Il governo vuole utilizzare il 35-40 per cento dei fondi europei per il Mezzogiorno, tra ferrovie, autostrade, ponti compreso quello ormai mitologico tra Scilla e Cariddi che forse diventerà un tunnel con piste ciclabili, ma comunque sempre un passaggio sarà, quindi, etimologicamente un ponte. 

 

Si parla (o si favoleggia?) di 140 miliardi già pronti. Come mai non si trasformano in lavoro? Qui comincia la sindrome Agatha Christie: colpa della burocrazia, delle autorizzazioni, della magistratura, dell’anticorruzione, dell’antimafia. Finché non balzano sulla punta della lingua ben altri anti: gli anti Tav, anti Tar, anti 5G, anti mascherine, insomma tutti quelli che, saliti sull’Orient Express senza biglietto, hanno girato le loro lame nella piaga e sono scesi alla fermata successiva. Tra loro non ci sono forse i membri della famosa setta della decrescita più o meno felice? Quelli che le grandi opere mai e poi mai, quanto alle piccole si vedrà. E non è forse verso che molti di loro siedono in Parlamento e alcuni anche ai vertici dei ministeri? Mica solo Toninelli. Lui semmai è il più aperto, o più naif se vogliamo, ma rimosso un Toninelli ne spuntano dieci, cento, mille. La domanda, allora, diventa ben più allarmante: con questa coalizione di governo sarà mai possibile sbloccare per davvero i cantieri? Molte sono già le vittime della demagogia.

PUBBLICITÁ

 

PUBBLICITÁ

Mercoledì 9 settembre sulla Roma-Napoli è saltata la linea elettrica. I treni ad alta velocità hanno subito gravi ritardi, fino a 80 minuti, l’intera dorsale che dal nord unisce il sud si è bloccata. Non è la prima volta che accade né sarà l’ultima, la rete ferroviaria che era stata il vanto di un paese dalle infrastrutture fragili e dagli eterni ritardi è consumata, esausta come una pila, forse è vicina al collasso, certo bisogna rimetterci mano, vuol dire investimenti, a carico dello stato, cioè dei contribuenti. La rete è pubblica e relativamente aperta, ciò non depone a favore di altri reti che dovrebbero diventare statali e relativamente aperte. 

 

PUBBLICITÁ

 

Genova non è solo ponte Morandi, perché è intasato il corridoio che dovrebbe portare le merci verso il nord dell’Europa, un percorso pressoché impossibile se non verrà realizzata la Gronda che rappresenta un bel problema anche per la nuova Aspi. Il primo progetto risale al 1984. Ci sono voluti 10 anni di polemiche prima che l’operazione uscisse dalle discussioni politiche italiane e ottenesse l’ok da Bruxelles, necessario per finanziare il progetto. Dopo 33 anni di piani e proteste, il traffico su quel tratto è continuato ad aumentare e con il traffico i costi di manutenzione dell’unico viadotto, fino al tragico epilogo del 14 agosto. Secondo il progetto la nuova infrastruttura doveva comprendere 72 chilometri di tracciati autostradali allacciandosi agli svincoli che delimitano l’area genovese e sviluppandosi quasi interamente in sotterraneo con 23 gallerie, per un totale di circa 54 chilometri, circa il 90 per cento dell’intero tracciato. Le opere all’aperto comprendono la realizzazione di 13 nuovi viadotti e l’ampliamento di 11 viadotti esistenti.

 

