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Bce al bivio: divergenza o convergenza con la Fed?

Angelica Migliorisi

Alla vigilia della riunione dell'Eurotower, si scoprirà se Francoforte seguirà Washington. Il nuovo scenario è carico di incertezze di lungo periodo

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Inflazione sì, inflazione no. Alla vigilia della riunione della Banca centrale europea (Bce) si scoprirà se anche Francoforte seguirà la Federal Reserve, che dal simposio di Jackson Hole ha deciso di non guardare più al 2 per cento di crescita dell’indice generale dei prezzi come un tetto insuperabile. Meglio perseguire la piena occupazione nella fase di ripresa post pandemia di Covid-19, anche tollerando un’inflazione superiore al 2 per cento. Uno scenario nuovo e carico di incertezze di lungo periodo.

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Inflazione sì, inflazione no. Alla vigilia della riunione della Banca centrale europea (Bce) si scoprirà se anche Francoforte seguirà la Federal Reserve, che dal simposio di Jackson Hole ha deciso di non guardare più al 2 per cento di crescita dell’indice generale dei prezzi come un tetto insuperabile. Meglio perseguire la piena occupazione nella fase di ripresa post pandemia di Covid-19, anche tollerando un’inflazione superiore al 2 per cento. Uno scenario nuovo e carico di incertezze di lungo periodo.

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Il cambio di strategia ha acceso i fari sull’Eurotower, chiamata in tempi brevi a dare un segnale oltreoceano. E che non potrà non tener conto del brivido che ha sfiorato il mercato delle valute appena dopo il discorso di Powell, con l’euro che è subito schizzato a 1,20 dollari, gettando ombre sul destino delle esportazioni e dei prezzi nei paesi dell’eurozona. Ma se la Fed pare aver terminato le proprie revisioni strategiche, diverso sembrerebbe lo stato dei lavori all’Eurotower: per le conclusioni, stando a quanto comunicato dalla presidente Christine Lagarde, bisognerà attendere la prima metà del prossimo anno. Difficile immaginare che i mercati finanziari rimangano in attesa. Ma altrettanto difficile è aspettarsi dalla Bce tempi di reazione analoghi a quelli della sua omologa a stelle e strisce. Il suo mandato, d’altronde, si esaurisce nella stabilità dei prezzi nell’area euro.

      

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E se il nuovo corso inaugurato da Washington avesse successo? Una domanda che molti in Europa si stanno ponendo. Secondo Tommaso Monacelli, ordinario di economia alla Bocconi, “qualora questo regime riuscisse a riportare l’inflazione a valori normali e anche oltre, la Fed si assumerebbe l’impegno di riportarla successivamente al di sotto del target. Il che implica adottare politiche monetarie restrittive, che generano recessione. Qualcosa che rischia di essere molto impopolare e costoso, soprattutto in termini politici: ecco perché è un sistema che a lungo è stato ritenuto poco attuabile. Adesso forse si è accettata l’idea che viviamo strutturalmente in un mondo di inflazione bassa, è come se non ci si ponesse tanto il problema di cosa succederebbe qualora essa eccedesse il target”.

     

E intanto, tra gli analisti serpeggia l’ipotesi di un disallineamento tra le due. Come se per uscire dalla crisi economica causata dalla pandemia non fosse più imprescindibile un’azione concertata. Il tutto, per altro, dopo anni di forte sincronismo da una parte all’altra dell’oceano. Secondo Monacelli, però, “il mondo della politica monetaria è così globalizzato e interdipendente che è impossibile questo avvenga. Da un certo punto di vista, è un po’ la Fed a essersi allineata a una riflessione che Draghi ha portato nella Bce negli ultimi anni. Anni in cui c’è convergenza nel cercare di utilizzare strumenti che liberino le economie dalla trappola della liquidità”. Quella condizione, cioè, in cui la politica monetaria non riesce più a essere efficiente a causa dell’impossibilità di agire sui tassi di interesse nominali, ormai fermi a zero.

 

Scettico sull’ipotesi di una divergenza tra Fed e Bce anche Franco Bruni, docente di Teoria e politica monetaria internazionale alla Bocconi: “L’Eurotower non potrà disallinearsi più di tanto, salterebbe il tasso di cambio. Sarebbe stato possibile se Powell avesse considerato una politica monetaria più restrittiva. Non credo che Francoforte avrà granché da dire”. La Bce, secondo i due economisti, non è “ossessionata dall’inflazione, come molti dicono”. “E – aggiunge Monacelli – sono anni che non fa altro che prendere misure orientate unicamente a cercare di stimolare l’economia reale. La recessione dovuta alla pandemia porterà a una persistenza delle politiche di quantitative easing, quindi non cambierà granché”.

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A giocare un ruolo importante potrebbe essere la politica fiscale: “Negli Stati Uniti, dove è più facile adottare politiche monetarie espansive, già sta succedendo, anche se manca ancora un coordinamento con la politica fiscale”. Un problema che in Europa assume proporzioni ancor più importanti: “Veniamo da anni in cui discutere di politiche monetarie espansive è considerato un po’ un tabù, per non parlare del problema di come coordinarle con la politica fiscale tra i vari Paesi dell’Eurozona”. La pandemia, però, ha fatto fare impensabili passi in avanti: “E’ sempre così, dove c’è inerzia istituzionale e di governance come in Europa, sono grandi crisi come questa che portano a cambiamenti importanti. Nei prossimi anni la politica fiscale cambierà radicalmente, il Patto di stabilità già è stato sospeso e prima che venga reintrodotto, passerà del tempo”.

 

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Ma si sa, mercati finanziari e mondo accademico non vanno sempre d’accordo. E c’è chi l’ipotesi di un disallineamento tra i due giganti bancari non la trova poi così remota. Per Alessandro Fugnoli, strategist della boutique finanziaria Kairos, il grosso problema della Bce, in questo momento, è quello della credibilità: “Non è riuscita a raggiungere un’inflazione al 2 per cento, quanto è verosimile che arrivi al 3 per cento?”. L’eventuale divergenza, però, non avverrebbe nel breve termine, considerato che neanche negli Stati Uniti l’inflazione salirà subito. E in questo contesto, gli spazi di manovra per Lagarde e compagni non sarà troppo ampio, “a meno che non annunci politiche più forti in termini di quantitative easing o la cancellazione di una parte del debito che gli Stati sovrani hanno con la Bce stessa. Questo sì che avrebbe un impatto psicologico e inflazionistico, ma è una cosa ideologicamente difficile, almeno per il momento”.

 

Sul fatto che nemmeno per l’area euro l’inflazione sia il primo dei problemi concordano anche gli analisti del colosso bancario statunitense Goldman Sachs. Che si attendono che il Consiglio direttivo della Bce riveda al ribasso le loro proiezioni sull’inflazione per il prossimo anno. Un quadro che potrebbe portare Francoforte verso la direzione di Washington, volente o nolente. Per ora, l’aumento dei prezzi al consumo non sembra preoccupare i banchieri centrali, che hanno necessità di rinvigorire i canali di trasmissione della politica monetaria al fine di foraggiare investimenti e crescita economica. Con un occhio sempre volto a cogliere eventuali bolle sui prezzi, per individuarle in tempo e gestirle.

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