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Un nuovo meridionalismo oltre la retorica risarcitoria della Svimez

Guglielmo Barone

Il piano "più spesa per il Sud per compensare i torti subiti" non funziona. Basta approcci retrò e vittimistici

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Qualche giorno fa l’associazione Svimez (un ascoltato centro studi sulle politiche per il Mezzogiorno) ha pubblicato le più recenti proiezioni macroeconomiche per le regioni italiane: nel 2021, al sud, il pil sarebbe inferiore di 6,1 punti percentuali rispetto al 2019; il calo sarebbe invece inferiore al centronord (-4,7). Partendo da questi dati, la Svimez propone un’agenda per il Mezzogiorno, ben riassunta da un’intervista di qualche giorno fa al presidente Adriano Giannola sul Messaggero. La narrazione ha due momenti: prima si lamentano varie circostanze infauste di cui il Meridione è vittima; successivamente si passa alla richiesta risarcitoria nei soliti termini di maggiori fondi pubblici. Un uno-due vittimistico-rivendicazionista che non convince affatto.

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Qualche giorno fa l’associazione Svimez (un ascoltato centro studi sulle politiche per il Mezzogiorno) ha pubblicato le più recenti proiezioni macroeconomiche per le regioni italiane: nel 2021, al sud, il pil sarebbe inferiore di 6,1 punti percentuali rispetto al 2019; il calo sarebbe invece inferiore al centronord (-4,7). Partendo da questi dati, la Svimez propone un’agenda per il Mezzogiorno, ben riassunta da un’intervista di qualche giorno fa al presidente Adriano Giannola sul Messaggero. La narrazione ha due momenti: prima si lamentano varie circostanze infauste di cui il Meridione è vittima; successivamente si passa alla richiesta risarcitoria nei soliti termini di maggiori fondi pubblici. Un uno-due vittimistico-rivendicazionista che non convince affatto.

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La litania vittimistica parte dalla minore crescita attesa per il sud nel biennio 2020-21. Si tratta, tuttavia, di una differenza che è scorretto enfatizzare, alla luce della grande incertezza che caratterizza queste proiezioni (per esempio: come evolverà la pandemia?). E’ inoltre sbagliato far discendere una strategia di medio-lungo termine da osservazioni puramente congiunturali. La litania prosegue con la singolare considerazione in base alla quale il lockdown generalizzato della scorsa primavera avrebbe penalizzato troppo il sud, dove il Covid-19 era molto meno diffuso. Qui si rischia di fare a pugni con la logica, dal momento che si lascia intendere che in assenza di chiusura i contagi sarebbero rimasti comunque bassi: un’ipotesi quantomeno eroica. Si arriva quindi alla richiesta (non nuova) di 60 miliardi annui per il sud, come recupero della mancata attuazione di norme che prevedevano certi requisiti di allocazione territoriale della spesa pubblica, ignorando così il messaggio chiarissimo proveniente dalla migliore ricerca empirica disponibile: nella lunga esperienza storica, la spesa per la coesione territoriale non ha prodotto sviluppo.

   

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Anzi, ha spesso alimentato corruttela e spiazzato l’iniziativa privata. Su quest’ultimo punto – la mancata attuazione di alcune norme – si nota poi, in controluce, un problema tipico di una certa idea di politica economica: una misura andrebbe implementata (in questo caso l’erogazione di copiosi fondi pubblici) non perché sappiamo che è utile (non lo è) ma perché c’è una legge che così prescrive. E’ un’idea da contrastare con forza: il compito dell’economista non è quello di fare scontati moniti riguardo al rispetto delle norme ma quello, tra gli altri, di studiarne gli effetti economici per migliorarle. Il crescendo si conclude con l’accusa di nordismo rivolta al corposo pacchetto di ammortizzatori sociali varato dal governo in questi mesi (dal “Cura Italia” in avanti): al sud, a causa della maggiore incidenza dell’economia sommersa, gli strumenti adottati sarebbero stati meno incisivi perché necessariamente designati per il sostegno dell’economia emersa. Un perseverare che rischia di sconfinare nel diabolico: l’economia irregolare, uno dei grandi mali storici dell’economia del Mezzogiorno, diventerebbe un punto sul quale fare leva per la richiesta di risorse addizionali. Questo è francamente troppo: il lavoratore irregolare beneficia già di un saldo ampiamente favorevole tra il dare e l’avere con il settore pubblico, non pagando le imposte sul lavoro ma fruendo di moltissimi servizi pubblici quali istruzione per i figli, sanità e, da ultimo, reddito di cittadinanza.

       

Si arriva così al momento delle rivendicazioni. Che si risolvono in un unico, semplice, prevedibile punto: più spesa per il sud per compensare i torti subiti. L’ennesimo piano genererebbe, per magia, l’agognato sviluppo. Per esempio, attraverso zone economiche speciali (Zes), sulla cui efficacia non esiste tuttavia alcuna evidenza scientifica. Al riguardo quello che si sa è che, laddove adottate, hanno al più solo spostato attività economiche di qualche chilometro, con un saldo che per l’intero Mezzogiorno sarebbe chiaramente nullo. Qualcosa di molto diverso dal vagheggiato “processo economico che si autoalimenta”. E come finanziare questa spesa? Facile: col Recovery fund, nuova coperta di Linus che avvolge e nasconde ogni fastidioso vincolo di bilancio.

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Il tema dell’economia del sud è serissimo e non può e non deve essere monopolizzato da un approccio retrò, oggi molto ascoltato dal governo, che presenta due rischi: uno di tipo economico – perseverare con politiche inefficaci o addirittura controproducenti – e uno politico – rialimentare per contrasto istanze uguali e contrarie, oggi sopite, provenienti da nord. Per andare oltre i fallimenti delle politiche passate occorre un nuovo meridionalismo: antidogmatico e sintonizzato col XXI secolo.

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