Il 4 dicembre 2012 l’allora presidente degli industriali di Genova, Giovanni Calvini, si fa profeta davanti alle autorità locali: “Quando tra dieci anni il Ponte Morandi crollerà, e tutti dovremo stare in coda nel traffico per delle ore, ci ricorderemo il nome di chi adesso ha detto no alla Gronda”, un chiaro riferimento all’opposizione pentastellata. Quattro anni dopo è il sindaco di Genova Marco Doria a mettere in discussione l’opera, durante un intervento riportato dal Secolo XIX dichiara che è invecchiata anche se i costi per sospenderla sarebbero troppo alti. Parole che vengono stigmatizzate dai grillini; il  portavoce regionale esulta sarcastico: “Come un pugile suonato, il sindaco prende atto a distanza di 5 anni di come la Gronda sia un progetto inutile, dannoso e non necessario, come il Movimento 5 Stelle ripete da sempre”. Decisamente contro si è scagliato Grillo nel 2014 con i suoi toni tradizionalmente felpati: “Sei per il terzo Valico e tre-quattro miliardi di euro per la Gronda. Dobbiamo fermarli con l’esercito. L’esercito deve stare con gli italiani. E dobbiamo ancora morire per i sottopassi allagati”. Va ricordata per onestà storica un’altra intemerata del blog di Grillo: “Ci viene poi raccontata, a turno, la favoletta dell’imminente crollo del Ponte Morandi, come ha fatto per ultimo anche l’ex presidente della Provincia, il quale dimostra chiaramente di non avere letto la Relazione conclusiva del dibattito pubblico, presentata da Autostrade nel 2009. In tale relazione si legge infatti che il Ponte ‘potrebbe star su altri cento anni’ a fronte di ‘una manutenzione ordinaria con costi standard’”. Allora il comico di professione dava ragione alla  società dei Benetton diventata, una volta caduto il ponte millenario, il nemico pubblico numero uno. Ancora oggi, nonostante le parole della ministro, la Gronda non si fa perché i grillini non la vogliono, è inutile che Paola De Micheli mandi messaggi rassicuranti e rapporti dettagliati a Palazzo Chigi, la sorte dell’opera dipende dal risultato delle prossime elezioni. Ma non è detto che la prevista sconfitta del M5s sia sufficiente a rimuovere il tappo che soffoca Genova.

 

Anche della Torino-Lione si parla da trent’anni. Il progetto ha preso corpo durante un vertice italo-francese nel 1992 quando i governi di Roma e Parigi decisero di studiare un nuovo collegamento tra i due paesi che attraversasse l’arco alpino occidentale. Poco dopo l’Unione europea inserì la Torino-Lione nella lista dei 14 progetti prioritari delle reti transeuropee di trasporto, i Corridoi Ten-T. La linea ad alta velocità, conosciuta con l’acronimo Tav, è una tratta del Corridoio 5 che unisce Lisbona a Kiev. Il primo studio è del 1996, ma la progettazione passa attraverso una decina di fasi, otto delibere del Cipe, cinque valutazioni di impatto ambientale e sette tra trattati e accordi internazionali, l’ultimo dei quali ratificato dai due parlamenti. L’opera vale 8,6 miliardi ed è finanziata per il 40 per cento dall’Europa. Adesso, se passa l’impostazione del governo, dalla Ue dovrebbe arrivare molto di più. Gli esperti del Gruppo Clas (coordinati dai professori della Bocconi Lanfranco Senn e Roberto Zucchetti) hanno calcolato il valore dell’impatto socio-economico delle opere per realizzare la tratta internazionale della Torino-Lione: in totale 9 miliardi di euro, considerando la quota di investimento diretto in capo all’Italia (3,1 miliardi), la produzione indiretta (3,4 miliardi) e le ricadute sull’indotto (2,5 miliardi). Un moltiplicatore di tre punti, dunque, che salirebbe a quota 3,77 se si considera l’effetto sul prodotto lordo del valore complessivo della produzione attivata in Italia per i lavori della tratta internazionale. Tra le premesse metodologiche dello studio, il valore dell’interscambio tra Italia e Francia, oltre 70 miliardi di euro, con un saldo attivo di 10 miliardi per l’Italia, e più di 42 milioni di tonnellate di merci trasportate lungo l’asse dei due paesi, per il 90 per cento su gomma. Per la sindaca Chiara Appendino nel 2018 non era una priorità. Del resto la sua elezione era stata fortemente sostenuta dai No Tav che nel corso del tempo sono passati dalla protesta alle incursioni da guerriglia per bloccare tutto. Finalmente, nel gennaio dello scorso anno sono scesi in piazza anche i Sì Tav, circa 30 mila persone a Torino; la sindaca si è ammorbidita e ha ammesso che “i giochi sono fatti, la partita è chiusa”, ma evidentemente non è così.

 

L’Ance, l’associazione dei costruttori ha denunciato che prima della pandemia le grandi opere in stand-by erano 270 per 21 miliardi di euro, 330 mila posti di lavoro e 75 miliardi come ricaduta possibile sul resto dell’economia. Spiccano per valore oltre alla Gronda (5 miliardi), il Mose di Venezia, la realizzazione della terza corsia dell’A1 tra Firenze e Pistoia (3 miliardi) e il sistema di tangenziali venete nel tratto Verona-Vicenza-Padova (2,2 miliardi). Il ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture in un anno ha censito 670 opere incompiute per 4 miliardi di euro. Nella lista ci sono anche tante scuole, acquedotti, dighe, raccordi ferroviari e uno storico circolo tennis romano. 

 

In Veneto sono ancora ferme quattro grandi opere strategiche per 8,6 miliardi  cominciare dalla Verona-Padova, la terza corsia sulla Verona-Modena, il sistema delle tangenziali venete, la superstrada Valsugana, l’alta velocità tra Brescia e Padova. Tra procedure amministrativo-progettuali richieste, vere e proprie guerre giudiziarie tra le imprese e tira e molla tra la politica centrale e quella locale chissà mai quando vedranno la luce. Per non parlare del Mose che da solo pesa per il 3 per cento sul totale degli investimenti nazionali, con un ammontare di 5 miliardi di euro. Le incompiute sono 473 nel settentrione, il 115 nel centro e 161 nel mezzogiorno d’Italia. Il ponte sullo Stretto di Messina, idea che risale a Mussolini, è benvenuto sia chiaro, in qualsiasi forma possa materializzarsi, tuttavia quel che oggi taglia l’Italia fuori dal resto dell’Europa continentale si trova al nord, in quel nord che produce il pil come dicono orgogliosi i leghisti i quali, però, preferiscono roboanti slogan privi di sostanza, succubi della demagogia populista, del culto localista, del piccolo è bello. Si vince con la fontanella sotto casa, si fa l’elogio della lentezza non dell’alta velocità. 

 

Se il nord soffre, il sud guida la classifica dello scandalo. Prima nei ritardi è la Sicilia con diciassette opere a Gela, sedici a Palermo. In terza posizione la Dorsale Ionica Lamezia-Catanzaro. In realtà, se vogliamo prendere in considerazione i tronchi stradali, al primo posto andrebbe sistemata la Sassari-Olbia: diciotto cantieri dimenticati e non s’intravvede l’alba lungo questa fondamentale fascia della Sardegna. Il rapporto sulle “Infrastrutture strategiche e prioritarie 2020” realizzato dal Cresme e dal Centro studi della Camera dei deputati, fa emergere che su 273 miliardi di lavori messi in programma negli ultimi anni, il cinquanta per cento (219 miliardi di euro per le sole opere strategiche) del valore riguarda interventi in fase di progettazione: 283 lotti per 109 miliardi; i cantieri aperti con lavori in corso sono 149 lotti per 45,8 miliardi, e solo l’undici per cento riguarda opere ultimate. In numeri, 129 lotti per 24,1 miliardi. Nel dettaglio, il 48 per cento riguarda le sole ferrovie; il 34  per cento le strade per 74 miliardi; il 13  per cento (28 miliardi) i sistemi di trasporto rapido di massa in Lombardia, Piemonte, Toscana, Lazio, Campania, Sicilia; il 2  per cento (4 miliardi) per gli aeroporti, l’1  per cento porti e interporti per complessivi 2,5 miliardi. Ci sono poi 13,9 miliardi di interventi nelle infrastrutture idriche sugli acquedotti di Peschiera e dieci dighe tra Sardegna e Sicilia. Non vogliamo tediare con ulteriori elenchi di luoghi e di cifre. Il sito sbloccacantieri.it contiene una dettagliata serie di esempi. 

 

Ai primi di luglio è stato annunciato che verranno nominati 47 commissari con lo scopo di applicare ad altrettante grandi opere non proprio il modello Genova, perché avranno poteri minori, ma comunque un sostanziale via libera. Alla fine si contano 11 lavori stradali, 15 infrastrutture ferroviarie, tre delle quali introdotte in chiusura di trattativa, 9 interventi idrici, due entrati all’ultimo momento. E fin qui saremmo già a quota 35. Senonché la lista prevede anche 12 opere di edilizia statale: uffici di polizia, centri polifunzionali, caserme su segnalazione del ministero dell’Interno. L’elenco esatto verrà inviato dalla ministra De Micheli martedì prossimo e forse i commissari saliranno a 50. Saranno in grado davvero di accorciare le procedure? E, ancor di più, potranno garantire una maggiore efficienza? I lavori faranno capo all’Anas e alle Ferrovie entrambi dipendenti dal ministero. L’Anas nel 2018 aveva realizzato solo un terzo dei progetti assegnati. Quanto a Reteferroviaria italiana quel che accade ormai da tempo tra Roma e Napoli la dice lunga. I commissari potranno (forse) mettere alla prova la rugginosa ed elefantiaca macchina statale. Ma attenzione, sapranno saltare le trappole giudiziarie? Oppure alla prima occasione scatterà anche per loro la maledizione di chi fa, nel bel paese dove crescono i limoni alla cui ombra il far poco o niente è sempre più dolce.

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